
Il corpo delle persone accumula sofferenze e ogni tanto le disperde tutte insieme. Mali che riguardano il fisico e non soltanto. All'eremita della montagna basta una macchia rossa in mezzo al bianco abbagliante della neve per precipitare nell'inferno.Per tutta la notte era scesa. Appena sveglio l'ha sentito, nelle ossa. Quel qualcosa che ha cambiato il mondo. Un mormorio irregolare radica giù dalle tegole che coprono il tetto del tugurio. Acqua, pensa Immenso. C'è acqua. Ma non è pioggia. È diverso. Acqua che sgocciola, come se qualcuno, fosse salito là in cima a mettere un panno bagnato, o una bacinella bucata, che perde. E non perde poco. Ma dopo ore quanto avrebbe dovuto essere grande, la bacinella? Anche i rumori sono diversi. Ogni tanto c'è qualche animale che si getta. Sente il tonfo, un rimbombo sordo, a fiato mozzo. Un solo rumore, come se chi lo producesse avesse timore di essere scoperto. Non può che essere la neve. Non sente freddo, nonostante la stagione. Il vetro della stanza è un francobollo opaco, rigato dalla rete di fil di ferro che lo vena, per impedire infrazioni. Ma si chiede, Immenso, chi abbia costruito questa casupola, come possa aver pensato che ci fosse bisogno di proteggersi, qui, a mezzo monte, in mezzo ai boschi? Da cosa mai si sarebbe potuto difendere, una finestrella da cui oltremodo nessun uomo sarebbe mai potuto entrare. Nemmeno il più snodabile dei ladri mignon della grande Repubblica popolare di Cina. Sarà stato il caso, forse un regalo. Forse un pezzo di vetro di un'altra casa che non serviva più. Immenso si alza, facendo attenzione a non dimenticarsi del ginocchio che pochi giorni addietro ha picchiato cadendo da un albero. Era salito per prendere le ultime uova e prima di ridiscendere aveva perso la presa. È caracollato giù come un sasso. O meglio: come un cretino. Aveva sentito subito il male esplodergli nelle ossa, nel cuore del ginocchio. Temeva. La paura che fosse rotto lo ha paralizzato per quasi un'ora. Poi, lentamente, ha preso coraggio, la pioggia stava ricominciando a picchiettare sulle ultime foglie appese ai rami e la sera iniziava a mostrare il suo brutto muso lungo. Prima ha disteso la gamba, attendendo che ogni nuova fitta si acuisse e poi disperdesse, nei nervi più piccoli, periferici ed invisibili. Comandare il dolore non si può ma ammaestrarsi a suddividerlo, ammansirsi, sì. Dipende anche da quanto dolore c'è. Il corpo delle persone accumula dolore e ogni tanto lo disperde tutto insieme. Come se fosse una batteria che ha fretta di scaricarsi. Quel ginocchio sembrava tutto fatto di dolore, bastava una leggera pressione sull'anca oppure sulla punta delle dita del piede per scatenare una scarica intensa. Oramai sfinito, la fronte madida di sudore, gli occhi fiaccati, e le mani affondate nella terra fangosa, Immenso stava riuscendo ad abbandonare le ultime resistenze. La gamba dritta se ne stava lì, e quasi invidiava i robot che possono dimenticarsi anche la testa e andarsene. Si è messo a ridere, quasi ubriaco, senza aver bevuto nemmeno una goccia. Con un inaspettato vigore si è alzato, tenendola rigida e muovendosi sopra il meno possibile. Grazie ad un bastone improvvisato e ricavato da un ramo spezzato, ha scoperto di poter avanzare verso casa. Ora quel ginocchio malandato fa ancora dispetto. È qui, appeso al bacino, gonfio il doppio dell'altro. Non è sicuro che sia saggio aspettare che passi. Forse sarebbe opportuno allungarsi fino al paese e farsi dare una controllata dal dottore. Si sa mai: quattro giri di vite, una sterzata alle gomme, una fasciatura e una pomata. O addirittura un'infiltrazione. Da ragazzo, quando si faceva male frequentando la montagna, riusciva addirittura a farsele da solo, con quelle lunghe siringhe ipodermiche che al solo sguardo possono preoccupare. Tratteneva il respiro, chiudeva gli occhi e iniettava. Aveva imparato che era più la paura che la fatica. «Forse adesso non saresti così scaltro…» si mormora, sollevando le spalle. Alzatosi si sposta in bagno, uno schiaffo a quel viso invecchiato che si specchia e una lavata sommaria. Deve però arrivare nel soggiorno-cucina per avere affaccio su una vera finestra. Il bastone-ramo lo aiuta ed eccolo accasciarsi sopra una delle seggiole impagliate. Una scossa e un urlo. Il ginocchio fa molto