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2020-05-25
Il lato oscuro del De Luca show
Vincenzo De Luca (Francesco Pecoraro/Getty Images)
È diventato la star del lockdown, il re dei social, lo sceriffo difensore degli interessi della Campania che quando meno te lo aspetti irrompe su Facebook, minacciando di intervenire con il lanciafiamme contro una festa di laurea che viola i divieti, di chiudere le frontiere a una «minacciosa» calata di lombardi infetti o ridicolizzando certi «vecchi cinghialoni» che fanno footing in mezzo alle famiglie. È il quotidiano show di Vincenzo De Luca, il governatore della Campania. L'ultima trovata è il no secco all'accordo tra Stato e Regioni sulla libera circolazione sul territorio nazionale dal 3 giugno. Al grido di «non passa lo straniero untore», il governatore Pd ha puntato i piedi, deciso a far di testa sua. Il che vuol dire poter decidere anche l'ultimo giorno utile. Un piglio che comincia a infastidire anche il suo partito, poco tollerante verso certi protagonismi. Ma De Luca ha davanti l'orizzonte elettorale e tanta cortina fumogena serve a nascondere le magagne della sua legislatura e quelle emerse durante l'emergenza Covid.
Innanzitutto, serve a far dimenticare che a fine febbraio, mentre al Nord scoppiava la pandemia, lui esortava a non fare dell'allarmismo perché, disse, il coronavirus semmai «accompagna i novantaquattrenni, già malati, nell'ultimo viaggio». Salvo ricredersi di lì a breve, sposando in pieno la linea salviniana della chiusura totale. Il virus ha trovato il governo regionale totalmente impreparato, con un numero limitatissimo di posti letto in terapia intensiva, 335, che hanno reso la Regione ultima in Italia in relazione alla popolazione. Eppure, nei cinque anni di amministrazione, De Luca ha annunciato più volte, senza mai realizzarlo, il raddoppio dei posti letto. Dieci giorni fa ne ha promessi addirittura 800 entro l'autunno.
Un cronico ritardo sottolineato più volte, già prima del Covid, dall'opposizione. La consigliera regionale di Forza Italia Maria Grazia Di Scala, a gennaio, aveva invitato il governatore «a farsi un giro per gli ospedali» così da rendersi conto dell'effettivo adempimento dei Lea (i livelli essenziali di assistenza). «La Campania è l'unica regione d'Italia, con la Calabria, a registrare lo status di inadempienza», tuonavano gli azzurri in risposta alle sventolate di ottimismo del governatore. Il piano di rientro dal deficit da 9 miliardi, ultimato da De Luca, si è rivelato un capestro per il sistema sanitario campano. Ospedali chiusi, letti insufficienti, blocco del turn over, liste d'attesa infinite, reparti fatiscenti, condizioni igieniche da terzo mondo come testimoniano le immagini delle invasioni di formiche al San Giovanni Bosco di Napoli, dove a gennaio 2019 è anche crollato il soffitto della sala parto. Per non parlare dei cedimenti dell'ospedale Incurabili nel centro storico di Napoli. I tagli draconiani alla spesa si sono rovesciati sui malati peggiorando la qualità dell'assistenza. A febbraio 2017 la Campania aveva ricevuto fondi per effettuare lavori di ristrutturazione della rete ospedaliera ma, come denunciato dai 5 stelle, «le risorse non sono state utilizzate».
I malati preferiscono farsi curare al Nord. Nel 2018 la spesa sostenuta per la mobilità sanitaria in Campania è stata di 425.965.000 euro.
