2020-04-09
Il decreto liquidità finisce nelle sabbie mobili Ue e blocca gli altri interventi
Non è stato bollinato: mancano i fondi e l'ok europeo. Nessuno ha visto un euro e il ritardo farà slittare gli aiuti alle partite Iva. Allarme di Confindustria Nord.Nel migliore dei casi, dal momento in cui il decreto per dare liquidità - o meglio, dire fidi - alle imprese entrerà in vigore, ci vorranno dieci giorni per rendere operativa la macchina del circuito bancario. Non perché gli istituti di credito siano lenti, ma perché il decreto semi partorito dai giallorossi delega gran parte delle attività, e la fetta di burocrazia che resta in capo allo Stato è nebulosa. Ma a dilatare i tempi è una causa lapalissiana. A tre giorni dalla conferenza stampa di annuncio mirabolante - e dal cdm -, il decreto non ha ancora visto la luce. E finché non andrà in Gazzetta, le promesse di Giuseppe Conte non saranno nemmeno messe nero su bianco. Nel momento in cui scriviamo, il testo non risulta bollinato dalla Ragioneria di Stato. E dunque non è idoneo per salire al Colle, e vedere apposta la firma del presidente Sergio Mattarella. Per un motivo molto semplice: non ci sono le coperture. A meno che non si voglia credere che da 1,5 miliardi si riesca a cavare garanzie per 400. Nemmeno Bernie Madoff. La prima cifra è il budget al momento previsto dal cdm come sottostante al decreto, e la seconda (quella monstre) è la somma dei prestiti a sei anni che lo Stato garantirebbe alle aziende italiane: metà per quelle che operano sul mercato interno e l'altra metà per l'export. Pure Conte è consapevole che creare 400 miliardi da una unità e mezza sarebbe un gioco di prestigio. Il decreto resta dunque nel limbo perché il governo non vuole fare altro deficit e pertanto non si è rivolto al Parlamento per chiedere l'autorizzazione a sforare (come ha fatto invece nel caso del decreto di marzo), e così aspetta il responso dell'Eurogruppo. In base all'esito della (finta) trattativa, il premier saprà quanti soldi potrà spendere realmente (o almeno impegnare) per il decreto destinato alle imprese e pure per il cosiddetto decreto di aprile. Un testo che, secondo le dichiarazioni del ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, dovrà consentire il prosieguo delle attività di sostegno agli autonomi e alle famiglie lasciato a metà dal decreto approvato a metà marzo. Banalmente: i bonus per le partite Iva richiesti la scorsa settimana sono erogabili fino a un massimo di 2 miliardi e poco più. Servirebbe un miliardo in più per sostenere le partite Iva. La speranza di Gualtieri era ritardare per mezzo della burocrazia Inps le erogazioni decise a marzo, e anticipare nella prima metà di aprile una seconda tranche per soddisfare tutti. Purtroppo per lui - e soprattutto per il Paese - l'impasse a Bruxelles sta facendo sballare calcoli e previsioni d'agenda. Soldi al momento non ce ne sono. Il deficit autorizzato dal Parlamento è stato usato tutto, e senza soldi veri il sostegno per le aziende diventerà un miraggio. O il governo metterà liquidità vera alzando l'asticella dei 25.000 euro garantiti al 100% dallo Stato o le aziende si ritroveranno in un percorso a ostacoli che durerà settimane. Con il rischio, nel frattempo, di fallire per coronavirus. Non a caso, ieri sera le imprese del Nord hanno lanciato un appello per la ripartenza delle attività. La Confindustria di Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto hanno sottoscritto un'agenda per la riapertura delle imprese e la difesa dei luoghi di lavoro e per fronteggiare l'emergenza coronavirus. Se le quattro principali regioni del Nord, che rappresentano il 45% del Pil italiano, non riusciranno a ripartire nel «breve periodo, il Paese rischia di spegnere definitivamente il proprio motore e ogni giorno che passa rappresenta un rischio in più di non riuscire più a rimetterlo in marcia», si spiega nel documento. In pratica, le associazioni industriali del Nord pongono un dubbio: morire di coronavirus o di fame per la crisi economica? È un bivio che nessuno dovrebbe affrontare, ma i ritardi nelle scelte stanno portando molti italiani a quel dilemma etico. Chissà se l'appello del Nord smuoverà qualcosa. Purtroppo la Confindustria nazionale non sembra altrettanto preoccupata. Anche se si è spinta a porsi la domanda di fondo. Si dovrà ora accertare «con quali tempi le nuove misure, che introducono diverse tipologie di coperture e alcune complessità, saranno rese operative, anche considerata la necessità per le banche di rivedere le loro procedure», si legge in una nota. «Il Fondo è comunque uno strumento già operativo e conosciuto dalle banche ed è verosimile che tale tempo sarà compresso al minimo». Quanto alla garanzia Sace, fanno sapere da Viale dell'Astronomia, «il cui impianto appare nel complesso positivo e in linea con le proposte avanzate da Confindustria per assicurare una copertura di garanzia anche alle imprese di grandi dimensioni, andranno verificati i tempi effettivi di messa in funzione. L'intervento, per la cui attivazione servono comunque dei decreti di natura non regolamentare, richiede infatti tempo per mettere in piedi una procedura nuova e per l'apprendimento da parte di banche e intermediari finanziari, che dovranno attrezzarsi per applicare i nuovi processi. È comunque essenziale che la misura sia disponibile per le imprese con la massima tempestività». Già il tema è proprio questo: la tempestività. Quattro giorni per varare un decreto non sono il modo miglior per cominciare.
Elly Schlein (Imagoeconomica)
Edoardo Raspelli (Getty Images)