
Altro che blocco dell'aliquota come assicurava Matteo Renzi: l'imposta salirà dal 10 al 23% su hotel, ristoranti e lavori domestici, ma non se si usano carte e bancomat. Un mezzo incostituzionale per recuperare 4 miliardi di euro.Il governo giallorosso nasce con due obiettivi. Il primo, eliminare politicamente Matteo Salvini. Il secondo evitare l'aumento dell'Iva. Al momento il Pd si vanta di aver tagliato la testa al leader del Carroccio, tanto che ieri mattina Matteo Renzi l'ha ribadito: «Si vota la fiducia al nuovo governo. A chi ha dubbi ricordo l'alternativa: aumento Iva, Italia isolata in Ue, odio verbale via social e nelle piazze/spiagge, spread, opacità russe, saluti romani. Bloccare i pieni poteri a Salvini era un dovere civile. Missione compiuta». Il secondo obiettivo rischia di essere un esercizio retorico mirato semplicemente a ottenere l'isolamento di Salvini e l'europeizzazione forzata dell'Italia. Infatti, pronti e via e l'Iva aumenterà, anche se non su tutte le voci e non automaticamente. Nel weekend il quotidiano Italia Oggi ha riportato un'intervista all'ex viceministro all'Economia, Massimo Garavaglia. Il leghista ha da poche ore lasciato le stanze di via XX Settembre ed è a conoscenza del progetto targato 5 stelle e approvato dal ministro uscente, Giovanni Tria. Con la scusa di arginare l'evasione fiscale si prevederebbe l'aumento dal 10 al 23% dell'Iva per i settori a maggior rischio, come per esempio ristorazione, alberghi e manutenzione della casa. L'aumento sarebbe sostenuto solo dai consumatori che pagano in contante al ristorante o in albergo, mentre per chi paga con carta di credito o con altri strumenti elettronici entrerebbe in vigore un meccanismo di rimborso, un cashback, dell'Iva pagata in più. Il meccanismo consentirebbe di portare a casa circa 4 miliardi di euro aggiuntivi a livello di gettito, contando sul fatto che il meccanismo di recupero sarebbe così complicato da diventare quasi impossibile. Innanzitutto, l'identità digitale del consumatore dovrebbe essere totalmente tracciata e poi gestita a livello centrale dall'agenzia delle Entrate. Anche se l'ente, a fine anno, riuscisse a infilare nel cassetto fiscale del singolo cittadino il differenziale Iva da usare a rimborso, c'è da scommettere che il saldo sarebbe sempre a favore dello Stato. Chiedere ristorni o correzioni imporrebbe infatti una contabilità che le persone fisiche non tengono di solito. E quindi alla fine lo Stato ci farebbe una sorta di cresta. Il che rende palesemente incostituzionale l'iter di recupero. I contanti sono a corso legale e nessun legislatore può punire chi li utilizza al posto del bancomat. Al di là dei dettagli tecnici che pur non sono irrilevanti, è chiaro che il Mef si renda conto di dover cercare tutti gli escamotage per trovare la quadra della manovra. Se anche Bruxelles concedesse tutta la flessibilità possibile (una dozzina di miliardi), ci sarebbero i soldi necessari per sterilizzare gli aumenti dell'Iva senza imporre sacrifici ai cittadini. Per le altre misure ribadite ieri da Giuseppe Conte durante il discorso alla Camera, però, resterebbe poco o niente. Già così ci sarebbe da affrontare una manovra tra i 30 e i 35 miliardi di euro. Per tagliare il cuneo fiscale, il costo della legge di bilancio dovrebbe salire fino a 45 miliardi almeno. Motivo per cui gli aumenti selettivi dell'Iva piacciono anche al Pd e al neo ministro Roberto Gualtieri. Il quale ha tirato fuori dal cassetto la bozza targata Tria. Avrebbe anche l'effetto di spingere sulla digitalizzazione dei pagamenti, tema carissimo alla sinistra e pure a Bruxelles. Recuperare così 4 miliardi dall'imposta dei consumi permetterà di avviare il taglio del cuneo fiscale, ripescando anche in questo caso un progetto già scritto nel 2016 da Pier Carlo Padoan. Il resto delle risorse arriverà dal taglio delle cosiddette tax expenditures, le detrazione e deduzioni fiscali. L'operazione, confermata da Conte di fronte ai deputati, consente di innalzare la pressione fiscale senza aumentare nominalmente le aliquote. Se il taglio fosse su tutte le voci varrebbe 70 miliardi di tasse in più; se, come si discute, avverrà solo su un 15/20%, il calcolo è presto fatto. Poco meno di 14 miliardi di euro. Pur sempre un'infinità per un governo che come collante avrebbe quello del risparmio fiscale per i cittadini. D'altronde le bugie hanno le gambe corte e in molti si accorgeranno a proprie spese che l'unico vero obiettivo dei giallorossi era prendere il potere.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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Lockheed F-35 «Lightning II» in costruzione a Fort Worth, Texas (Ansa)
- Il tycoon apre alla vendita dei «supercaccia» ai sauditi. Ma l’accordo commerciale aumenterebbe troppo la forza militare di Riad. Che già flirta con la Cina (interessata alla tecnologia). Tel Aviv: non ci hanno informato. In gioco il nuovo assetto del Medio Oriente.
- Il viceministro agli Affari esteri arabo: «Noi un ponte per le trattative internazionali».
Lo speciale contiene due articoli.
Roberto Cingolani, ad e direttore generale di Leonardo (Imagoeconomica)
Nasce una società con Edge Group: l’ambizione è diventare un polo centrale dell’area.