Non c'è da stupirsi se la Regione risulta ultima per tamponi in Italia, con un cambio di atteggiamento sui test rapidi sierologici bollati prima come «idiozia» per poi annunciarne un'applicazione di massa, inutile dirlo, mai realizzarla. «De Luca ha parlato di 300.000 test sierologici ma al momento non esiste un piano regionale specifico né ci sono fondi previsti in bilancio», afferma Nicola Molteni, coordinatore della Lega in Campania. «Piuttosto che preoccuparsi dell'approvvigionamento delle mascherine e di calmierarne i prezzi, De Luca ne ha inviate 2 per famiglia, sufficienti per pochi giorni, non conformi alle norme in quanto prive della certificazione CE, ma con il simbolo della Regione, quasi come un volantino elettorale». Molteni sottolinea anche l'altra grande operazione di spreco di denaro pubblico, ovvero «l'acquisto dei moduli di prefabbricato per i reparti Covid: spesi 15 milioni di fondi pubblici per presidi che non sono mai entrati in funzione e che ora giacciono fuori dagli ospedali. Su questa vicenda è in corso un'inchiesta condotta dai pm della Procura di Napoli Giuseppe Lucantonio e Mariella Di Mauro.
Ultimo caso è la gestione dei bandi Soresa, la società regionale per gli acquisti in sanità, finita sotto inchiesta della Procura per una gara con la quale è stato affidato a un laboratorio privato di Casalnuovo, in provincia di Napoli, il compito di processare i tamponi. L'accertamento è partito dopo gli esposti di altre imprese del settore poiché i tempi indicati dalla Regione per rispondere al bando sono risultati inferiori a 11 ore. Su quest'ultima vicenda pende anche un giudizio davanti al Tar».
La linea della chiusura senza se e senza ma, imposta da De Luca anche in contrasto con il governo, sta causando gravi contraccolpi all'economia della Regione. Nel frattempo, il governatore ha «mitragliato» la popolazione con un numero di ordinanze (48) e di chiarimenti (26) che non ha uguali in Italia, aumentando la confusione di famiglie e imprese. De Luca ha annunciato un piano economico-sociale di 900 milioni di euro, ma si tratta di «un riallineamento dei fondi regionali dirottati da altre voci di bilancio e rispalmati dai circa 1,4 miliardi di euro di fondi europei assegnati alla Campania per il periodo 2014-2020 e non spesi», fa notare Molteni. Il leghista indica altri casi di fondi già previsti e dirottati: «Il contributo una tantum destinato a professionisti e autonomi (una platea di 80.000 persone che nel 2019 ha avuto un reddito inferiore a 35.000 euro e per la quale il piano regionale prevede 80 milioni di bonus) altro non è che la misura annunciata dal governo con il decreto Cura Italia. Le risorse pari a 10.387.720 euro destinati alle fasce più deboli sono previste nel Fondo povertà nazionale e quindi già assegnate agli ambiti sociali di zona. Il bonus destinato ai soggetti con disabilità (oltre 30,5 milioni di euro) è già ricompreso nella programmazione Por-Fse 2014-2020 e riallineato allo stato emergenziale».
Non pago della polemica costante, De Luca si è scatenato pure contro il ministro Giuseppe Provenzano, suo collega di partito, per i fondi destinati al Mezzogiorno. «Alla Campania è stato accordato appena un terzo delle somme previste dal vuoto programma economico del governatore», afferma Molteni. «Le altre risorse sono vincolate e per ora ferme perché la Regione non ha ancora inviato al ministero le relazioni tecniche».
«Regione chiusa così i turisti stanno lontani»
«De Luca sta uccidendo il turismo. Abbiamo 75 alberghi di cui 7 extra lusso, che sono un richiamo a livello internazionale senza eguali, e un centinaio di ristoranti, ma sono tutti fermi, appesi alle decisioni del nostro governatore. Non si sa se il 3 giugno aprirà i confini della Campania. Intanto milioni vanno in fumo, per non parlare dei posti di lavoro stagionali persi». È un fiume in piena Michele De Lucia, sindaco di Positano. Il Comune, 4.000 abitanti, è la perla della Costiera amalfitana che tutto il mondo ci invidia. «Il lockdown è finito ma la normalità è ancora lontana. Tante attività hanno deciso di rinviare l'apertura perché mancano i turisti e accendere le luci ha un costo che è difficile coprire con gli incassi». A marzo, spiega De Lucia, «gli alberghi avevano tutto prenotato fino a novembre. La stagione dura a lungo. Con il Covid sono arrivate, a valanga, le disdette e ora con l'incertezza sull'apertura delle frontiere regionali stiamo subendo un danno economico incalcolabile. Tutto questo non ha senso»».
