2018-09-21
Il film sul vate dei pedofili è un caso. La Lega chiede la revoca dei fondi
Il gruppo consiliare del Carroccio in Emilia Romagna ha presentato un'interrogazione per l'annullamento del finanziamento alla pellicola su Mario Mieli. Il sottosegretario Lucia Borgonzoni: «Anche il ministero valuterà»Le riprese del film sull'attivista Lgbti Mario Mieli, Gli anni amari, del regista Andrea Adriatico, erano iniziate il 20 agosto scorso a Milano. Al fianco di Rai Cinema e Cinemare, c'erano i fondi pubblici a sostenere quest'opera di nicchia: 105.374 euro dalla Regione Emilia Romagna, 150.000 dal ministero dei Beni culturali, in aggiunta al contributo che Apulia film commission ha stanziato attingendo al Fondo europeo di sviluppo regionale. Ma dopo che La Verità ha contestato la decisione di destinare così cospicue risorse dei contribuenti alla realizzazione di una pellicola sulla vita di un apologeta della pedofilia, le cose si sono messe male per la produzione.Il gruppo consiliare della Lega Nord in Emilia Romagna ha presentato un'interrogazione a risposta scritta invocando la revoca immediata dello stanziamento destinato al lungometraggio di Adriatico. Nel testo dell'atto ispettivo vengono citati i virgolettati da Elementi di critica omosessuale, il «capolavoro» di Mieli (cui è intitolato il famoso circolo per la promozione dei diritti degli omosessuali fondato a Roma nel 1983), che Francesco Borgonovo aveva riportato nel suo articolo di martedì scorso. In quell'opera, Mieli difendeva, anzi, tesseva le lodi della «pederastia», che egli precisava essere un termine usato come sinonimo di pedofilia. «Noi checce rivoluzionarie», scriveva l'attivista negli Elementi di critica omosessuale, «sappiamo vedere nel bambino [...] l'essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l'amore con loro». È per questo che i consiglieri regionali del Carroccio hanno lamentato che la Regione abbia «di fatto contribuito alla produzione di un film che incensa un difensore della pedofilia». Lo stesso regista, Adriatico, in una nota stampa aveva presentato entusiasticamente la figura di Mieli, parlando della «rievocazione di un necessario movimento per i diritti» e del «ritratto di un ragazzo la cui genialità, la cui libertà interiore e la cui gioia di vivere erano troppo intense per il mondo che lo circondava». Un mondo dalle vedute forse troppo ristrette, che non riusciva ad apprezzare l'«inebriante sensualità» promanata dai bambini o a godersi un gustoso boccone di escrementi (già, perché Mario Mieli, dagli anni Settanta, iniziò ad avvicinarsi all'esoterismo e a teorizzare e praticare, anche pubblicamente, la nobile arte della coprofagia).A dare man forte ai rappresentanti della Lega in Emilia Romagna è arrivata una bolognese e salviniana doc, il sottosegretario alla Cultura Lucia Borgonzoni. La quale, in un comunicato, ha annunciato che se la pellicola sull'attivista Lgbti «dovesse ospitare contenuti che promuovano o incitino alla pedofilia, il contributo del ministero sarà revocato». La Borgonzoni ha assicurato che c'è «massima attenzione da parte del ministero nei riguardi del lungometraggio Gli anni amari. Senza entrare nel merito delle scelte, più o meno condivisibili, effettuate dalla commissione che valuta la qualità artistica delle sceneggiature», ha proseguito il sottosegretario, «vigilerò personalmente affinché vengano effettuate tutte le opportune verifiche sulla pellicola», per accertarsi che essa non veicoli messaggi di esaltazione della pedofilia o della violenza.Un approccio che indica la strada giusta da battere per evitare che, dietro la foglia di fico della libertà d'espressione, continui a insinuarsi l'abitudine di distribuire finanziamenti a pioggia a prodotti di dubbio valore artistico, buoni solo a propinare agli spettatori (pochi, immaginiamo) l'ideologia distorta del pensiero unico.Il punto, infatti, non è vietare a registi e produttori di girare i film sui soggetti che ritengono più meritevoli, né di sottoporre a censura preventiva i prodotti cinematografici distribuiti in Italia. La questione, semmai, è che nell'universo artistico deve subentrare una nuova logica: basta con i geni incompresi che campano di salassi ai contribuenti. I film, gli spettacoli teatrali, le mostre, i vernissage eccetera devono sapersi reggere sulle loro gambe, non diventare un mezzo di propaganda a uso e consumo delle solite lobby, che si battono per i presunti diritti civili. Lo Stato ha già speso fin troppo per sovvenzionare gli intellò e per sponsorizzare le perversioni sessuali che qualcuno ci vuole vendere come fossero una liberazione. Se certe sedicenti opere d'arte promuovono pratiche oggettivamente inaccettabili, è giusto che lo Stato perlomeno se ne dissoci. Con buona pace della «genialità» e della «libertà interiore» degli aedi della pederastia.
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