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2020-02-11
Il coronavirus deflagra ma i funzionari di Pechino ci riempiono di schiaffi
Feature China:Barcroft Media via Getty Images
Il governo ha contratto il virus più casereccio esistente in natura, quello dell'ipocrisia. Mentre l'emergenza continua e da Wuhan arrivano notizie di censure e occultamenti; mentre l'Organizzazione mondiale della sanità e l'Unione europea mostrano la guardia altissima in assenza di elementi rassicuranti, il premier Giuseppe Conte ha concluso ieri l'incontro interministeriale sul rischio sanitario con una nota inquietante. La sua preoccupazione non sta nella diffusione del coronavirus e nella salvaguardia della salute di chi vive in Italia, ma nel mitigare l'arrabbiatura cinese per i provvedimenti presi nei giorni scorsi.
Siamo più assillati dall'irritazione di Pechino che dalle precauzioni contro il bacillo, e lo scriviamo pure. «Il governo continuerà a perseguire una linea di massima precauzione con l'obiettivo prioritario di assicurare la tutela della salute di tutti i cittadini». Dopo l'incipit del tutto pleonastico perché la tutela della salute (dalle terapie post infartuali alla cura dell'alluce valgo) è assicurata ogni giorno in ogni ospedale del Paese, ecco il cuore e il batticuore del comunicato di Palazzo Chigi: «Il governo continuerà ad aggiornarsi con vigile attenzione avendo cura che tutte le iniziative restino costantemente adeguate ai criteri di proporzionalità e adeguatezza fin qui adottati. Il governo continuerà a promuovere iniziative di sostegno umanitario e, anche a livello europeo, di solidarietà nei confronti del popolo cinese. Sono allo studio iniziative anche di collaborazione scientifica per sostenere il grande sforzo delle autorità cinesi».
Il vero obiettivo è calmare i cinesi furibondi con il ministro della Salute, Roberto Speranza, per due mosse infelici. La prima mediatica, quando disse con una frase da cabaret: «Stiamo trattando il virus come la peste e il colera ma non c'è niente di cui preoccuparsi». La seconda pratica, quando decise di chiudere i voli diretti dalla Cina - e fece bene - senza immaginare che anche dagli scali intermedi (Singapore, Istanbul, Mosca, Londra, Francoforte e via elencando) sarebbero potuti arrivare soggetti infettati dal coronavirus. Così oggi ecco che «proporzionalità e adeguatezza» diventano parole d'ordine, come «sostegno umanitario» e «collaborazione scientifica». Vacui termini in successione per far rientrare la fibrillazione diplomatica, testimoniata dalla dura dichiarazione del portavoce del ministero degli Esteri cinese, Geng Shuang: «Speriamo che l'Italia possa valutare la situazione in modo obiettivo, razionale e basato sulla scienza, rispettare le raccomandazioni autorevoli e professionali dell'Oms e astenersi dall'adottare misure eccessive».
In risposta, il premier Conte parla come se stesse preparando una prolusione a un congresso immunologico internazionale al quale nessuno ha mai pensato di invitarlo. «Proporzionalità e adeguatezza, collaborazione scientifica». Le sue parole più che rassicurare mettono in allarme perché nascondono il Nulla operativo, caratteristica dominante dell'esecutivo giallorosso. Mostrano solo subalternità nei confronti del regime cinese, che per primo occultò l'emergenza sanitaria e adesso s'indigna se il mondo non si fida. Tutta l'energia diplomatica italiana è indirizzata ad ammansire Pechino proprio mentre l'Oms, gli esperti di Bruxelles e i governi europei (esempio massimo quello britannico con il laboratorio chiuso a Brighton) sono concentrati su ben altri temi: scoprire se il picco è veramente passato, se il periodo di incubazione è veramente di 11 giorni, se l'agente patogeno si trasmette con gli oggetti.
A dare il via alla corsa a rabbonire i cinesi è stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con la visita simbolica nella scuola romana all'Esquilino, circondato dai bambini in puro spirito veterodemocristiano. Ovviamente nessun pericolo, si trattava di adolescenti di terza generazione che conoscono la Cina attraverso i racconti dei nonni. Dal gesto è nato un video accompagnato da parole di fratellanza: «Di fronte a una crisi di salute pubblica i Paesi dovrebbero lavorare insieme per superare le difficoltà invece di guardare semplicemente il fuoco che brucia dall'altra riva del fiume». «La paura è più contagiosa del virus». Il tweet è arrivato in Cina ed è stato rilanciato dal governo di Pechino, molto interessato a diffondere messaggi rassicuranti. Inoltre dopodomani , al Quirinale, ci sarà un concerto speciale cui parteciperà l'ambasciatore cinese.
