2021-04-12
Il tabù delle cure domiciliari. Con gli antinfiammatori crolla il numero dei ricoveri
Le terapie domiciliari sono numerose ed efficaci se il medico di base è tempestivo. Palazzo Madama chiede un protocollo unico. La scienza ufficiale è scettica ma sbaglia: ecco perchéL'istituto Mario Negri sta per pubblicare i risultati dello studio. Il ricercatore Norberto Perico: «Se si interviene nelle fasi precoci si cura come un'infezione alle alte vie respiratorie»Lo speciale contiene due articoliCortisone, idrossiclorochina, plasma iperimmune, anticorpi monoclonali, tachipirina, antinfiammatori, fino alla comunissima aspirina. A oltre un anno dall'inizio della pandemia, sono numerose le cure domiciliari per affrontare, e con successo, il Covid, a condizione che l'infezione sia nella fase iniziale. Curare il Covid si può farlo anche a casa con farmaci accessibili anche nel prezzo. Il che potrebbe ridurre la diffusione incontrollata delle varianti, più veloci degli adattamenti in laboratorio dei vaccini. Detto così, il Covid non appare più un mostro invincibile. Ma la strada non è in discesa. Gli scienziati che hanno avviato le cure a domicilio concordano su un punto: l'intervento contro il virus dev'essere tempestivo, preferibilmente senza attendere il risultato del tampone. Tempestivamente significa che è opportuno intervenire quando si manifestano questi sintomi: febbre sopra i 37,5 gradi, tosse secca, raffreddore, mal di gola, difficoltà respiratoria. Entro uno o due giorni, i malati devono informare il medico di base che avvia le terapie. La moltiplicazione del virus si avvia nei primi 7-10 giorni. L'esperienza sul campo ha dimostrato che le cure, se avviate precocemente a domicilio, evitano l'ospedalizzazione. Qui cerchiamo di fare chiarezza, chiamando a parlare gli esperti. Giovedì scorso l'aula del Senato ha approvato un ordine del giorno, firmato da tutti i gruppi parlamentari, perché il governo si attivi per istituire un protocollo unico nazionale per la gestione domiciliare dei malati di Covid. A ottobre scorso, il cardiochirurgo Salvatore Spagnuolo, autore di uno studio sulle embolie polmonari, sulla base di evidenze cliniche affermava che aspirina, cortisone ed eparina, se assunti precocemente, sono in grado di evitare i ricoveri. Tra gli studi per le cure domiciliari spicca quello dell'Istituto Mario Negri di Milano, che a novembre ha elaborato un protocollo per il trattamento a domicilio dei pazienti Covid con parecchie novità rispetto alle raccomandazioni dell'Istituto superiore di Sanità. Anche in questo caso il pilastro dello studio è la tempestività, cioè l'avvio delle terapie senza aspettare l'esito dei tamponi, nei primi 7-10 giorni, arginando in questo modo la diffusione del virus. Al posto della tachipirina veniva suggerito l'uso dell'aspirina, e in caso di dolori anche dell'Aulin, sdoganando così i farmaci antinfiammatori. Fino ad arrivare, nei casi più seri e sempre sotto la guida di un dottore, all'utilizzo del cortisone, che durante la prima ondata, nella primavera 2020, era stato quasi messo al bando. Il nuovo metodo è stato seguito da una trentina di medici di famiglia che l'hanno sperimentato su oltre 500 pazienti. Dopo questa sperimentazione è arrivato lo studio che mette a confronto 90 pazienti trattati a casa senza aspettare il risultato del tampone e altri 90 che hanno seguito la terapia consueta. Risultato: soltanto due malati su 90 (2,2%) del primo gruppo sono finiti in ospedale a fronte di 13 su 90 (14,4%) dell'altro gruppo. Con questa procedura è emerso che i giorni complessivi trascorsi in ospedale scendono a 44 contro 481, e i costi cumulativi per i trattamenti ordinari, intensivi e subintensivi, sono di 28.000 euro contro 296.000. Il tempo di guarigione dai sintomi peggiori, dalla febbre ai dolori muscolari e articolari è pressoché uguale in ognuno dei due gruppi. Una media di 18 giorni per il trattamento del Negri contro i 14 giorni dell'altro. I segni più leggeri della malattia, come la perdita dell'olfatto e l'affaticamento, sono inferiori nei 90 pazienti curati con il protocollo dell'Istituto, il 23% contro il 73%. Nella corsa alla guarigione un ruolo fondamentale spetta ai medici di famiglia, che devono intervenire precocemente. Un farmaco al centro delle polemiche è l'idrossiclorochina. Il dottor Pietro Luigi Garavelli, primario della divisione di malattie infettive dell'Ospedale maggiore della Carità di Novara, è un sostenitore del farmaco. «Qui a Novara l'abbiamo usato con successo con meno del 10% dei ricoveri per le persone trattate precocemente», spiega. «Il mio gruppo di lavoro non attende nemmeno l'esito del tampone per non perdere tempo prezioso. Sono sempre più numerosi coloro che si rivolgono a noi chiedendoci informazioni sulle cure a domicilio». La comunità scientifica però è spaccata sull'uso di questo farmaco; secondo alcuni è addirittura pericoloso.Come pure è divisa sull'uso del plasma iperimmune, cioè quello che viene da pazienti usciti dal Covid e con anticorpi contro il virus. La terapia, effettuata sempre precocemente, è stata portata avanti dall'ospedale Carlo Poma di Mantova e come sottolinea il dottor Massimo Franchini, direttore del servizio di medicina trasfusionale della struttura, ha avuto successo. Tant'è che continua la campagna per la donazione di plasma. Ma secondo lo studio Tsunami promosso dall'Aifa e dall'Istituto superiore di sanità, essa non porta un beneficio «in termini di riduzione del rischio di peggioramento respiratorio o morte nei primi 30 giorni».Altra terapia dibattuta è quella degli anticorpi monoclonali. Sono farmaci biologici che sopperiscono alle difese immunitarie e il loro uso è in grado di ridurre la carica virale dei soggetti positivi. Sono stati impiegati anche per curare l'ex presidente americano Donald Trump. Come stabilito dal commissario straordinario Francesco Paolo Figliuolo, sono state acquistate 150.000 dosi per un valore di circa 100 milioni di euro. A essere trattati sono soprattutto i pazienti ad alto rischio che hanno sviluppato il Covid da pochi giorni. L'Aifa ha dato l'autorizzazione mentre l'Ema non si è ancora espressa.
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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