Positano come vive le decisioni di De Luca?
«Non è possibile ricominciare se il governatore parla di confini ancora chiusi. È assurdo non aprire neanche verso regioni che contano meno contagi della nostra. Non si può arrivare a ridosso della data fissata dal governo senza poter programmare. De Luca non può attendere il 2 giugno per dirci se possiamo accogliere i turisti italiani e stranieri. E magari addirittura allungare ancora la chiusura. Nel frattempo che facciamo? Gli alberghi devono continuare a respingere le prenotazioni? Chi si sposta dall'estero ma anche dall'Italia programma in anticipo, non decide all'ultimo momento».
Quant'è il giro d'affari del turismo a Positano?
«Abbiamo avuto tre anni favolosi. Nel 2019 oltre l'80% delle presenze è stata di stranieri e il 90% delle stanze sono state occupate da marzo a novembre. Quest'anno, prima della pandemia, gli alberghi avevano il tutto esaurito per la stagione estiva. Soltanto di tassa di soggiorno, l'anno scorso, abbiamo incassato 2 milioni di euro. E Positano conta 4.000 abitanti. Per l'accesso nell'area Ztl sono stati versati nelle casse comunali oltre 600.000 euro. Qui ci sono camere da oltre 5.000 euro a notte, contese dal jet set internazionale. Poi c'è il business dei matrimoni. L'anno scorso ne abbiamo avuti 100 soltanto di stranieri. Per ogni cerimonia vengono versati al Comune da 800 a 1.500 euro. Un paio di star americane avevano prenotato per celebrare le nozze a Positano ma hanno dovuto disdire. Per non parlare di ciò che si muove attorno a questi eventi, con ristoranti, catering, musica, fotografi, alberghi. Il 2019 è stato eccezionale, solo dal mare sono venuti 2 milioni di turisti con oltre 3.500 presenze al giorno. Tutti eravamo pronti per un altro anno di forte crescita. Poi la doccia fredda del virus. Ma i danni li fa anche il terrorismo mediatico».
Avete stimato a quanto ammontano i danni per le casse del Comune?
«Il Comune avrà circa 4 milioni di euro di mancati incassi. Ma la cifra è destinata ad aumentare se De Luca non apre».
E se il governatore dovesse prolungare lo stop, quali saranno le perdite per il vostro turismo?
«Difficile stimarle ma di sicuro ingenti. Alcuni alberghi l'anno scorso hanno fatturato anche 15 milioni di euro. Siamo un Comune piccolo ma con grandi interessi economici. Un albergatore mi diceva che una coppia aveva prenotato un soggiorno dal 4 all'11 giugno ma dopo aver sentito che De Luca forse non apre i confini, ha chiamato chiedendo di annullare. L'esercente ha tentato di convincerli sospendendo la penale in caso di disdetta all'ultimo momento, ma non so se attenderanno le decisioni del governatore. Casi come questo sono sempre più frequenti con l'avvicinarsi dell'estate. Gli albergatori ricevono tante chiamate dall'estero di persone che vorrebbero fissare un soggiorno anche perché qui non ci sono stati casi di contagio, ma chiedono certezze e nessuno di noi può darle. Le prenotazioni, anche se in forma ridotta, continuano ad arrivare. Vogliamo ripartire, abbiamo tutte le condizioni di sicurezza».
«È stato soltanto capace di tagliare»
«De Luca ha intensificato lo smantellamento della sanità pubblica a vantaggio di quella privata. Se la Campania avesse avuto i numeri del contagio della Lombardia, sarebbe stata un'ecatombe. La pandemia ha colto la Regione totalmente impreparata. In cinque anni, tagli e depotenziamento della struttura ospedaliera hanno devastato la nostra sanità. Quando De Luca dice che nessuno dovrebbe recarsi al Nord per curarsi, perché la nostra sanità è la migliore in Italia, dimentica qualcosa ». Difficile arginare l'attacco di Valeria Ciarambino, battagliera capogruppo del M5s alla Regione Campania.
