2022-07-20
Il M5s come Mou punta sul tridente ma non eviterà una nuova scissione
Giuseppe Conte (Imagoeconomica)
Una nutrita componente di parlamentari non è disposta a seguire Giuseppe Conte nella traversata nel deserto. Il leader guiderà un gruppo di duri e puri con Dibba e Virginia Raggi. Resa dei conti oggi al Senato. Le provocazioni di Luigi Di Maio.Dal flusso di coscienza alle chat via agenzie di stampa. Nei giorni più caldi della crisi di governo innescata da Giuseppe Conte, l’universo pentastellato ha toccato punte di emotività e labilità psicologica da far sembrare, in confronto, i tempi delle scissioni a sinistra del Pci una riunione di una bocciofila di Cesenatico. E c’è chi gioca a fare l’avvelenatore di pozzi ipotizzando un incontro serale tra Mario Draghi e Conte.Comunque, tirare le somme dei Consigli nazionali e delle assemblee congiunte che si sono svolte ininterrottamente nell’ultima settimana è impresa facilissima: il M5s sta esalando gli ultimi respiri, per lasciare il posto a una pattuglia di duri e puri raccolta attorno all’ex-premier, alla quale si ricongiungerà da buon figliol prodigo Alessandro Di Battista, per formare (assieme alla vestale grillina Virginia Raggi) un tridente che promette di rendere dura la vita a inceneritori, motori a scoppio, gasdotti, rigassificatori e via dicendo. A proposito di motori, Di Battista sta scaldando il suo, in vista della rentrée, come testimonia il caustico tweet di ieri: «Entrare nel governo Draghi», ha scritto, «è stato un suicidio. Io non ho parole. Questi dirigenti dovrebbero chiedere scusa», ha concluso.Quello che succederà oggi al Senato, in questo senso, può essere considerato ininfluente, visto che ogni scenario possibile sancirebbe comunque l’ennesima scissione. In questi giorni di discussione fiume, è apparso quanto mai evidente che, al netto della scissione dei Draghi boys di Luigi Di Maio, è presente all’interno di quello che resta del movimento propriamente detto una nutrita componente di parlamentari non disposti a seguire Conte in una traversata nel deserto che, nel migliore dei casi, porterebbe qualche decimale in termini di consensi (insufficiente comunque a contenere il crollo degli eletti) e in caso di elezioni anticipate un collasso a breve termine. A farsi alfiere dei renitenti alla leva contiana è stato il capogruppo a Montecitorio, Davide Crippa, uscito clamorosamente allo scoperto lunedì mattina col tentativo di invertire l’ordine dei voti di fiducia, facendoli partire dalla Camera, dove il presidente pentastellato non controlla i deputati grillini. Non a caso, nelle riunioni plenarie che si sono man mano tramutate in una resa dei conti, Crippa ha esposto il proprio ragionamento, che si sintetizza in queste parole: «Ascolteremo il discorso di Draghi in Aula. Trovo chiaro che se aprirà ai principali temi posti all’interno dei nove punti da parte del M5s, diventa ingiustificabile non confermare la fiducia». Questo, in ossequio alla prassi grillina, gli ha procurato immediatamente una serie di duri attacchi e di accuse di intelligenza col nemico da parte dei contiani, come risulta da alcuni scambi nella chat interna pubblicati da Adnkronos: «Perché non hai smentito la congiura contro Conte?» è arrivato a dire un parlamentare leale al presidente, rivolgendosi direttamente a Crippa. Che il direttivo grillino di Montecitorio non sia leale all’ex premier, dunque, è acclarato, ma dato che oggi la conta tra governisti e contiani prenderà il via da Palazzo Madama (territorio presidiato da fedelissimi come Paola Taverna, Danilo Toninelli, Alberto Airola), questo potrebbe non bastare a salvare il governo Draghi. Nel tentativo di accelerare il «rompete le righe» grillino, Di Maio è intervenuto a gamba tesa, parlando ai suoi parlamentari, quando ha fatto sapere che «il direttivo della Camera del gruppo M5s, oggi partito di Conte, ha espresso la volontà di votare la fiducia al governo Draghi, al di là della volontà dei vertici». Per rincarare la dose, il ministro degli Esteri si è rammaricato della «caccia alle streghe dentro il partito di Conte contro i nostri ex colleghi». «Sappiamo cosa si prova», ha aggiunto, lo hanno già fatto anche con noi. Li incoraggiamo ad andare fino in fondo, per stare dalla parte giusta della storia, dalla parte del Paese. Il partito di Conte», ha concluso, «sta diventando il picconatore del governo Draghi». Parole non senza verità, che hanno però suscitato l’inevitabile smentita dei diretti interessati, laddove il gruppo grillino alla Camera ha replicato che ancora non era stata assunta una decisione definitiva. Eppure, tutti sanno che a Montecitorio la scissione dei «riformisti» pentastellati dai radicali fedeli a Conte è nei fatti. Si tratta solo di sapere quanti saranno i deputati che emuleranno Di Maio e i suoi nell’addio al movimento. Le ricostruzioni prevalenti convergono nel quantificare in almeno una ventina i partenti, ma non manca chi sostiene che saranno di più, circa una trentina. Tra loro, oltre Crippa, dovrebbero esserci Maria Soave Alemanno, Rosalba Cimino, Niccolò Invidia, senza contare gli esponenti del Movimento, compreso il ministro Federico D’Incà e alcuni sottosegretari, che hanno dichiarato di volersi adeguare alla linea decisa da Conte ma nutrono dei dubbi sulla scelta di troncare l’esperienza di governo. C’è però il calendario parlamentare che, come detto, in un certo senso gioca con Conte, perché tutte i nomi poc’anzi fatti sono deputati, mentre l’ordine del giorno delle Camere recita «comunicazioni del presidente del Consiglio» e successivo voto di fiducia da stamani alle 9.30 al Senato. Alla Camera, invece, toccherà domani e va da sé che, qualora il pressing del Pd e di mezzo mondo di queste ore su Draghi per convincerlo a rimanere non dovesse andare a buon fine, il voto a Montecitorio non avrebbe nemmeno luogo.