Le ambiguità nella gestione del focolaio originario e il silenzio informativo della Cina non autorizzano all'ottimismo della volontà; la faccenda è seria e le mosse di Palazzo Xhigi (verrebbe da scrivere) aumentano la preoccupazione. Anche la decisione di adottare un istituto inesistente in medicina come la «quarantena volontaria e fiduciaria» per gli studenti di ritorno dal capodanno cinese (e solo per non dare ragione ai governatori della Lega che chiedevano l'astensione obbligatoria dalle lezioni) conferma la gestione pasticciata e politica di un problema che riguarda tutti. È pur vero che quello italiano è il governo occidentale più accondiscendente davanti al regime cinese, ma questo non impone a Conte un comportamento da leone da scendiletto quando è in gioco la salute degli italiani. L'emergenza resta il coronavirus, non l'umore di Xi Jinping.
Tra contagiati e deceduti l’opacità del Dragone fa sballare le statistiche
È guerra di cifre sull'epidemia di coronavirus. Sui social network impazzano le teorie cospirazioniste. Tra le più macabre, quella che lega l'aumento delle emissioni dei gas prodotti nel processo di cremazione nella zona di Wuhan - la città epicentro della diffusione del virus - al sospetto che il numero dei decessi sarebbe molto più alto di quanto dichiarato dalle autorità di Pechino. In realtà, le sostanze presenti nell'aria delle principali città cinesi sono le stesse che vengono rilasciate a seguito di svariati processi industriali, dunque la teoria lascia il tempo che trova.
Meglio perciò stare ai numeri ufficiali. Secondo i dati diffusi dall'Oms, a ieri i contagi hanno sfiorato i 41.000 e i decessi quota 910. Particolare curioso: il tasso di mortalità del virus è pressoché costante intorno al 2% ormai da oltre dieci giorni, essendosi scostato da questo valore solo di pochi decimali. Un comportamento quantomeno singolare, quasi come se il virus «sapesse» quanti decessi far registrare ogni giorno. Basti pensare che nel 2003 la Sars mostrò un andamento ben più irregolare già nel periodo iniziale, passando nell'arco di una ventina di giorni da un valore inferiore al 3%, fino a sfiorare il 4%.
Secondo uno studio pubblicato venerdì dal team del dottor Manuel Battegay della Divisione di malattie infettive ed epidemiologia ospedaliera della clinica universitaria di Basilea, dividere semplicemente il numero dei decessi per il numero dei casi «potrebbe non rappresentare il tasso di mortalità reale». Nelle prossime settimane è verosimile credere che emergano nuovi casi rimasti al di fuori delle statistiche ufficiali, con un possibile conseguente aumento del valore finale.
Ma c'è un aspetto sul quale sembrano concordare tutti: il numero di casi effettivi di Coronavirus è quasi sicuramente molto più alto di quanto dichiarato da Pechino. Di certo l'opacità del regime comunista non aiuta. Lo stesso Battegay evidenzia nella sua ricerca che il numero di contagi potrebbe essere «fortemente sottostimato» rispetto alle cifre diffuse al pubblico. Un'eventualità che comporterebbe, per contro, una riduzione del tasso di mortalità. Uno studio pubblicato dall'autorevole The Lancet stimava che al 25 gennaio scorso i casi nella sola Wuhan fossero oltre 75.000, dunque otto volte tanto rispetto ai resoconti forniti dal governo. Se il tasso di mortalità fosse rispettato, venti giorni fa i decessi avrebbero dovuto essere già 1.500. Senza contare il fatto che le precedenti epidemie hanno fatto registrare un rapporto tra decessi e casi totali molto più elevato di quello che osserviamo oggi per il Coronavirus. Nel caso specifico della Sars, il tasso di mortalità è partito - come dicevamo - da un valore intorno al 3% per poi salire progressivamente fino al 9,6%. «La verità è che dovremo prendere con le pinze gli studi che si susseguiranno nei prossimi mesi, prima di dire che il 2% è il valore giusto, oppure troppo alto o troppo basso», ha affermato Arthur Reingold, capo della Divisione di epidemiologia e biostatistica dell'Università di Berkeley in California. Di fronte a tanta confusione, stupisce la granitica stabilità del tasso di mortalità dalla partenza dell'infezione a oggi.