Cosa dimentica De Luca?
«Si parte dai tempi biblici delle liste d'attesa. Per una mammografia bisogna pazientare anche un anno e per interventi urologici e oculistici fino a tre anni. Per non parlare della chirurgia oncologica. I dati Agenas dicono che siamo primi in Italia per mortalità evitabile, per quella tumorale e materna. Manca una rete materna infantile, ictus e trauma. Siamo ultimi in Europa per aspettativa di vita, 7 anni più bassa. Questo è il frutto di un'opera scientifica di smantellamento della struttura ospedaliera».
De Luca ha spesso accusato il governo di non inviare i dispositivi di protezione in Campania. La Regione non doveva essere pronta per l'emergenza a prescindere dall'intervento di Roma?
«Proprio così. Secondo quanto stabilito dal Piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale approvato nel 2006 dalla conferenza Stato-Regioni e, nel caso della Campania, in base a una delibera regionale del 2009, De Luca aveva l'obbligo di attuare una serie di iniziative di prevenzione e contenimento di una possibile emergenza fin dalla notizia di diffusione del Covid in Cina, cioè da dicembre 2019, un mese prima che il governo dichiarasse lo stato di emergenza e due mesi prima che il virus arrivasse in Campania. Se fosse intervenuto nei tempi indicati dalla delibera, sarebbe stato più semplice reperire i dispositivi. Ma De Luca ha fatto lo scaricabarile sul governo».
Quali erano le competenze della Regione?
«Da dicembre, nello stato di pre allerta, spettava alla Regione e non al governo adottare misure per limitare la trasmissione del contagio in scuole, case di riposo, uffici. Se si fosse provveduto in tempo a effettuare una ricognizione dei posti di terapia intensiva, avremmo saputo con mesi di anticipo che erano la metà di quelli necessari in condizioni normali e si poteva provvedere a crearne un numero adeguato in previsione dell'emergenza. De Luca per cinque anni è stato presidente di Regione e assessore alla sanità; in più, negli ultimi tre anni, commissario alla sanità, quindi plenipotenziario. In base al decreto ministeriale 70 in Campania avremmo dovuto avere circa 620 posti letto di terapia intensiva in condizioni normali. Con il Covid dovevano essere aumentati del 50% per la terapia intensiva e del 100% per la terapia subintensiva. Invece quando è scoppiata l'emergenza in Campania, c'erano solo 335 posti di terapia intensiva. È stato lui stesso a dichiarare questa cifra. In cinque anni De Luca ha attivato la metà dei posti di terapia intensiva che servivano in condizioni di normalità. Con i numeri della Lombardia, qui ci sarebbe stata un'ecatombe».
Di qui la rincorsa a mettere una toppa con gli ospedali prefabbricati?
«Esatto. Non potendo fare in 15 giorni ciò che non ha fatto in 5 anni, si è inventato una gara lampo da 18 milioni di euro per comprare tre ospedali prefabbricati da mettere a Napoli, Salerno e Caserta per incrementare i posti letto di terapia intensiva».
Non c'erano alternative?
«Certo. Noi dei 5 stelle gli abbiamo detto che queste risorse potevano essere utilizzate per migliorare le condizioni degli ospedali depotenziati nel tempo, come quelli di Agropoli e di San Gennaro, provvisti ancora di reparti per i casi gravi e di tutta l'impiantistica. Inoltre si poteva utilizzare il secondo policlinico di Napoli la cui struttura consente l'isolamento. De Luca ci ha risposto che siccome eravamo a fine febbraio, non c'erano i tempi per sistemare le strutture ospedaliere esistenti. Per fare presto i prefabbricati erano la soluzione ideale».
E si è fatto davvero presto?
«La consegna in piena operatività del modulo di Ponticelli a Napoli è avvenuta il 4 maggio, cioè quando i posti di terapia intensiva, grazie a Dio, non servivano più. Ora nel prefabbricato ci sono 5 pazienti di cui uno asintomatico. Se i moduli sono vuoti io sono ben felice. Ma è stato uno spreco di denaro pubblico che poteva migliorare la rete ospedaliera del territorio».
