
Walt Heyer ha iniziato il percorso per diventare donna, ma la mutazione gli ha causato solo dolore e depressione. Così ha deciso di tornare indietro e di raccontare le storie delle centinaia di persone convinte a modificarsi da medici approfittatori e dall'ideologia.Blair Logsdon, tra il 1987 e il 2005, si è sottoposto a 167 interventi chirurgici. Nato maschio, il suo obiettivo era quello di diventare - un taglio dopo l'altro - una donna perfetta. Nel 2012 è finito addirittura sul Guinness dei primati per il «maggior numero di interventi chirurgici di riassegnazione del genere per una singola persona». Blair si operava ancora e ancora, ma non si sentiva meglio. I chirurghi incassavano i suoi soldi, il suo corpo si trasformava, ma lui continuava ad avere l'anima a brandelli. Fino a che non è capito: cambiare sesso non avrebbe risolto i suoi problemi. Purtroppo, però, tornare indietro non è esattamente la cosa più facile del mondo. Blair è un transgender pentito. Proprio come Billy, il quale - fortunatamente per lui - si è sottoposto a meno interventi, ha intrapreso un percorso di «detransitioning», è tornato uomo e adesso ha pure una moglie. Anche Michael ha deciso di ritornare sui suoi passi, e se la prende con i dottori che lo hanno spinto a cambiare sesso, esponenti di una «macchina da soldi malata».Le storie di queste persone sono raccontate nel libro Trans life survivors, appena pubblicato da un signore di nome Walt Heyer. Il volume raccoglie ben 300 casi di uomini che si sono incamminati sulla via dolorosa del mutamento di sesso e poi hanno deciso di cambiare vita. In America li chiamano appunto «detransitioner», ma sentirne parlare è piuttosto difficile.Nel giugno scorso, sulla prestigiosa rivista The Atlantic, Jesse Singal ha scritto un lungo articolo (ripreso in Italia da Rodolfo Casadei su Tempi) tentando di portare alla luce le vicende di questi maschi travagliati e sofferenti. Persone a cui è stata diagnosticata la disforia di genere e che, in molti casi, sono state spinte a cambiare sesso, ricavandone solo ulteriore dolore. «Molti di questi cosiddetti “detransitioner"», ha scritto Jesse Singal, «sostengono che la loro disforia fosse causata non da una profonda non corrispondenza fra la loro identità di genere e il loro corpo, ma piuttosto da problemi di salute mentale, traumi psicologici, ambienti misogini o combinazioni di questi e altri fattori. Dicono di essere stati spinti verso interventi con ormoni o chirurgia dalla pressione dei coetanei, o da medici che hanno trascurato altre potenziali spiegazioni del loro disturbo».Walt Heyer è un «detransitioner». Anzi, è stato probabilmente il primo a venire allo scoperto. Oggi ha 76 anni, è un fervente cristiano e da tempo si batte per difendere i «trans pentiti». Heyer, americano, si è sposato intorno ai vent'anni e lo è rimasto per circa 17 anni. Qualcosa però non andava. Sin da bambino, dentro Walt si annidava il pensiero del cambiamento di sesso. Forse perché sua nonna, quand'era bambino, amava agghindarlo come una principessina. Forse per via dell'educazione rigidissima che i genitori gli hanno impartito nel tentativo di «raddrizzarlo». Comunque sia, quel pensiero era sempre lì, dentro la testa di Walt: diventare donna. Fino a che, intorno ai 40 anni, non ha deciso di cambiare sesso. Solo che poi, dopo le prime operazioni, il suo disagio non ha fatto che aumentare. Walt Heyer era diventato Lara Jensen, ma era anche sprofondato nel gorgo nero della depressione. Eppure gli avevano detto che il cambio di sesso avrebbe guarito la sua disforia di genere. Gli avevano spiegato che era «prigioniero del corpo sbagliato», e gli avevano fatto intendere che la chirurgia avrebbe risolto tutto. Walt, tuttavia, non aveva alcuna disforia di genere. Ci sono voluti circa dieci anni prima che gli diagnosticassero un disturbo dissociativo della personalità. Un male che può essere tenuto a bada, con i giusti rimedi. Walt, infatti, è ritornato uomo, e ha cominciato a scrivere libri e tenere conferenze per raccontare la sua esperienza. Nel corso degli anni gli sono arrivate migliaia di email e telefonate da trans in cerca di aiuto. Lui le ha raccolte, e ha deciso di raccontarne alcune, le più emblematiche, in Trans life survivors.Il compito che Heyer si è assunto non è per niente semplice. Intanto, perché ha dovuto condividere la sua odissea privata. Ma, soprattutto, perché da quando ha iniziato a parlare viene preso d'assalto dagli attivisti Lgbt. Le esperienze di cui è testimone, del resto, sono l'esatto contrario dell'«eroticamente corretto». Intendiamoci: Walt e gli altri «pentiti» del cambio di sesso non sostengono che la disforia di genere non esista. Semplicemente, costoro svelano un meccanismo perverso. Oggi - soprattutto negli Usa - basta che un bambino manifesti una notevole passione per il rosa o pretenda di andare all'asilo con abiti femminili perché gli venga diagnosticata la disforia di genere. E l'approccio nei confronti di questo disturbo dell'identità sessuale è, nella maggioranza dei casi, ideologico. Si è affermata l'idea che si possa (e si debba) «diventare ciò che si è», dunque bisogna assecondare il cambiamento di sesso, talvolta persino promuoverlo.Ciò impedisce di individuare altri disturbi, ad esempio quello dissociativo dell'identità che affliggeva Heyer. Siamo nel pieno di quello che Walt chiama «transmania»: per paura di violare i «diritti di una minoranza», si suggerisce che il cambiamento di sesso sia la cosa più semplice e normale del mondo. Ma non è affatto così. Anzi, per tante persone la «transizione» si rivela un disastro di enormi proporzioni. E chi decide di tornare indietro non ha certo la strada spianata, anzi diventa una specie di reietto: ripudiato dalla comunità Lgbt, sospeso in un limbo di isolamento e depressione. Perché al giorno d'oggi si può diventare ciò che si vuole, ma «tornare uomini» sembra proibito.
Ansa
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