2022-04-02
Il cortocircuito dei foreign fighters: guerrieri rossi e neri alleati e nemici
Nei territori del Donbass si è in parte realizzato il progetto di un fronte unico filorusso che ha superato le tradizionali contraddizioni ideologiche. Una situazione che manda in confusione la sinistra di casa nostra.«Nella nostra lotta non dovranno apparire fazioni o sette. Siamo tutti egualmente nudi e reietti. Abbiamo un nemico comune. Al di là di ogni divisione». Le parole scritte da Aleksandr Dugin nel 1997 forse possono spiegare quale guerra si stia combattendo, da circa otto anni a questa parte, nei territori del Donbass. Il pensatore russo in un libro intitolato I templari del proletariato (da poco pubblicato in Italia da Aga edizioni) teorizzava «la totale negazione del liberalismo» e faceva un appello alla costituzione «di un fronte unico, superando le tradizionali contraddizioni ideologiche, cristallizzate nell’antifascismo degli antiliberali di sinistra e nell’anticomunismo degli antiliberali di destra». Nelle repubbliche russofone che si sono dichiarate indipendenti dall’Ucraina questo progetto - probabilmente in modo non del tutto consapevole - si è in parte realizzato. Spinte emotive, ideali, talvolta addirittura fisiche hanno sollecitato militanti di quelle che siamo soliti chiamare «estrema destra» e «estrema sinistra» a imbracciare le armi, arruolandosi nelle formazioni popolari filorusse.Il cortocircuito è solo apparente, ma basta per mandare in confusione molti osservatori. Soprattutto, va detto, quelli della sinistra intellettuale di casa nostra, che dall’inizio del conflitto in Ucraina si sono eccitati per l’invio di armi a Volodymyr Zelensky e soci, stabilendo che costoro siano la «nuova resistenza». Sul versante più radicale le opinioni sono molto diverse. Basti leggere ciò che ha scritto ieri il giornale comunista online Contropiano a proposito della morte sul campo di Edy Ongaro (nome di battaglia Bozambo), militante veneto arrivato in Donbass nel 2015. «I media mainstream lo chiameranno foreign fighter, ma per noi Bozambo è un partigiano antifascista internazionalista che ha posto la lotta per la fine del sfruttamento davanti a tutto», si legge nel necrologio. «Nei giorni in cui la “Resistenza” viene evocata a sproposito da chi quella storia, la nostra storia, la combatte quotidianamente da quasi 80 anni a questa parte, Bozambo ci ricorda che la sola Resistenza è quella antifascista e che nessun compromesso è ammissibile col fascismo e col nazismo! Bandiere Rosse al vento! Ciao Bozambo». Ongaro si era arruolato nel Battaglione Prizrak della Repubblica popolare di Lugansk. Il comandante, Alexey Markov detto Dobrij, nel 2018 ha firmato la prefazione a un libro sul Donbass pubblicato da Redstar press e scritto dal militante internazionalista Alberto Fazolo e da Nemo, commissario politico e combattente di InterUnit, gruppo «rosso» attivo militarmente nei territori russofoni. «Oggi chiunque si definisca antifascista o comunista dovrebbe essere pronto non a parole, ma nei fatti, a difendere le proprie convinzioni nella lotta», scriveva Markov. A quanto pare, per lui e per molti altri, Vladimir Putin non è esattamente la reincarnazione di Hitler. Anzi, i veri nazisti sarebbero proprio i filo ucraini nostalgici di Stepan Bandera e della divisione Galizia delle Waffen SS.Tra i primi giornalisti italiani a scrivere di questi combattenti (e dell’indagine che l’antiterrorismo di Roma stava svolgendo su di loro) fu, già nel 2016, il nostro Giacomo Amadori: «Diversi estremisti italiani», raccontava, «sono partiti per combattere nella cosiddetta Brigata fantasma del commissario (generale faceva poco sovietico) Alexey Markov, il cui motto è: “L’ arrivo del Comunismo è inevitabile come il sorgere del Sole”. Prima si sono arruolati nell’Unità 404 dei “comunisti combattenti” e da ottobre anche nell’Interunit, il gruppo internazionalista (all’inizio erano solo sette soldati) che conta tra le proprie fila italiani, spagnoli, serbi, statunitensi e israeliani».Agli stessi militanti comunisti, tuttavia, non sfugge la complessità del quadro, a partire dal fatto che nella cosiddetta «lotta antifascista» siano impegnati combattenti che provengono dal mondo identitario. Di più: tanti sono consapevoli del fatto che Putin non è esattamente la reincarnazione di Stalin e non è certo un comunista. Il Collettivo Militant, gruppo romano di ultrasinistra, lo ha persino scritto: «Si dice che dietro (alla lotta nel Donbass, ndr) c’è Putin e che anche settori della destra nazionalista russa intervengono su questo terreno. Certo, nessuno nega ciò, ma questo cambia il giudizio sul carattere imperialista della guerra in corso in Ucraina?».