Nel frattempo, il direttore generale dell'Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus ha invitato a non cullarsi sugli allori. «La diffusione del Coronavirus all'esterno della Cina sembra essere lenta, ma potrebbe accelerare», ha dichiarato domenica notte, perciò «tutti i Paesi dovrebbero sfruttare la finestra di opportunità creata dalla strategia di contenimento per prepararsi all'arrivo del virus». Sempre sulla diffusione all'estero, Ghebreyesus ha parlato di una «certa preoccupazione» sui contagiati che non hanno una storia di viaggio in Cina, puntando i riflettori sul basso numero di casi fuori dal Paese: «Quella che vediamo potrebbe essere solo la punta dell'iceberg».
L’incubazione sale da 14 a 24 giorni. L’Oms: «È solo la punta dell’iceberg»
Il coronavirus fa tremare anche la Gran Bretagna. Ieri infatti, nella città di Brighton, quattro persone sono risultate positive al contagio, portando a otto, quindi, i malati dell'isola d'oltremanica.
I quattro nuovi casi, tre uomini e una donna, sono stati trasferiti a Londra per ricevere le cure necessarie. Tutti sono entrati in contatto con il primo infetto britannico ammalatosi in Francia, in Savoia, dove si trovano attualmente gli altri cinque inglesi contagiati da un altro turista che aveva contratto il virus a Singapore. Come riporta la Bbc, l'ambulatorio di medicina di base di County Oak, a Brighton, è stato chiuso per precauzione. Nella struttura lavorava infatti uno degli otto contagiati, un uomo ora ricoverato al Saint Thomas hospital di Londra. Il governo britannico ha ammesso, tramite il ministro della Salute, Matt Hancock, che il virus «rappresenta una minaccia seria e imminente per la salute pubblica». Chris Whitty, chief medical officer for England, ha però assicurato che il sistema sanitario britannico continuerà a garantire misure «robuste» contro l'ulteriore diffusione del virus. Intanto British Airways ha annunciato il blocco dei voli per Pechino e Shanghai fino al 1° aprile.
Dichiarazioni per nulla rassicuranti arrivano invece direttamente dall'Organizzazione mondiale della Sanità. Il direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha rivelato che i casi finora accertati, circa 41.000, potrebbero essere solo «la punta dell'iceberg». Il numero uno dell'Oms non esclude che il dilagare dell'epidemia possa subire un'accelerazione. «Il contenimento resta il nostro obiettivo, ma tutti i Paesi devono usare la finestra dell'opportunità creata dalla strategia di contenimento per prepararsi al possibile arrivo del virus. Abbiamo una finestra di opportunità, visto che i casi fuori dalla Cina non sono più di 390. Dobbiamo sfruttare questa occasione ora». Un chiaro invito ad agire prima che sia troppo tardi. Non c'è da abbassare la guardia quindi, anzi. Una serie di studi, pubblicata da ricercatori tedeschi sul Journal of hospital infection, avverte che i coronavirus umani «possono rimanere infettivi sulle superfici inanimate a temperatura ambiente fino a nove giorni». Almeno, però, non sarebbe molto resistente. Basterebbero infatti detergenti a base di alcol o acqua ossigenata per ucciderlo.
Come ha riportato l'Independent, inoltre, il periodo di incubazione del coronavirus potrebbe estendersi fino a 24 giorni e non 14 com'era stato indicato finora. A rivelarlo è uno studio di ricercatori cinesi, tra i quali anche il dottor Zhong Nanshan, il medico che scoprì il virus della Sars nel 2003 e che sta lavorando per sconfiggere l'attuale epidemia, più letale della precedente.
Stando ai dati, infatti, le morti accertate sono almeno 910, di cui 871 a Hubei, l'epicentro. Sarebbero solo due i decessi al di fuori della Cina, uno a Hong Kong e l'altro nelle Filippine.
I contagiati si trovano principalmente nel territorio del Dragone o comunque in Asia: circa 90 in Giappone , 43 a Singapore, 38 a Hong Kong, 32 in Thailandia, 27 in Corea del Sud, 18 in Malesia e Taiwan, 15 in Australia. Negli Stati Uniti i contagi sono una dozzina, ma il presidente Donald Trump è ottimista, prevedendo che l'emergenza finirà in aprile: «Il calore in genere uccide questo tipo di virus» ha detto il tycoon.
In Europa il Paese più colpito resta la Germania, con 14 contagiati sul proprio territorio, seguita dalla Francia e dalla Gran Bretagna. Come sappiamo, in Italia il numero di casi accertati resta fermo a tre, in Spagna due e un solo caso nel Belgio, in Finlandia e in Svezia.
