2023-04-23
Il «Corriere» si sveglia: il Recovery è un flop
Ora tutti si ricredono, ma non era difficile intuire che sarebbe stato impossibile spendere 200 miliardi in 3 anni.Non solo si può discuterne, ma se ne deve discutere.Francesco Verderami ieri ha scritto sul Corriere appunto: «Il problema principale del Pnrr? Sono troppi soldi. Non è una tesi nata con il governo Meloni, è un’analisi svolta ai tempi del governo Draghi». Si, caro Verderami, ma francamente ai tempi di Draghi, Sua Imminenza il cardinal Mario, semmai fu lo stesso premier a dire che c’era qualche criticità. Ma i giornaloni non ci pensavano neanche a sostenere la tesi che i soldi erano troppi e che erano in prestito e che quindi sarebbero andati ad aumentare il già stratosferico debito pubblico.Ricordiamo, per chi non lo avesse ben presente, che di quei 200 miliardi, solo 45 sono a fondo cosiddetto perduto; che anche quei 45 l’Unione europea avrebbe dovuto trovarli nel suo bilancio con le due ipotesi della sugar tax e della plastic tax. Scrive ancora Verderami a proposito di questi soldi: «La bulimia del premier grillino era motivata dalla volontà politica di mostrare all’opinione pubblica come fosse stato capace di ottenere tanti soldi da Bruxelles. Però non teneva conto della storica incapacità del sistema nazionale di utilizzare appieno i finanziamenti Ue».Ma pensa, si sa da oltre vent’anni che l’Italia prende dall’Europa meno soldi di quanti versa l’Europa stessa, però ai tempi della glorificazione di Conte prima, e della santificazione di Draghi poi, nessun giornalone si permetteva di dire che quei soldi erano troppi e che il piano di spesa di quei soldi, se non per la gran parte per una parte importante sono stati destinati a delle finalità elaborate senza l’utilizzo della materia grigia.Panorama di questa settimana mette in copertina alcune di queste destinazioni: Museo del prosciutto a Langhirano in provincia di Parma, costo 620 mila euro, campo da softball a Orgosolo in provincia di Nuoro, costo 500 mila euro, Centro Vip for very important people a Pietramontecorvino in provincia di Foggia, costo 300 mila euro, Bocciodromo a Cortona in provincia di Arezzo, costo 1,6 milioni di euro, e concludiamo con un imperdibile Museo della grappa a Exilles in provincia di Torino, costo 199 mila euro. Almeno, per quest’ultimo museo speriamo che sia prevista anche la degustazione, in detto caso, almeno avremmo dei visitatori ubriachi ma contenti.Quindi, non solo non riusciremo a spendere i soldi presi incautamente dall’Europa, ma se questi che abbiamo descritto sono degli esempi di come verranno spesi, sarebbe bene metterli in una corposa valigia e rimandarli a Bruxelles, magari con un aereo di Stato.Forse a qualcuno di questi giornaloni era sfuggita questa complessità tale era l’entusiasmo per il sedicente problem solving Super Mario che, alla fine, la Corte dei Conti ha certificato circa un mese fa che a quel momento in circa un anno e mezzo erano stati spesi solo 6 miliardi. Ricordo che quando qualcuno, già all’epoca di Draghi, sollevò il problema della capacità di spesa della burocrazia italiana, si disse che era un’offesa agli italiani non spendere quei soldi perché ne avevano tanto bisogno. Certamente gli italiani un bisogno ce lo hanno: quello di non essere presi per i fondelli, metti anche culo.Sempre ieri il ministro della Difesa, Guido Crosetto, in una intervista a La Stampa ha dichiarato: «Il sistema Italia non è in grado di mettere a terra tutti i progetti del Pnrr, bisogna prendere solo le risorse che possiamo spendere… faccio un esempio prendiamo 100 milioni di euro per un’opera, entro la scadenza ne spendiamo solo 98. Significherebbe che dobbiamo restituirne 98 milioni e ci teniamo l’opera non finita che dovremo pagare con il nostro bilancio. Il problema non è solo burocratico, di progettazioni. La vera domanda è se l’Italia ha la possibilità di scaricare a terra 200 miliardi in tre anni».Ora, sono almeno venticinque anni che l’YearBook pubblicato dall’Economist, ci ricorda che, mentre siamo come paese ai primi posti per creatività, capacità di adattamento veloce ai mercati esteri, insomma di Made in Italy, siamo dal trentacinquesimo al quarantacinquesimo posto per quanto riguarda l’efficienza della Pubblica Amministrazione, della burocrazia, del peso fiscale e di molto altro. Insomma, non c’era bisogno del Pnrr per scoprire che l’acqua è bagnata, perché, in questo caso l’acqua si trasforma in sangue e si guasta il sangue degli italiani.È inutile, ora, perché è troppo tardi, sia sentirsi gelare il sangue sia paralizzarsi per lo spavento di non riuscire a spendere quei soldi. Era evidente dall’inizio ma c’è un difetto congenito della stampa italiana che è quello di alzare le vele a favore del vento di quel momento. In questo caso il vento era il Pnrr stesso.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)