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Aveva il record negativo di letti in terapia intensiva. Ha promesso di raddoppiarli e non l'ha fatto. Spende oltre 400 milioni per chi si cura al Nord. Ha regalato mascherine senza omologazione.«Regione chiusa così i turisti stanno lontani». Il sindaco di Positano Michele De Lucia: «Il governatore non fa altro che alimentare l'incertezza».«È stato soltanto capace di tagliare». La capogruppo dei 5 stelle in Regione Valeria Ciarambino: «Per tre anni è stato commissario alla sanità e ci ritroviamo con liste d'attesa eterne e l'aspettativa di vita più bassa d'Europa. Uno spreco gli ospedali prefabbricati anti Covid».Lo speciale contiene tre articoli. È diventato la star del lockdown, il re dei social, lo sceriffo difensore degli interessi della Campania che quando meno te lo aspetti irrompe su Facebook, minacciando di intervenire con il lanciafiamme contro una festa di laurea che viola i divieti, di chiudere le frontiere a una «minacciosa» calata di lombardi infetti o ridicolizzando certi «vecchi cinghialoni» che fanno footing in mezzo alle famiglie. È il quotidiano show di Vincenzo De Luca, il governatore della Campania. L'ultima trovata è il no secco all'accordo tra Stato e Regioni sulla libera circolazione sul territorio nazionale dal 3 giugno. Al grido di «non passa lo straniero untore», il governatore Pd ha puntato i piedi, deciso a far di testa sua. Il che vuol dire poter decidere anche l'ultimo giorno utile. Un piglio che comincia a infastidire anche il suo partito, poco tollerante verso certi protagonismi. Ma De Luca ha davanti l'orizzonte elettorale e tanta cortina fumogena serve a nascondere le magagne della sua legislatura e quelle emerse durante l'emergenza Covid. Innanzitutto, serve a far dimenticare che a fine febbraio, mentre al Nord scoppiava la pandemia, lui esortava a non fare dell'allarmismo perché, disse, il coronavirus semmai «accompagna i novantaquattrenni, già malati, nell'ultimo viaggio». Salvo ricredersi di lì a breve, sposando in pieno la linea salviniana della chiusura totale. Il virus ha trovato il governo regionale totalmente impreparato, con un numero limitatissimo di posti letto in terapia intensiva, 335, che hanno reso la Regione ultima in Italia in relazione alla popolazione. Eppure, nei cinque anni di amministrazione, De Luca ha annunciato più volte, senza mai realizzarlo, il raddoppio dei posti letto. Dieci giorni fa ne ha promessi addirittura 800 entro l'autunno.Un cronico ritardo sottolineato più volte, già prima del Covid, dall'opposizione. La consigliera regionale di Forza Italia Maria Grazia Di Scala, a gennaio, aveva invitato il governatore «a farsi un giro per gli ospedali» così da rendersi conto dell'effettivo adempimento dei Lea (i livelli essenziali di assistenza). «La Campania è l'unica regione d'Italia, con la Calabria, a registrare lo status di inadempienza», tuonavano gli azzurri in risposta alle sventolate di ottimismo del governatore. Il piano di rientro dal deficit da 9 miliardi, ultimato da De Luca, si è rivelato un capestro per il sistema sanitario campano. Ospedali chiusi, letti insufficienti, blocco del turn over, liste d'attesa infinite, reparti fatiscenti, condizioni igieniche da terzo mondo come testimoniano le immagini delle invasioni di formiche al San Giovanni Bosco di Napoli, dove a gennaio 2019 è anche crollato il soffitto della sala parto. Per non parlare dei cedimenti dell'ospedale Incurabili nel centro storico di Napoli. I tagli draconiani alla spesa si sono rovesciati sui malati peggiorando la qualità dell'assistenza. A febbraio 2017 la Campania aveva ricevuto fondi per effettuare lavori di ristrutturazione della rete ospedaliera ma, come denunciato dai 5 stelle, «le risorse non sono state utilizzate». I malati preferiscono farsi curare al Nord. Nel 2018 la spesa sostenuta per la mobilità sanitaria in Campania è stata di 425.965.000 euro.Non c'è da stupirsi se