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Il ministero degli Esteri dà gli ordini: «Siate più obiettivi e razionali». Giuseppe Conte obbedisce: «Sostegno al popolo cinese». E il Colle organizza addirittura un concerto straordinario.Infetti a 41.000, mortalità sospetta attorno al 2% da giorni. Molti tecnici dubitano dei dati: «Le vittime potrebbero essere di più».Altri 4 casi in Uk. L'esperto: «Vive 9 giorni sugli oggetti». Donald Trump: «Ad aprile sparisce».Lo speciale contiene tre articoli.Il governo ha contratto il virus più casereccio esistente in natura, quello dell'ipocrisia. Mentre l'emergenza continua e da Wuhan arrivano notizie di censure e occultamenti; mentre l'Organizzazione mondiale della sanità e l'Unione europea mostrano la guardia altissima in assenza di elementi rassicuranti, il premier Giuseppe Conte ha concluso ieri l'incontro interministeriale sul rischio sanitario con una nota inquietante. La sua preoccupazione non sta nella diffusione del coronavirus e nella salvaguardia della salute di chi vive in Italia, ma nel mitigare l'arrabbiatura cinese per i provvedimenti presi nei giorni scorsi. Siamo più assillati dall'irritazione di Pechino che dalle precauzioni contro il bacillo, e lo scriviamo pure. «Il governo continuerà a perseguire una linea di massima precauzione con l'obiettivo prioritario di assicurare la tutela della salute di tutti i cittadini». Dopo l'incipit del tutto pleonastico perché la tutela della salute (dalle terapie post infartuali alla cura dell'alluce valgo) è assicurata ogni giorno in ogni ospedale del Paese, ecco il cuore e il batticuore del comunicato di Palazzo Chigi: «Il governo continuerà ad aggiornarsi con vigile attenzione avendo cura che tutte le iniziative restino costantemente adeguate ai criteri di proporzionalità e adeguatezza fin qui adottati. Il governo continuerà a promuovere iniziative di sostegno umanitario e, anche a livello europeo, di solidarietà nei confronti del popolo cinese. Sono allo studio iniziative anche di collaborazione scientifica per sostenere il grande sforzo delle autorità cinesi».Il vero obiettivo è calmare i cinesi furibondi con il ministro della Salute, Roberto Speranza, per due mosse infelici. La prima mediatica, quando disse con una frase da cabaret: «Stiamo trattando il virus come la peste e il colera ma non c'è niente di cui preoccuparsi». La seconda pratica, quando decise di chiudere i voli diretti dalla Cina - e fece bene - senza immaginare che anche dagli scali intermedi (Singapore, Istanbul, Mosca, Londra, Francoforte e via elencando) sarebbero potuti arrivare soggetti infettati dal coronavirus. Così oggi ecco che «proporzionalità e adeguatezza» diventano parole d'ordine, come «sostegno umanitario» e «collaborazione scientifica». Vacui termini in successione per far rientrare la fibrillazione diplomatica, testimoniata dalla dura dichiarazione del portavoce del ministero degli Esteri cinese, Geng Shuang: «Speriamo che l'Italia possa valutare la situazione in modo obiettivo, razionale e basato sulla scienza, rispettare le raccomandazioni autorevoli e professionali dell'Oms e astenersi dall'adottare misure eccessive». In risposta, il premier Conte parla come se stesse preparando una prolusione a un congresso immunologico internazionale al quale nessuno ha mai pensato di invitarlo. «Proporzionalità e adeguatezza, collaborazione scientifica». Le sue parole più che rassicurare mettono in allarme perché nascondono il Nulla operativo, caratteristica dominante dell'esecutivo giallorosso. Mostrano solo subalternità nei confronti del regime cinese, che per primo occultò l'emergenza sanitaria e adesso s'indigna se il mondo non si fida. Tutta l'energia diplomatica italiana è indirizzata ad ammansire Pechino proprio mentre l'Oms, gli esperti di Bruxelles e i governi europei (esempio massimo quello britannico con il laboratorio chiuso a Brighton) sono concentrati su ben altri temi: scoprire se il picco è veramente passato, se il periodo di incubazione è veramente di 11 giorni, se l'agente patogeno si trasmette con gli oggetti. A dare il via alla corsa a rabbonire i cinesi è stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con la visita simbolica nella scuola romana all'Esquilino, circondato dai bambini in puro spirito veterodemocristiano. Ovviamente nessun pericolo, si trattava di adolescenti di terza generazione che conoscono la Cina attraverso i racconti dei nonni. Dal gesto è nato un video accompagnato da parole di fratellanza: «Di fronte a una crisi di salute pubblica i Paesi dovrebbero lavorare insieme per superare le difficoltà invece di guardare semplicemente il fuoco che brucia dall'altra riva del fiume». «La paura è più contagiosa del virus». Il tweet è