«Chi dice che in Donbass ci sono nazisti e fascisti delegittima la resistenza del Donbass», dice Sara Reginella, psicoterapeuta, regista e autrice che ha realizzato vari reportage e un libro sulla «guerra invisibile». Alla Verità ribadisce che la resistenza nel Donbass «è antifascista: l’11 maggio del 2014 sono state autoproclamate repubbliche popolari a Donetsk a Lugansk che sono di ispirazione socialista, e reagiscono a un cambio di governo in Ucraina percepito come un golpe ordito da forze neonaziste. Sono stata tre volte in Donbass», continua, «e posso affermare che nella resistenza popolare ci saranno circa 200 persone - circa lo 0,14% del totale - di provenienza neofascista. Non nego la loro presenza, ma ciò non significa che la resistenza sia fascista».Il punto, tuttavia, è esattamente il succitato antimperialismo. Come già immaginava negli anni Sessanta Jean Thiriat, fondatore dell’organizzazione Jeune Europe, i militanti rossi e neri avrebbero potuto abbandonare le proprie, diciamo così, «famiglie d’origine» per formarne una nuova dedita appunto alla guerra anti imperialista. Non è un caso che tra i dirigenti italiani di quel movimento - in Italia considerato neofascista dai più - ci fosse il futuro brigatista Renato Curcio, che vi prese parte ancor prima di iniziare l’attività politica a Trento.Come dicevamo, tuttavia, la fusione dei due fronti non è avvenuta in maniera del tutto consapevole, e rimangono ben evidenti le tensioni fra rossi e neri. «Soprattutto a Lugansk ci sono battaglioni ancora legati all’idea sovietica, decisi a combattere una lotta antifascista», dice Daniele Dell’Orco delle edizioni Idrovolante che - da destra - hanno pubblicato vari volumi sul Donbass (compreso quello di Vittorio Rangeloni, italiano da tempo attivo sul territorio). Ciò non toglie che vi siano anche nutrite componenti identitarie, le quali certo non combattono per la falce e il martello, ma - al massimo - per l’idea tradizionale e patriottica che la Russia di Putin, con tutti i suoi problemi, non ha mai abbandonato. I nomi di alcuni italiani sono piuttosto noti alle cronache. Ad esempio quello di Andrea Palmeri, partito da Lucca nel 2014. «Io vengo da destra», ci dice, «ma non da Forza Nuova come dicono e non sono nazista né di estrema destra. Per me la Russia rappresenta la visione imperiale, è Roma. È un Paese multireligioso, c’è libertà, altro che fascismo. A me hanno dato 5 anni, ma non sono un combattente né un mercenario: qui non ci sono mercenari bensì persone che combattono per un ideale, contro il nuovo ordine mondiale e a favore della multipolarità del mondo. Se c’è un nazismo, è ucraino». Ci sono stati poi i lombardi Massimiliano Cavalleri e Gabriele Carugati. Il primo, 46 anni, è noto con il nome di battaglia Spartaco. Il secondo, 32 anni, è soprannominato Arcangelo. Nella visione di Dugin, costoro sarebbero probabilmente i bruni, i «templari» in campo assieme ai difensori del proletariato. A complicare ulteriormente la mappa c’è il dettaglio, non irrilevante, per cui una parte dei militanti identitari (di destra) hanno appoggiato o appoggiano Pravij Sektor («settore destro»), formazione politica e militare ucraina chiaramente ultranazionalista. Quindi, per farla semplice, ci sono anche i «camerati filoucraini», così come esistono quelli filorussi. Questi ultimi combattono sullo stesso lato dei compagni nostalgici dell’Urss (sostenuti, tra gli altri, da gruppi musicali di estrema sinistra come la Banda Bassotti, che da anni organizza una «carovana antifascista» nelle repubbliche popolari). «Il nazismo ucraino è una sorta di macchietta», dice Maurizio Murelli, editore dei libri di Dugin. «Certo, nei movimenti nazionalisti ucraini ci sono dei combattenti di valore, persone che mettono a rischio la propria vita e che io rispetto. Ma parliamo di qualcosa che non ha nulla a che fare con il nazismo storico, è più una caricatura hollywoodiana. A me pare che si sia creata una dialettica completamente sbagliata, tanto a destra quanto a sinistra».Fra i combattenti filorussi del Donbass, spiega ancora Murelli, ciascuno ha le sue motivazioni e le sue proiezioni ideali. «Ci sono quelli di sinistra che mettono la questione su un piano squisitamente economico e materialista, poi ci sono quelli che fanno parte del mondo diciamo rossobruno, la cui lotta è contro l’Occidente come collettore di valori che non vengono accettati. Ma penso soprattutto che con le caselle italiane non si riesca a spiegare bene la situazione, la contrapposizione fascismo/antifascismo qui non regge». Già: gli steccati reggono soltanto nel dibattito mediatico italiano, che semplifica, incasella, fa di tutta l’erba un fascio e di ogni fascio un servo di Putin.