la Regione risulta ultima per tamponi in Italia, con un cambio di atteggiamento sui test rapidi sierologici bollati prima come «idiozia» per poi annunciarne un'applicazione di massa, inutile dirlo, mai realizzarla. «De Luca ha parlato di 300.000 test sierologici ma al momento non esiste un piano regionale specifico né ci sono fondi previsti in bilancio», afferma Nicola Molteni, coordinatore della Lega in Campania. «Piuttosto che preoccuparsi dell'approvvigionamento delle mascherine e di calmierarne i prezzi, De Luca ne ha inviate 2 per famiglia, sufficienti per pochi giorni, non conformi alle norme in quanto prive della certificazione CE, ma con il simbolo della Regione, quasi come un volantino elettorale». Molteni sottolinea anche l'altra grande operazione di spreco di denaro pubblico, ovvero «l'acquisto dei moduli di prefabbricato per i reparti Covid: spesi 15 milioni di fondi pubblici per presidi che non sono mai entrati in funzione e che ora giacciono fuori dagli ospedali. Su questa vicenda è in corso un'inchiesta condotta dai pm della Procura di Napoli Giuseppe Lucantonio e Mariella Di Mauro.Ultimo caso è la gestione dei bandi Soresa, la società regionale per gli acquisti in sanità, finita sotto inchiesta della Procura per una gara con la quale è stato affidato a un laboratorio privato di Casalnuovo, in provincia di Napoli, il compito di processare i tamponi. L'accertamento è partito dopo gli esposti di altre imprese del settore poiché i tempi indicati dalla Regione per rispondere al bando sono risultati inferiori a 11 ore. Su quest'ultima vicenda pende anche un giudizio davanti al Tar».La linea della chiusura senza se e senza ma, imposta da De Luca anche in contrasto con il governo, sta causando gravi contraccolpi all'economia della Regione. Nel frattempo, il governatore ha «mitragliato» la popolazione con un numero di ordinanze (48) e di chiarimenti (26) che non ha uguali in Italia, aumentando la confusione di famiglie e imprese. De Luca ha annunciato un piano economico-sociale di 900 milioni di euro, ma si tratta di «un riallineamento dei fondi regionali dirottati da altre voci di bilancio e rispalmati dai circa 1,4 miliardi di euro di fondi europei assegnati alla Campania per il periodo 2014-2020 e non spesi», fa notare Molteni. Il leghista indica altri casi di fondi già previsti e dirottati: «Il contributo una tantum destinato a professionisti e autonomi (una platea di 80.000 persone che nel 2019 ha avuto un reddito inferiore a 35.000 euro e per la quale il piano regionale prevede 80 milioni di bonus) altro non è che la misura annunciata dal governo con il decreto Cura Italia. Le risorse pari a 10.387.720 euro destinati alle fasce più deboli sono previste nel Fondo povertà nazionale e quindi già assegnate agli ambiti sociali di zona. Il bonus destinato ai soggetti con disabilità (oltre 30,5 milioni di euro) è già ricompreso nella programmazione Por-Fse 2014-2020 e riallineato allo stato emergenziale». Non pago della polemica costante, De Luca si è scatenato pure contro il ministro Giuseppe Provenzano, suo collega di partito, per i fondi destinati al Mezzogiorno. «Alla Campania è stato accordato appena un terzo delle somme previste dal vuoto programma economico del governatore», afferma Molteni. «Le altre risorse sono vincolate e per ora ferme perché la Regione non ha ancora inviato al ministero le relazioni tecniche».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-lato-oscuro-del-de-luca-show-2646076504.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="regione-chiusa-cosi-i-turisti-stanno-lontani" data-post-id="2646076504" data-published-at="1590349281" data-use-pagination="False"> «Regione chiusa così i turisti stanno lontani» «De Luca sta uccidendo il turismo. 