arrivato in Cina ed è stato rilanciato dal governo di Pechino, molto interessato a diffondere messaggi rassicuranti. Inoltre dopodomani , al Quirinale, ci sarà un concerto speciale cui parteciperà l'ambasciatore cinese. Le ambiguità nella gestione del focolaio originario e il silenzio informativo della Cina non autorizzano all'ottimismo della volontà; la faccenda è seria e le mosse di Palazzo Xhigi (verrebbe da scrivere) aumentano la preoccupazione. Anche la decisione di adottare un istituto inesistente in medicina come la «quarantena volontaria e fiduciaria» per gli studenti di ritorno dal capodanno cinese (e solo per non dare ragione ai governatori della Lega che chiedevano l'astensione obbligatoria dalle lezioni) conferma la gestione pasticciata e politica di un problema che riguarda tutti. È pur vero che quello italiano è il governo occidentale più accondiscendente davanti al regime cinese, ma questo non impone a Conte un comportamento da leone da scendiletto quando è in gioco la salute degli italiani. L'emergenza resta il coronavirus, non l'umore di Xi Jinping. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-coronavirus-deflagra-ma-i-funzionari-di-pechino-ci-riempiono-di-schiaffi-2645090762.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tra-contagiati-e-deceduti-lopacita-del-dragone-fa-sballare-le-statistiche" data-post-id="2645090762" data-published-at="1765884257" data-use-pagination="False"> Tra contagiati e deceduti l’opacità del Dragone fa sballare le statistiche È guerra di cifre sull'epidemia di coronavirus. Sui social network impazzano le teorie cospirazioniste. Tra le più macabre, quella che lega l'aumento delle emissioni dei gas prodotti nel processo di cremazione nella zona di Wuhan - la città epicentro della diffusione del virus - al sospetto che il numero dei decessi sarebbe molto più alto di quanto dichiarato dalle autorità di Pechino. In realtà, le sostanze presenti nell'aria delle principali città cinesi sono le stesse che vengono rilasciate a seguito di svariati processi industriali, dunque la teoria lascia il tempo che trova. Meglio perciò stare ai numeri ufficiali. Secondo i dati diffusi dall'Oms, a ieri i contagi hanno sfiorato i 41.000 e i decessi quota 910. Particolare curioso: il tasso di mortalità del virus è pressoché costante intorno al 2% ormai da oltre dieci giorni, essendosi scostato da questo valore solo di pochi decimali. Un comportamento quantomeno singolare, quasi come se il virus «sapesse» quanti decessi far registrare ogni giorno. Basti pensare che nel 2003 la Sars mostrò un andamento ben più irregolare già nel periodo iniziale, passando nell'arco di una ventina di giorni da un valore inferiore al 3%, fino a sfiorare il 4%. Secondo uno studio pubblicato venerdì dal team del dottor Manuel Battegay della Divisione di malattie infettive ed epidemiologia ospedaliera della clinica universitaria di Basilea, dividere semplicemente il numero dei decessi per il numero dei casi «potrebbe non rappresentare il tasso di mortalità reale». Nelle prossime settimane è verosimile credere che emergano nuovi casi rimasti al di fuori delle statistiche ufficiali, con un possibile conseguente aumento del valore finale. Ma c'è un aspetto sul quale sembrano concordare tutti: il numero di casi effettivi di Coronavirus è quasi sicuramente molto più alto di quanto dichiarato da Pechino. Di certo l'opacità del regime comunista non aiuta. Lo stesso Battegay evidenzia nella sua ricerca che il numero di contagi potrebbe essere «fortemente sottostimato» rispetto alle cifre diffuse al pubblico. Un'eventualità che comporterebbe, per contro, una riduzione del tasso di mortalità. Uno studio pubblicato dall'autorevole The Lancet stimava che al 25 gennaio scorso i casi nella sola Wuhan fossero oltre 75.000, dunque otto volte tanto rispetto ai resoconti forniti dal governo. Se il tasso di mortalità fosse rispettato, venti giorni fa i decessi avrebbero dovuto essere già 1.500. Senza contare il fatto che le precedenti epidemie hanno fatto registrare un rapporto tra decessi e casi totali molto più elevato di quello che osserviamo oggi per il Coronavirus. Nel caso specifico della Sars, il tasso di mortalità è partito - come dicevamo - da un valore intorno al 3% per poi salire progressivamente fino al 9,6%. «La verità è che dovremo prendere con le pinze gli studi che si susseguiranno nei prossimi mesi, prima di dire che il 2% è il valore giusto, oppure troppo alto o troppo basso», ha affermato Arthur Reingold, capo della Divisione di epidemiologia e biostatistica dell'Università di Berkeley in California. Di fronte a tanta confusione, stupisce la granitica stabilità del tasso di mortalità dalla partenza dell'infezione a oggi. Nel frattempo, il direttore generale dell'Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus ha invitato a non cullarsi sugli allori. «La diffusione del Coronavirus all'esterno della Cina sembra essere lenta, ma potrebbe accelerare», ha dichiarato domenica notte, perciò «tutti i Paesi dovrebbero sfruttare la finestra di opportunità creata dalla strategia di contenimento per prepararsi all'arrivo del virus». Sempre sulla diffusione all'estero, Ghebreyesus ha parlato di una «certa preoccupazione» sui contagiati che non hanno una storia di viaggio in Cina, puntando i riflettori sul basso numero di casi fuori dal Paese: «Quella che vediamo potrebbe essere solo la punta dell'iceberg». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-coronavirus-deflagra-ma-i-funzionari-di-pechino-ci-riempiono-di-schiaffi-2645090762.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="lincubazione-sale-da-14-a-24-giorni-loms-e-solo-la-punta-delliceberg" data-post-id="2645090762" data-published-at="1765884257" data-use-pagination="False"> L’incubazione sale da 14 a 24 giorni. L’Oms: «È solo la punta dell’iceberg» Il coronavirus fa tremare anche la Gran Bretagna. Ieri infatti, nella città di Brighton, quattro persone sono risultate positive al contagio, portando a otto, quindi, i malati dell'isola d'oltremanica. I quattro nuovi casi, tre uomini e una donna, sono stati trasferiti a Londra per ricevere le cure necessarie. Tutti sono entrati in contatto con il primo infetto britannico ammalatosi in Francia, in Savoia, dove si trovano attualmente gli altri cinque inglesi contagiati da un altro turista che aveva contratto il virus a Singapore. Come riporta la Bbc, l'ambulatorio di medicina di base di County Oak, a Brighton, è stato chiuso per precauzione. Nella struttura lavorava infatti uno degli otto contagiati, un uomo ora ricoverato al Saint Thomas hospital di Londra. Il governo britannico ha ammesso, tramite il ministro della Salute, Matt Hancock, che il virus «rappresenta una minaccia seria e imminente per la salute pubblica». Chris Whitty, chief medical officer for England, ha però assicurato che il sistema sanitario britannico continuerà a garantire misure «robuste» contro l'ulteriore diffusione del virus. Intanto British Airways ha annunciato il blocco dei voli per Pechino e Shanghai fino al 1° aprile. Dichiarazioni per nulla rassicuranti arrivano invece direttamente dall'Organizzazione mondiale della Sanità. Il direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha rivelato che i casi finora accertati, circa 41.000, potrebbero essere solo «la punta dell'iceberg». Il numero uno dell'Oms non esclude che il dilagare dell'epidemia possa subire un'accelerazione. «Il contenimento resta il nostro obiettivo, ma tutti i Paesi devono usare la finestra dell'opportunità creata dalla strategia di contenimento per prepararsi al possibile arrivo del virus. Abbiamo una finestra di opportunità, visto che i casi fuori dalla Cina non sono più di 390. Dobbiamo sfruttare questa occasione ora». Un chiaro invito ad agire prima che sia troppo tardi. Non c'è da abbassare la guardia quindi, anzi. Una serie di studi, pubblicata da ricercatori tedeschi sul Journal of hospital infection, avverte che i coronavirus umani «possono rimanere infettivi sulle superfici inanimate a temperatura ambiente fino a nove giorni». Almeno, però, non sarebbe molto resistente. Basterebbero infatti detergenti a base di alcol o acqua ossigenata per ucciderlo. Come ha riportato l'Independent, inoltre, il periodo di incubazione del coronavirus potrebbe estendersi fino a 24 giorni e non 14 com'era stato indicato finora. A rivelarlo è uno studio di ricercatori cinesi, tra i quali anche il dottor Zhong Nanshan, il medico che scoprì il virus della Sars nel 2003 e che sta lavorando per sconfiggere l'attuale epidemia, più letale della precedente. Stando ai dati, infatti, le morti accertate sono almeno 910, di cui 871 a Hubei, l'epicentro. Sarebbero solo due i decessi al di fuori della Cina, uno a Hong Kong e l'altro nelle Filippine. I contagiati si trovano principalmente nel territorio del Dragone o comunque in Asia: circa 90 in Giappone , 43 a Singapore, 38 a Hong Kong, 32 in Thailandia, 27 in Corea del Sud, 18 in Malesia e Taiwan, 15 in Australia. Negli Stati Uniti i contagi sono una dozzina, ma il presidente Donald Trump è ottimista, prevedendo che l'emergenza finirà in aprile: «Il calore in genere uccide questo tipo di virus» ha detto il tycoon. In Europa il Paese più colpito resta la Germania, con 14 contagiati sul proprio territorio, seguita dalla Francia e dalla Gran Bretagna. Come sappiamo, in Italia il numero di casi accertati resta fermo a tre, in Spagna due e un solo caso nel Belgio, in Finlandia e in Svezia.
