2019-11-12
«Ecco gli 007 italiani coinvolti nel Russiagate»
L'avvocato del professore maltese scomparso dichiara: «Fonti della Link mi hanno detto che a mettere il mio cliente sull'auto per Matelica è stato il capo dei servizi». Ma il generale smentisce tutto: «Non ho mai messo piede in quell'ateneo. Querelo».Tra una settimana il Copasir sentirà la versione dei nostri responsabili della sicurezza.Lo speciale contiene due articoli.Da alcuni giorni, negli ambienti che contano, circola una domanda: chi è quell'importante 007 che a fine ottobre 2017 avrebbe contattato il presidente della Link campus university, Vincenzo Scotti, per raccomandarsi che il «professor» Joseph Mifsud, uno dei testimoni chiave del Russiagate, «sparisse»? Un'indicazione che sarebbe arrivata dopo che il docente maltese aveva rilasciato un'intervista a Repubblica, evidentemente non gradita dai suoi referenti o superiori, a cui era seguito un suo trasferimento forzato a Matelica, in provincia di Macerata. Sabato, l'avvocato Stephan Claus Roh, difensore dello stesso Mifsud, con La Verità, aveva realizzato questo identikit: «Un capo dei servizi segreti italiani». Nelle scorse ore Roh ha aggiunto il nome che gli avrebbero fatto «fonti della Link»: Alberto Manenti, l'ex direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna, l'uomo voluto da Matteo Renzi ai vertici del nostro controspionaggio. Oggi Manenti, generale dell'esercito in pensione, è un autorevole interlocutore dell'attuale governo sulla questione libica, ma anche un ascoltato esperto delle principali agenzie d'intelligence straniere (per esempio ha incontrato recentemente il direttore della Cia, Gina Haspel). Ma sentiamo Roh: «Il secondo uomo si chiama Manenti, me lo hanno detto fonti interne alla Link, ma io non ho prove». Poi ripete il nome: «Manenti, Manenti». Perché secondo uomo? «Per Mifsud era il secondo in gerarchia dei servizi segreti». In realtà qualcosa non torna, visto che all'epoca Manenti era il numero uno dell'Aise, a meno che non si voglia indicare come suo superiore il capo del Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, la struttura del governo italiano che coordina i servizi segreti.Chiediamo al legale: Mifsud è stato prelevato dal «secondo uomo» il giorno dopo che aveva parlato con Repubblica? «Esattamente. E spedito con una macchina direttamente a Matelica. Non è neppure potuto passare da casa, non ha potuto portare via i suoi effetti personali, è stato spedito lì e basta». Lo 007 era con lui in auto? «No, ma lo ha salutato». Manenti con La Verità decide di riderci sopra: «Roh ha detto questo? Allora lo denunciamo, ah, ah. Vede la mia reazione? State attenti a non cascare in questo tranello perché chiaramente denuncerei tutti». Ma lei Mifsud lo ha mai incontrato? «La mia risposta è quella che le ho dato. Lei sa che ho preso l'impegno di non rilasciare nessun tipo di intervista per almeno un anno (dopo l'addio all'Aise, ndr), quindi io ricomincerò a parlare da gennaio. Per questo non vorrei rispondere a questa domanda, ma penso di averlo già fatto con quello che ho detto prima». Manenti, prima di chiudere la telefonata, ci rimugina un po': «Mi sembra strano che quel signore dica questa cosa». Gli facciamo notare che addirittura, secondo Roh, sarebbe stato presente al momento del trasferimento di Mifsud a Matelica: «Pensi che io non ho mai frequentato quell'ambiente, mai». Cioè quello della Link? «Mai. Completamente fuori dal mio campo». Quindi lei non andava in quell'università? «Assolutamente no». Dunque non conosceva Mifsud? «Mi pare evidente che non conoscessi nulla». Resta un mistero il motivo per cui «fonti della Link» avrebbero dovuto fare il nome di Manenti. Una vendetta contro un dirigente dei servizi che non aveva mai frequentato l'università? Oppure è Roh che ha voluto buttare quel nome nel calderone mediatico per rendere credibile l'ipotesi di un complotto anti Trump ordito da apparati democratici americani in combutta con il governo Renzi?