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Tutto questo non ha senso»». Positano come vive le decisioni di De Luca? «Non è possibile ricominciare se il governatore parla di confini ancora chiusi. È assurdo non aprire neanche verso regioni che contano meno contagi della nostra. Non si può arrivare a ridosso della data fissata dal governo senza poter programmare. De Luca non può attendere il 2 giugno per dirci se possiamo accogliere i turisti italiani e stranieri. E magari addirittura allungare ancora la chiusura. Nel frattempo che facciamo? Gli alberghi devono continuare a respingere le prenotazioni? Chi si sposta dall'estero ma anche dall'Italia programma in anticipo, non decide all'ultimo momento». Quant'è il giro d'affari del turismo a Positano? «Abbiamo avuto tre anni favolosi. Nel 2019 oltre l'80% delle presenze è stata di stranieri e il 90% delle stanze sono state occupate da marzo a novembre. Quest'anno, prima della pandemia, gli alberghi avevano il tutto esaurito per la stagione estiva. Soltanto di tassa di soggiorno, l'anno scorso, abbiamo incassato 2 milioni di euro. E Positano conta 4.000 abitanti. Per l'accesso nell'area Ztl sono stati versati nelle casse comunali oltre 600.000 euro. Qui ci sono camere da oltre 5.000 euro a notte, contese dal jet set internazionale. Poi c'è il business dei matrimoni. L'anno scorso ne abbiamo avuti 100 soltanto di stranieri. Per ogni cerimonia vengono versati al Comune da 800 a 1.500 euro. Un paio di star americane avevano prenotato per celebrare le nozze a Positano ma hanno dovuto disdire. Per non parlare di ciò che si muove attorno a questi eventi, con ristoranti, catering, musica, fotografi, alberghi. Il 2019 è stato eccezionale, solo dal mare sono venuti 2 milioni di turisti con oltre 3.500 presenze al giorno. Tutti eravamo pronti per un altro anno di forte crescita. Poi la doccia fredda del virus. Ma i danni li fa anche il terrorismo mediatico». Avete stimato a quanto ammontano i danni per le casse del Comune? «Il Comune avrà circa 4 milioni di euro di mancati incassi. Ma la cifra è destinata ad aumentare se De Luca non apre». E se il governatore dovesse prolungare lo stop, quali saranno le perdite per il vostro turismo? «Difficile stimarle ma di sicuro ingenti. Alcuni alberghi l'anno scorso hanno fatturato anche 15 milioni di euro. Siamo un Comune piccolo ma con grandi interessi economici. Un albergatore mi diceva che una coppia aveva prenotato un soggiorno dal 4 all'11 giugno ma dopo aver sentito che De Luca forse non apre i confini, ha chiamato chiedendo di annullare. L'esercente ha tentato di convincerli sospendendo la penale in caso di disdetta all'ultimo momento, ma non so se attenderanno le decisioni del governatore. Casi come questo sono sempre più frequenti con l'avvicinarsi dell'estate. Gli albergatori ricevono tante chiamate dall'estero di persone che vorrebbero fissare un soggiorno anche perché qui non ci sono stati casi di contagio, ma chiedono certezze e nessuno di noi può darle. Le prenotazioni, anche se in forma ridotta, continuano ad arrivare. Vogliamo ripartire, abbiamo tutte le condizioni di sicurezza». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-lato-oscuro-del-de-luca-show-2646076504.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="e-stato-soltanto-capace-di-tagliare" data-post-id="2646076504" data-published-at="1590349281" data-use-pagination="False"> «È stato soltanto capace di tagliare» «De Luca ha intensificato lo smantellamento della sanità pubblica a vantaggio di quella privata. Se la Campania avesse avuto i numeri del contagio della Lombardia, sarebbe stata un'ecatombe. La pandemia ha colto la Regione totalmente impreparata. In cinque anni, tagli e depotenziamento della struttura ospedaliera hanno devastato la nostra sanità. Quando De Luca dice che nessuno dovrebbe recarsi al Nord per curarsi, perché la nostra sanità è la migliore in Italia, dimentica qualcosa ». Difficile arginare l'attacco di Valeria Ciarambino, battagliera capogruppo del M5s alla Regione Campania. Cosa dimentica De Luca? «Si parte dai tempi biblici delle liste d'attesa. Per una mammografia bisogna