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Suo figlio, Naveed Akram, 24 anni, è attualmente ricoverato in ospedale sotto stretta sorveglianza della polizia. Le piste investigative principali restano due. Da un lato, la cosiddetta pista iraniana, ritenuta plausibile da ambienti israeliani; dall’altro, l’ipotesi di un coinvolgimento dello Stato islamico, avanzata da alcuni media, anche se l’organizzazione jihadista - che solitamente rivendica con rapidità le proprie azioni - non ha diffuso alcun messaggio di rivendicazione. Un elemento rilevante emerso dalle indagini è il ritrovamento, nell’auto di Naveed Akram, di una bandiera nera del califfato e di ordigni poi disinnescati dagli artificieri.
In attesa di chiarire chi vi sia realmente dietro la strage di Hanukkah, quanto accaduto domenica in Australia non appare come un evento isolato o imprevedibile. Al contrario, si inserisce in una lunga scia di attacchi e intimidazioni antisemite contro la comunità ebraica e le sue istituzioni. Più in generale, rappresenta l’esito di almeno vent’anni di progressiva penetrazione jihadista nel Paese. A dimostrarlo sono anche i numeri dei foreign fighter australiani: circa 200 cittadini avrebbero raggiunto, tra il 2011 e il 2019, la Siria e l’Iraq per unirsi a organizzazioni jihadiste come lo Stato islamico e il Fronte Al Nusra. In Australia, per motivi incomprensibili le autorità non monitorano da anni ambienti di culto radicalizzati dove si inneggia ad Al Qaeda, Isis, Hamas, Hezbollah e Iran, alimentando un clima di radicalizzazione che ha prodotto gravi conseguenze.
Tra i principali predicatori radicali figura Wisam Haddad, noto anche come Abu Ousayd, leader spirituale di una rete pro Isis, individuata da un’inchiesta della Abc. Nonostante fosse sotto osservazione da decenni, non è mai stato formalmente accusato di terrorismo, un’anomalia che evidenzia l’inerzia dello Stato. Haddad feroce antisemita, predica una visione intransigente della Sharia, rifiutando il concetto di Stato e nazionalismo, attirando giovani radicalizzati e facilmente manipolabili. La sua rete ha contribuito al passaggio dalla radicalizzazione verbale al reclutamento operativo. Uno degli attori chiave di questa rete è Youssef Uweinat, ex reclutatore dell’Isis. Conosciuto come Abu Musa Al Maqdisi, ha adescato minorenni australiani, spingendoli alla violenza tramite chat criptate e propaganda jihadista, con messaggi espliciti, immagini di decapitazioni e video di bambini addestrati all’uso delle armi. Condannato nel 2019, Uweinat è stato rilasciato nel 2023 senza misure di sorveglianza severe e ha riallacciato i contatti con Haddad. Inoltre, Uweinat faceva parte di una cellula Isis infiltrata da una fonte dell’Asio, l’intelligence australiana, che ha documentato i piani di attacco e i legami con jihadisti all’estero.
Anche Joseph Saadieh, ex leader giovanile dell’ Al Madina Dawah Centre, ha fatto parte della rete. Arrestato nel 2021 con prove di supporto all’Isis, è stato rilasciato dopo un patteggiamento per un reato minore. L’inchiesta Abc riporta inoltre il ritorno di figure storiche del jihadismo australiano, come Abdul Nacer Benbrika, condannato per aver guidato un gruppo terroristico a Melbourne, e Wassim Fayad, presunto leader di una cellula Isis a Sydney. Questi ritorni indicano un tentativo di rilancio della rete jihadista. Secondo l’Asio, l’Isis ha recuperato capacità operative, aumentando il rischio di attentati in Australia. Tuttavia, nonostante l’allarme lanciato dalle agenzie, lo Stato australiano non sembra in grado di fermare le figure chiave del jihadismo domestico. Haddad continua a predicare liberamente, nonostante accuse di incitamento all’odio antisemita, e i suoi interlocutori principali sono ex detenuti per terrorismo senza misure di sorveglianza. Questo scenario solleva molti interrogativi sulla sostenibilità di una strategia che si limita a monitorare senza intervenire sui nodi ideologici e relazionali del jihadismo interno. La storia di Uweinat, Saadieh e altre figure simili suggerisce che la minaccia jihadista non emerge dal nulla, ma prospera nelle zone grigie lasciate dall’inerzia istituzionale, sollevando preoccupazioni sulla sicurezza e sulla capacità dello Stato di affrontare la radicalizzazione interna in modo efficace. Tutto questo ridimensiona la retorica dell’Australia come Paese blindato, dove entrano solo «i migliori» e solo a determinate condizioni. La realtà racconta ben altro: reti jihadiste attive, predicatori radicali liberi di operare e militanti già condannati che tornano a muoversi senza alcun argine. Non si tratta di una falla nei controlli di frontiera, ma di una resa dello Stato sul fronte interno. La radicalizzazione è stata lasciata prosperare come testimoniano le recenti manifestazioni in cui simboli dell’Isis e di Al Qaeda sono stati mostrati senza conseguenze, rendendo il contesto ancora più esplosivo.