È evidente che intorno al Russiagate si stia combattendo una guerra fatta anche di veline e dossier e che l'epicentro di questo scontro sia Roma. Qui Mifsud aveva il suo ufficio quando, il giorno di Halloween del 2017, è sparito nel nulla. Ma in questo clima di veleni, fonti di intelligence, ci segnalano una pista complementare a quella italiana, che chiameremo «malese»: «L'intero Russiagate doveva basarsi su documenti falsificati e informazioni mistificate» è l'incipit della nostra gola profonda, secondo cui le autorità statunitensi nel 2016 avrebbero «saggiato» il governo italiano «sulla possibilità di coinvolgere i nostri servizi segreti in un'operazione di mistificazione per coprire Hillary Clinton e colpire, se ci fosse stata la necessità, Donald Trump, visto che indagini interne dell'amministrazione Usa avevano già compreso il rischio che il tycoon potesse rappresentare una sorpresa elettorale». Il piano doveva essere realizzato utilizzando «documenti falsi fatti circolare da canali malesi e maltesi fino all'Italia». Va bene Malta, ma, sorpresi, abbiamo chiesto alla fonte a quali canali malesi facesse riferimento, ma il nostro interlocutore non ha voluto aggiungere altro. E allora abbiamo iniziato a scavare da soli. E un collegamento lo abbiamo trovato. Come abbiamo già raccontato nei giorni scorsi, il ruolo principale di Mifsud alla Link (almeno ufficialmente) era quello di procacciatore di investitori per l'ateneo romano. Secondo quanto dichiarato da Roh alla Verità, dietro al «successo» rappresentato dall'accordo tra la Link e la Essam & Dalal Obaid foundation (Edof), il braccio culturale al servizio dell'omonima famiglia saudita, ci sarebbe proprio il suo assistito. Stando alla ricostruzione dell'avvocato tedesco, Mifsud sarebbe riuscito a convincere la Edof (e dunque gli Obaid) a finanziare il War and peace center, uno dei tanti centri di ricerca in seno alla Link. «Un accordo che prevedeva un finanziamento di 750.000 euro in tre anni, 250.000 all'anno, che servivano a pagare sei persone e tutte le spese», hanno spiegato dalla Lcu.Ma che cosa c'entra la Malesia con questo affare, direte voi? L'accordo tra la Edof e la Link sarebbe «saltato», ha spiegato Pasquale Russo, direttore generale dell'ateneo, all'Adnkrons, per via dello scoppio di un grosso scandalo finanziario. Un oscuro affare che ha visto coinvolti il fondo malese 1Malaysia development berhad (1Mdb) e la Petrosaudi, azienda guidata da Tarek Obaid. Quest'ultimo fa parte del board della Edof in qualità di fondatore. Partito per finanziare opere pubbliche nello Stato del Sudest asiatico, 1Mdb si è trasformato in un pozzo senza fondo che ha causato la sparizione di 3 miliardi di dollari e le dimissioni del primo ministro malese Najib Razak. Nel 2009 la Petrosaudi aveva costituito una joint venture proprio con questo fondo e, notizia di una settimana fa, l'Alta corte malese ha stabilito che «molti dei soldi raccolti da 1Mdb» sarebbero «stati pompati nella Petrosaudi» anziché essere destinati a progetti di sviluppo.Nel carteggio tra Roh e la dirigenza della Link citato ieri dalla Verità, l'avvocato di Mifsud chiede conto della provenienza dei fondi della Edof: «Sembrerebbe che questi finanziamenti abbiano origine dalla 1Mdb. Per favore spiegate», scriveva il 6 giugno 2019 a Vanna Fadini (amministratore della Gem srl, società di gestione della Link) e a Russo. Più avanti sarà ancora più esplicito: «Quei soldi sono forse un compenso per il coinvolgimento nel Russiagate?». Soldi dalla Malesia per inquinare la politica americana, passando attraverso un professore maltese residente a Roma. Un'ipotesi suggestiva, ma, ovviamente, tutta da verificare. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-legale-di-mifsud-i-nostri-007-spedirono-il-docente-a-matelica-2641311248.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-copasir-vuole-conoscere-la-versione-di-carta" data-post-id="2641311248" data-published-at="1757974336" data-use-pagination="False"> Il Copasir vuole conoscere la versione di Carta Dopo aver ascoltato il premier, Giuseppe Conte (23 ottobre), il direttore del Dis, Gennaro Vecchione (il 29), e quello dell'Aisi, Mario Parente (6 novembre), il Copasir è pronto a sentire sul caso Russiagate - in cui è coinvolto il professore Joseph Mifsud - il numero uno dell'Aise, Luciano Carta. L'audizione è prevista per il 19, ma già domani il presidente, Raffaele Volpi, durante le comunicazioni a palazzo San Macuto, potrebbe fornire nuovi dettagli su come sta andando avanti l'indagine sui rapporti tra i nostri servizi segreti e quelli Usa. Al vaglio ci sono anche le rivelazioni che Stephan Roh, avvocato di Mifsud, sta facendo alla Verità. È probabile quindi che potrebbero esserci in calendario nuove audizioni dopo quella di Carta, che divenne numero due dell'Aise nel gennaio del 2017, durante il governo di Paolo Gentiloni. Il caso non è ancora chiuso insomma. Di sicuro fino adesso sia Conte, sia Vecchione sia Parente hanno tenuto la stessa linea. E al contrario di quello che ha sostenuto il ministro di giustizia Usa, William Barr («Il procuratore John Durham ritiene che in Italia ci siano informazioni utili sul caso»), tutti e tre hanno ribadito di fronte alla commissione parlamentare che la nostra intelligence è del tutto estranea al Russiagate. Non solo. Secondo la versione ufficiale infatti, gli incontri di Barr in agosto sia con Vecchione (il 15) sia con Carta e Parente, avrebbero escluso un coinvolgimento del nostro Paese in quello che negli Usa sostengono sia stato un complotto contro il presidente, Donald Trump, durante la campagna elettorale del 2016 contro Hillary Clinton. Mifsud avrebbe partecipato all'operazione e sarebbe stato poi consigliato dai nostri 007 di scomparire. Durante l'ultima audizione, Parente avrebbe anche detto che non ci sarebbero state notizie sul professore maltese legato alla Link university di Roma, anche perché i nostri 007 non lo avrebbero considerato di interesse. La considerazione è di certo particolare. Anche perché Mifsud, oltre a essere vicino a un ateneo legato a doppio filo con la nostra intelligence, è ricercato in mezzo mondo dopo essere svanito nel nulla. Per di più, secondo il dossier dell'ex direttore dell'Fbi James Comey, il professore sarebbe una spia russa. Possibile che i nostri servizi non abbiano fatto approfondimenti su una potenziale spia sul nostro territorio nazionale? Di sicuro si sarebbe trattato di un agente segreto non banale, anche perché frequentava mezza classe politica e dirigenti di spessore della nostra intelligence. Inoltre, a quanto risulta alla Verità, Mifsud è consigliere di amministrazione della Biomas di Siracusa, una società che si occupa di industria alimentare e farmaceutica. Tra gli azionisti dell'azienda con il 6%, compare Marie Therese Triganza, maltese, il cui nome risulta titolare di svariate società offshore sull'isola, già toccata dallo scandalo Paradise paper, cioè i conti dello studio legale Appleby alle Bermuda.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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