pazientare anche un anno e per interventi urologici e oculistici fino a tre anni. Per non parlare della chirurgia oncologica. I dati Agenas dicono che siamo primi in Italia per mortalità evitabile, per quella tumorale e materna. Manca una rete materna infantile, ictus e trauma. Siamo ultimi in Europa per aspettativa di vita, 7 anni più bassa. Questo è il frutto di un'opera scientifica di smantellamento della struttura ospedaliera». De Luca ha spesso accusato il governo di non inviare i dispositivi di protezione in Campania. La Regione non doveva essere pronta per l'emergenza a prescindere dall'intervento di Roma? «Proprio così. Secondo quanto stabilito dal Piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale approvato nel 2006 dalla conferenza Stato-Regioni e, nel caso della Campania, in base a una delibera regionale del 2009, De Luca aveva l'obbligo di attuare una serie di iniziative di prevenzione e contenimento di una possibile emergenza fin dalla notizia di diffusione del Covid in Cina, cioè da dicembre 2019, un mese prima che il governo dichiarasse lo stato di emergenza e due mesi prima che il virus arrivasse in Campania. Se fosse intervenuto nei tempi indicati dalla delibera, sarebbe stato più semplice reperire i dispositivi. Ma De Luca ha fatto lo scaricabarile sul governo». Quali erano le competenze della Regione? «Da dicembre, nello stato di pre allerta, spettava alla Regione e non al governo adottare misure per limitare la trasmissione del contagio in scuole, case di riposo, uffici. Se si fosse provveduto in tempo a effettuare una ricognizione dei posti di terapia intensiva, avremmo saputo con mesi di anticipo che erano la metà di quelli necessari in condizioni normali e si poteva provvedere a crearne un numero adeguato in previsione dell'emergenza. De Luca per cinque anni è stato presidente di Regione e assessore alla sanità; in più, negli ultimi tre anni, commissario alla sanità, quindi plenipotenziario. In base al decreto ministeriale 70 in Campania avremmo dovuto avere circa 620 posti letto di terapia intensiva in condizioni normali. Con il Covid dovevano essere aumentati del 50% per la terapia intensiva e del 100% per la terapia subintensiva. Invece quando è scoppiata l'emergenza in Campania, c'erano solo 335 posti di terapia intensiva. È stato lui stesso a dichiarare questa cifra. In cinque anni De Luca ha attivato la metà dei posti di terapia intensiva che servivano in condizioni di normalità. Con i numeri della Lombardia, qui ci sarebbe stata un'ecatombe». Di qui la rincorsa a mettere una toppa con gli ospedali prefabbricati? «Esatto. Non potendo fare in 15 giorni ciò che non ha fatto in 5 anni, si è inventato una gara lampo da 18 milioni di euro per comprare tre ospedali prefabbricati da mettere a Napoli, Salerno e Caserta per incrementare i posti letto di terapia intensiva». Non c'erano alternative? «Certo. Noi dei 5 stelle gli abbiamo detto che queste risorse potevano essere utilizzate per migliorare le condizioni degli ospedali depotenziati nel tempo, come quelli di Agropoli e di San Gennaro, provvisti ancora di reparti per i casi gravi e di tutta l'impiantistica. Inoltre si poteva utilizzare il secondo policlinico di Napoli la cui struttura consente l'isolamento. De Luca ci ha risposto che siccome eravamo a fine febbraio, non c'erano i tempi per sistemare le strutture ospedaliere esistenti. Per fare presto i prefabbricati erano la soluzione ideale». E si è fatto davvero presto? «La consegna in piena operatività del modulo di Ponticelli a Napoli è avvenuta il 4 maggio, cioè quando i posti di terapia intensiva, grazie a Dio, non servivano più. Ora nel prefabbricato ci sono 5 pazienti di cui uno asintomatico. Se i moduli sono vuoti io sono ben felice. Ma è stato uno spreco di denaro pubblico che poteva migliorare la rete ospedaliera del territorio».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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