2021-07-19
Scordamaglia: «Il grande nemico della transizione verde è l’ideologia»
Luigi Scordamaglia (Ansa)
Il consigliere di Filiera Italia: «Se l’Asia ci inonda di plastica tradizionale, a cosa serve essere virtuosi?»«Quando entrano in gioco gli interessi nazionali, addio Ue. Lo stiamo vedendo per il blocco della plastica monouso. La direttiva Sup penalizza l’Italia che ha una forte presenza nel bio che andrebbe difesa. Finora però è prevalsa l’impostazione dei Paesi nordici e di Germania e Francia che hanno fatto muro. Il multiuso non è più sostenibile». Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, l’associazione delle aziende agricole e alimentari, non vuole fare il complottista, ma dietro la direttiva Ue, vede più di una manina ostile alle imprese italiane.L’industria italiana della plastica green rischia una batosta.«Proprio così. Il governo si sta adoperando per salvare i prodotti biodegradabili e la Commissione sembra aver recepito le istanze italiane. Il problema però è l’offensiva dei Paesi nordici che hanno impostato la loro economia sostenibile sul multiuso mentre sul bio sono in ritardo. Ci sono due alternative alla plastica monouso: la bioplastica di derivazione vegetale e l’utilizzo della carta resa impermeabile da un velo di plastica. L’Italia ha aziende leader in questi due settori, ma ora non sono valorizzate dalla direttiva europea. È inaccettabile».La direttiva rispecchia interessi contrari ai nostri?«Francia, Germania e i Paesi del Nord sono indietro in queste tecnologie e sponsorizzano il multiuso con un’operazione di marketing che sottolinea i vantaggi di poter riutilizzare un prodotto. La posizione maschera interessi economici».Cosa non va nel multiuso?«Non è così sostenibile come si vuol fare credere. I dati ufficiali documentano un consumo di acqua molto maggiore rispetto al monouso ed emissioni di Co2 legate all’energia utilizzata parecchio superiori. C’è poi il problema delle microplastiche connesse ai detergenti. Tutti siamo d’accordo che bisogna ridurre l’utilizzo della plastica, ma un conto è quella tradizionale derivata dal petrolio, altra cosa è la bioplastica compostabile. Durante la pandemia la ristorazione è cambiata, si è evoluta verso il delivery, incompatibile con il multiuso. Assurdo pensare di restituire piatti perché possano essere riutilizzati».Si potrà modificare la direttiva?«Il nostro governo ha avuto aperture da Bruxelles, come dimostrano le dichiarazioni del ministro Cingolani, che ha parlato con il vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans. Secondo Cingolani, l’accordo è che si continueranno a rivedere le linee guida in funzione delle nuove soluzioni tecnologiche ed è stato riconosciuto il fatto che un bicchiere fatto per il 90% da carta e per il 10% di plastica non deve essere considerato alla stregua dei bicchieri al 100% di plastica. Ma a queste aperture devono seguire le linee guida operative. Intanto l’Italia deve andare avanti per la sua strada e nel decreto in cui recepisce la direttiva deve inserire le modifiche. In caso contrario, qualora dovesse prevalere un’impostazione ideologica, l’industria italiana avrà buttato anni di tecnologie. Per non contare la perdita di occupazione. Su 50.000 addetti sono a rischio la metà».Teme che possa prevalere una posizione ideologica?«L’ideologia è il vero nemico della transizione ecologica. Inoltre è mancato un coordinamento europeo verso un’economia sostenibile. Questa mancanza di unità ci rende più fragili nell’imporre ai grandi produttori di plastica politiche restrittive. L’Europa può diventare virtuosa ma se poi la plastica tradizionale è riversata sul mercato da Cina e Corea, è dura combattere».
Jose Mourinho (Getty Images)