2018-12-10
Il lavoro a un profugo costa 280.000 euro: come una Rolls Royce
Altro che sistema efficiente: gli Sprar sono uno stipendificio. Solo nel 2017 hanno trovato impiego più di 11.000 operatori dediti all'accoglienza e sono stati spesi 375 milioni pubblici per trovare impiego a 1.300 immigrati. E ognuno di quei posti di lavoro (precario) ci è costato più di 280.000 euro.Il sistema Sprar? Un peccato smantellarlo, in effetti. Come stipendificio di Stato funziona alla perfezione: nel solo 2017, proprio grazie allo Sprar, hanno trovato impiego più di 11.000 operatori dediti all'accoglienza. E anche come bancomat a fondo perduto è perfetto, considerato che, nello stesso periodo, sono stati spesi più di 375 milioni di euro, per mettere in piedi 776 progetti che, alla fine, hanno prodotto appena 1.344 posti di lavoro per richiedenti asilo. E nemmeno a tempo indeterminato. Un po' come dire che per mettere a lavorare ognuno di questi volenterosi sono servite otto persone stipendiate a tempo pieno per 365 giorni. O come dire che, ognuno di quei posti di lavoro (precario) ci è costato più di 280.000 euro. Non esattamente quello che si dice un'economia di scala. Con 280.000 euro, a pensarci, si possono fare molte cose. Comprare la Rolls Royce, modello Ghost, appena sfoggiata da Fabrizio Corona, per esempio. O installare un ascensore per i bambini con difficoltà motorie all'interno di una scuola come stanno facendo a Salemi, in provincia di Trapani. O, ancora, aprire un piccolo bed and breakfast in centro a Firenze, come suggeriva qualche tempo fa un noto quotidiano di economia, e magari dare un impiego in cucina a qualche nostro connazionale. Invece, questo mare di soldi, grazie alle politiche dei governo Renzi e Gentiloni, è stato speso così, per dare «strumenti e formazione» a immigrati arrivati clandestinamente in Italia, coccolati e vezzeggiati a spese nostre con corsi di italiano, di cucito e di botanica. Ma poi, quando lo stanziamento finisce, lasciati a sé stessi come tutti gli altri. Perché il bello di tutta la faccenda è che, in realtà, nessuno tiene nota di che fine abbiano fatto, a distanza di tempo, i pochi fortunati a cui era stato trovato un lavoretto o come se la siano cavata gli altri 4.000, usciti dallo Sprar dichiarando di aver raggiunto una autonomia economica non meglio precisata. Hanno un lavoro? Mantengono la famiglia? Sembra che a nessuno interessi particolarmente. Perché i progetti Sprar, hanno spiegato i responsabili, servono a tracciare un percorso di vita, mica a indovinare il futuro…In realtà i numeri che dimostrano il fallimento di questo sistema di accoglienza, osannato dalla sinistra come il migliore possibile, stando proprio Rapporto Sprar 2017 edito dalla Fondazione Cittalia, costola dell'Anci che si occupa di monitorare il settore. E, tolta di mezzo la lente della propaganda, non lasciano dubbi. Nel 2017, per il costo spropositato di 375.366.000 di euro sono stati avviati 776 progetti di accoglienza, per un totale di 36.995 soggetti accuditi, distribuiti in 103 provincie e 659 tra Comuni ed enti locali.L'idea di trovare una sistemazione ai richiedenti asilo piace (nonostante le difficoltà di vita) soprattutto al Centro Sud, tanto che «la maggior parte delle presenze dei beneficiari si registra in Sicilia, Lazio, Puglia e Calabria», regioni in cui, mentre il lavoro per gli italiani scarseggia «si concentra circa la metà delle accoglienze nazionali» per i clandestini. Chi sono i beneficiari? Per lo più giovani, maschi e, in gran parte, nigeriani. La maggior parte dei quali è ancora in attesa di risposta dalle Commissioni territoriali per la richiesta di asilo o ha ottenuto qualche forma di permesso temporaneo, come la protezione sussidiaria (rilasciata a chi non fugge da una guerra ma potrebbe essere perseguitato se rientra nel Paese d'origine e che ora il decreto Sicurezza andrà a regolamentare). Le donne, come sempre tra i sedicenti profughi, sono pochissime (a loro dalla guerra non interessa fuggire), appena il 15,2%, mentre i veri profughi sono ancor meno: solo il 12% degli assistiti Sprar ha ottenuto effettivamente lo status di rifugiato e, dunque, avrebbe realmente diritto a un servizio di inserimento sociale. Ma veniamo agli effettivi risultati del progetto: di tutto questo stuolo di giovanotti a cui gli enti locali attraverso le cooperative offrono qualsiasi ben di Dio in termini di corsi e formazione sono 4.124 quelli che, secondo i report, nel corso del 2017 hanno lavorato almeno un po' (comprese borse lavoro o assunzioni brevi con sgravi fiscali garantiti alle aziende); 3.885 risultano «avere raggiunto uno stato di autonomia», mentre appena 1.344 sono stati inseriti a livello lavorativo «a seguito di percorsi attivati e conclusi».Significa che almeno questi hanno trovato un impiego stabile e hanno potuto cominciare una nuova vita senza più assistenzialismi? Non esattamente. Come spesso capita in ambito accoglienza, quando si entra nello specifico, tutto diventa fumoso. Nessuno degli enti che pure se ne è occupato, infatti, a quanto risulta, conosce nel dettaglio su cosa sia basata l'autonomia economica dei sedicenti profughi, una volta usciti dallo Sprar o se quello che dicono di aver trovato sia un lavoro vero. «Il dato richiesto non viene rilevato, le verifiche vengono fatte sul percorso che porta ad acquisire strumenti di autonomia o eventuali impieghi contrattuali, senza specificarne la forma o la durata», hanno spiegato da Cittalia alla Verità. E risposte simili sono arrivate anche dalla Regione Piemonte, che pure ha recentemente pubblicato un report sull'efficacia dei progetti di inserimento lavorativo per migranti e altre realtà interessate, come l'Associazione di promozione sociale Cambalache di Alessandria, referente del progetto Beemyjob che si occupa di accoglienza, formazione e lavoro con il supporto dell'Unhcr. «Nel 2017 il nostro progetto ha coinvolto quattro beneficiari Sprar (su 25 richiedenti asilo) seguiti attraverso la formula dell'inserimento lavorativo», spiegano dall'associazione, «ma il percorso di formazione e tirocinio che hanno frequentato, non si è poi trasformato in contratti di lavoro subordinato».In compenso, invece, l'esercito degli stipendiati che ha trovato impiego grazie all'avvio dei progetti Sprar è consistente: nel solo 2017 sono state 1.428 le figure professionali impegnate a tempo pieno nei progetti, ai quali si sono aggiunti 7.050 professionisti a tempo parziale e 2.940 collaboratori coinvolti a chiamata, per consulenze specifiche. Per un totale di 11.734 persone impiegate a vario titolo nei progetti, tra cui mediatori, operatori dell'integrazione, legali, educatori e amministrativi, tutti alacremente all'opera per dare un futuro ai ragazzotti venuti dall'Africa.A cui vanno aggiunti gli stipendi degli 80 dipendenti della Fondazione Cittalia, i 140.000 euro che spettano annualmente al direttore, gli 87.000 che vanno al responsabile degli uffici di ricerca e giù a scendere fino ai contratti di consulenza. Tutti benefit che con i tagli decisi al sistema Sprar dal nuovo governo (che limiterà l'accoglienza solo a chi ha già ottenuto lo status di rifugiato) rischiano di diventare soltanto un vago ricordo.