2019-03-12
Intesa con Pechino per gli accordi industriali «che aiutano le nostre imprese». Non sul 5G: «Quella è sicurezza nazionale». Una cosa sono le infrastrutture di cemento, altra cosa la trasmissione dei dati. Le prime rientrano a tutti gli effetti negli accordi commerciali, i secondi nel grande calderone bollente della sicurezza nazionale. Non a caso, ieri l'adesione dell'Italia alla Via della seta (che sarà firmata durante la visita a Roma del presidente cinese Xi Jinping) ha sollevato ancora un po' l'asticella delle tensioni geopolitiche. Da un lato gli Usa di Donald Trump, dall'altro il Dragone, in mezzo l'Italia. Ieri in una conferenza stampa Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti hanno detto la loro. Il secondo, appena tornato da una visita negli States, ha ribadito che l'accordo sulla Belt and Road non dovrà trasformarsi in un manifesto della sottomissione economica: «Bene gli accordi che aiutano le nostre aziende. Niente colonialismo economico e sul tema dei dati entra in campo la sicurezza nazionale». Gli è subito andato dietro il numero uno del Carroccio: «La posizione di Giorgetti è quella della Lega», ha detto specificando che sul 5G interverranno clausole tipiche della sicurezza nazionale. Compreso la possibilità di far scattare il golden power, l'opzione di congelare asset stranieri se lo Stato ravvedesse rischi. In sintesi: nessun problema nell'andare avanti sull'accordo per porti e infrastrutture, stop sul 5G senza una valutazione della cybersecurity. Subito dopo è intervenuto il ministero guidato da Luigi Di Maio. «Il Memorandum of understanding tra Italia e Cina non comprende alcun accordo inerente la tecnologia del 5G», spiega una nota aggiungendo che «il ministro ha istituito presso il Mise il Cvcn, Centro di valutazione e certificazione nazionale, per la verifica delle condizioni di sicurezza e dell'assenza di vulnerabilità di prodotti, apparati, e sistemi destinati ad essere utilizzati per il funzionamento di reti, servizi e infrastrutture strategiche, nonché di ogni altro operatore per cui sussiste un interesse nazionale». Pure Palazzo Chigi si è affrettato a ribadire che ogni rapporto con la Cina non sposterebbe il nostro asse lontano dall'equilibrio atlantista. Timore di fare arrabbiare Trump? Sicuramente, visto che poco prima aveva avvertito Angela Merkel: se aprite le porte a Huawei per la realizzazione delle reti 5G, gli Usa sono pronti a limitare la loro collaborazione con la Germania nel campo dell'intelligence. Una minaccia enorme e per capire quanto possa riguardarci bisognerà aspettare oggi, dopo che il premier Giuseppe Conte avrà riferito al Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Al di là della retorica, oggi il governo dovrà dimostrare al Parlamento quanto ha fatto il Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) guidato dal generale Gennaro Vecchione. Il suo vice delegato alla cybersecurity, Roberto Baldoni, è volato negli Stati Uniti la scorsa settimana. Evidentemente ha preso le misure per capire quale possano essere gli elementi formali e tecnici per tenere fuori dalla rete 5G la tecnologia di Huawei. A quanto risulta alla Verità, a oggi la nostra sicurezza non sarebbe in grado di tracciare quante siano in questo momento le «antenne» cinesi in Italia, chi le stia usando e che funzione abbiano esattamente. Nel numero di Limes appena uscito in edicola si accosta con estrema intelligenza la presenza dei consorzi cinesi 5G in Italia alla dislocazione delle basi militari americane o Nato. L'Italia non è in grado di dimostrare che l'attività 5G prossima ai militari Usa possa diventare essa stessa un'attività di controllo. Non è in grado di dimostrare nemmeno l'opposto. Il nostro Dis era già stato allarmato nel 2011 sul tema ma sembra che non siano stati fatti passi in avanti. La Cina nega qualunque attività illecita. Gli Usa sostengono il contrario. A noi spetterebbe fare la sintesi, ma se non abbiamo la capacità cibernetica di appurarlo, il governo dovrà decidere su informazioni non autoctone. Non sappiamo su quali basi parlerà oggi Conte. Forse gli saranno fornite pari pari le posizioni americane. Oppure, come ha fatto sulla Tav, si inventerà qualche stratagemma per svicolare. Il cavillo potrebbe essere quanto implicitamente ha confermato la nota di Di Maio: affidare al Cvcn del Mise il compito di valutare se il 5G cinese possa essere considerato uno strumento militare o solo un mezzo civile per le telecomunicazioni. A tutti gli effetti il Dis verrebbe un po' depotenziato, e si prenderebbe tempo. Ciò che è certo è che gli americani considerano le loro basi nel perimetro dell'homeland security, e faranno qualunque cose per tutelare la loro supremazia tecnica militare. Non è un caso che quando l'ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni partecipò al Forum prodromico all'accordo sulla Via della seta, e si vantò di essere l'unico premier del G7, Trump non ebbe nulla da dire. L'accordo sulla Bri (Belt and Road initiative) non importa nulla agli Usa. A meno che non contenga una sorta di scambio: infrastrutture in cambio di dati, e quindi della rete 5G. Se così fosse, gli Usa non disdegnerebbero un immediato cambio di governo. E troverebbero il modo di farlo capire apertamente.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.