male. Non si è ancora scaricato del tutto, evidentemente. E ride. La finestra è appannata, anche se non ha ancora accesso il fuoco nella pancia della stufa a ghisa. Si rialza, dopo aver cacciato l'ennesimo lamento, si avvicina alla porta, schiavella la grossa chiave nera e tira a sé quella pesante porta da monastero. Quel che si tratteggia nei suoi occhi è uno spettacolo immacolato. Un mondo moltiplicato che nella regola del bianco accecante riveste il paesaggio dei lupi e dei castagni di una diversa interazione fra le forme di presenza e quelle dell'assenza. Alberi raddoppiati, uno di ghiaccio addosso ad uno di legno. Sentieri nascosti, affossati, e quei prati laggiù, inghiottiti dalla luce del cristallo. Un animale ha portato il suo muso umidiccio fino alla pietra che segna la soglia della casa. C'è una linea di impronte di zoccoli che vengono in qui, ricalcato poi per andarsene. Un piccolo, modesto, dio della selva che è venuto a benedire la sua porta di eremita. Immenso congiunge le mani e abbassa lo sguardo, muovendo in avanti la fronte e in basso il mento. Una lacrima sgorga dalla coda dell'occhio e scende, rigandogli il volto. Non si capisce se è una reazione emotiva, o una sollecitazione del corpo alla bassa temperatura della trama del ghiaccio. Il cielo è incurvato, si nasconde, si è mangiato le cime delle altre montagne. «Probabilmente nevicherà ancora, prima di sera». Poi lo nota. Per caso, lo nota. Un pugno di sangue dimenticato in mezzo a tutto quel tuffo bianco. Per qualche istante gli manca il respiro, le pupille si dilatano. Rientra, cerca le scarpe grosse, col carro armato chiodato. Ne indossa soltanto una, impensabile col ginocchio malandato che si ritrova. Riesce e si avvicina. S'inchina, avvicina la sua faccia a quel pozzo di sangue. Non capisce se al fondo c'è qualcosa che ancora pulsa ma gli sembra. Cosa potrebbe mai essere? Un organo disincarnato? Una lingua? Un rene? Oppure, addirittura, un cuore? E di quale bestia? Non un rumore di vita attraversa quell'intero porto di alberi, tutto assume le sembianze di un universo increato, come se fosse soltanto disegnato, un abbozzo che attende i dettagli definitivi prima di ricevere il permesso di mettersi in moto. Di funzionare. Di diventare vero mondo nel mondo. Immenso resta a fissare quel punto rosso fuori posto, quella nota stonata che sembra tanto un ammonimento. Un avvertimento. Un presagio di morte. Toccherà a lui? Toccherà a qualche altro eremita della montagna? O sarà una morte vasta che scenderà dal cielo e annienterà ogni forma di esistenza qui presente? Fioccherà dalle città di vetro? O scaturirà dal ventre roccioso della terra? E poi si ricorda. Il sangue, il viso tumefatto. Le sue mani aggrappate a quel collo che ha ceduto. Lo sconforto di avercela fatta, di aver osato e di aver ottenuto quel sacrilegio alla vita che la sua sconfinata rabbia avevano cucito insieme. Non si diventa eremiti, non si costruiscono muri alti come montagne fra sé e il resto degli uomini, senza una ferita profonda. Un terremoto che ha sovvertito i valori comuni. Qualcosa deve pur capitare, magari per colpa tua, magari semplicemente per coincidenze che ti conducono sul margine del baratro. Il disastro dalle bocche spumeggianti che sei obbligato a fissare per quel tempo che occorre ad avvicinare il calore ustionante delle fiamme di un inferno qualsiasi. Le sue mani sporche di sangue. Il sangue che aveva giurato di proteggere era ora versato. Lei non ce l'aveva fatta, troppo il dolore, troppo il furore. Le lacrime raddoppiano sul suo viso congestionato dal freddo e stravolto dal dolore del ginocchio. Come potrebbe essere questo un paradiso, lui che si era diretto sulla strada dell'assassinio e dello spergiuro? Che eden sarebbe mai potuto diventare questo, dove gli animali a quattro zampe sopravanzano quelli a due? Se lo poteva aspettare? Non era forse un'oscenità ritrovarsi nell'immacolato spettacolo della prima neve, dopo quello che le sue mani avevano saputo guastare per sempre? Nel suo petto, ne è sicuro, giace un cuore pietroso. Una caverna tetra, oscura, profanata.
Quando il bandito è un immigrato, tra i media scatta il silenzio o la ricerca di attenuanti. Proprio come con Pamela Mastropietro e Desirée Mariottini.
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