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Ansa
La polizia ha chiarito che gli attentatori erano padre e figlio. Si tratta di Sajid Akram, 50 anni, di origine pakistana, residente in Australia da molti anni, e di Naveed Akram, 24 anni, nato in Australia e residente nel sobborgo di Bonnyrigg, nella zona occidentale di Sydney. Secondo quanto riferito dagli investigatori, entrambi risultavano ideologicamente affiliati all’Isis e radicalizzati da tempo. Almeno uno dei due era noto ai servizi di sicurezza australiani, pur non essendo stato classificato come una minaccia imminente. Sajid Akram è stato ucciso durante l’intervento delle forze dell’ordine, mentre il figlio Naveed è rimasto ferito ed è attualmente ricoverato in ospedale sotto stretta sorveglianza: verrà formalmente interrogato non appena le sue condizioni cliniche lo consentiranno. Le autorità stanno cercando di chiarire il ruolo di ciascuno dei due nella pianificazione dell’attacco e se vi siano stati fiancheggiatori o complici. Nel corso delle perquisizioni effettuate ieri in diversi quartieri di Sydney, in particolare a Bonnyrigg e Campsie, la polizia ha rinvenuto armi ed esplosivi all’interno dei veicoli utilizzati dagli attentatori. Gli ordigni sono stati neutralizzati dagli artificieri e non risulta che siano stati attivati. Un elemento che, secondo gli inquirenti, conferma come il piano fosse più articolato e mirasse a provocare un numero ancora maggiore di vittime. Restano sotto la lente d’ingrandimento anche le misure di sicurezza adottate per l’evento: si parla, infatti, di una sparatoria durata diversi minuti prima che la situazione venisse definitivamente messa sotto controllo. Il che non può che sollevare numerosi interrogativi sulla tempestività dell’intervento e sull’adeguatezza dei controlli preventivi.
La strage, non a caso, ha fatto piovere parecchie critiche addosso al governo laburista guidato da Anthony Albanese, accusato dalle opposizioni e da parte della comunità ebraica di non aver rafforzato la protezione di un evento sensibile malgrado l’aumento degli episodi di antisemitismo registrati negli ultimi mesi in Australia. L’esecutivo ha espresso cordoglio e solidarietà, ma si trova ora a dover rispondere all’accusa di aver sottovalutato il pericolo. Albanese, intanto, ha annunciato una riunione straordinaria del National cabinet per discutere misure urgenti in materia di sicurezza e di controllo delle armi, mentre il governo del Nuovo Galles del Sud ha disposto un rafforzamento immediato della vigilanza attorno a sinagoghe, scuole e centri ebraici.
Numerose le reazioni anche dall’estero. Il premier italiano, Giorgia Meloni, ha condannato l’attentato parlando di «un atto vile e barbaro di terrorismo antisemita» e ribadendo che «l’Italia è al fianco della comunità ebraica e dell’Australia nella lotta contro ogni forma di odio e fanatismo». Parole di ferma condanna sono arrivate anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che in un messaggio ufficiale ha espresso «profondo cordoglio per le vittime innocenti» e ha sottolineato come «la violenza terroristica, alimentata dall’odio antisemita, rappresenti una minaccia per i valori fondamentali delle nostre democrazie».
Intanto, a Bondi Beach e in altre città australiane, si moltiplicano veglie e momenti di raccoglimento in memoria delle vittime. Molte iniziative pubbliche legate alla festività di Hanukkah sono state annullate o trasformate in cerimonie di lutto, mentre resta alta l’allerta delle forze di sicurezza in vista dei prossimi giorni.
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