2020-03-17
«Il contagio innescato da un tedesco ha messo in ginocchio tutto il Paese»
L'infettivologo del Sacco di Milano, Massimo Galli, non ha più dubbi: «È bastato un solo maledetto caso per far partire l'epidemia, arrivata fino nelle Marche». Altro che untori, «l'Italia è stata colpita alle spalle».L'epidemia di coronavirus è partita in Italia per colpa di un solo «maledetto, agghiacciante caso», arrivato da un «altro Paese europeo», che ci ha «presi alle spalle dopo aver chiuso gli accessi dalla Cina». Parole pesanti quelle pronunciate ieri nel corso della trasmissione Centocittà su Radio 1 dal professor Massimo Galli, responsabile del reparto di malattie infettive dell'ospedale Sacco di Milano e docente all'università Statale del capoluogo lombardo. Specie perché l'indice del celebre infettivologo non è puntato su uno Stato qualsiasi, bensì sulla Germania. Quando si tratta di descrivere l'innesco dell'epidemia di coronavirus in Italia, Galli non lesina i particolari: «Una persona infettatasi malauguratamente, e del tutto casualmente, nel contesto di un episodio epidemico avvenuto nei giorni tra il 20 e il 24 gennaio a Monaco di Baviera, dopo il contatto avvenuto con una signora cinese venuta a fare delle riunioni di lavoro da Shangai, ha portato l'infezione in Italia nella cosiddetta zona rossa». Ma l'infettivologo si spinge ben oltre. Perché è proprio a quel singolo caso che andrebbe attribuita la diffusione del contagio in tutto il Nord Italia. «Tutta l'epidemia iniziale nella zona rossa viene da quel contatto lì, che ha potuto consentire al virus di aggirarsi di nascosto e sottotraccia per quasi quattro settimane prima che si scoprisse l'esistenza del problema in quell'area geografica e anche oltre». Una volta sbarcato in Italia dalla Germania, l'agente patogeno si sarebbe poi diffuso a macchia d'olio, oltre alla Lombardia, anche «in Veneto, in Piemonte, in Liguria, in Emilia Romagna, e probabilmente anche nelle Marche». Galli è senza freni, e ne approfitta per lanciare un avvertimento: «Quell'agghiacciante situazione che ha creato tutti questi lutti e tutti questi problemi è un monito anche per le altre nazioni, che cerchino di capire come può funzionare«. Un po' come dire: il virus non conosce confini, e accusare l'Italia di avere alimentato l'infezione a livello globale è stato un grave errore.Non è la prima volta che il professor Galli parla in questi termini dell'inizio del contagio nel nostro Paese. Già una settimana fa, intervistato da Mario Giordano nel corso della trasmissione Fuori dal coro, l'accademico aveva spiegato che «le nostre evidenze molecolari sull'analisi del virus dicono che quello circolato nella famigerata zona rossa è un virus strettamente imparentato con uno isolato a Monaco di Baviera». Dove «qualcuno se l'è beccato», testuali parole di Galli, «per poi tornare a vivere e a lavorare nelle zone intorno a Codogno, o in qualsiasi altra maniera del tutto non percepita».Ieri come la settimana scorsa, il riferimento è al «paziente 1» tedesco, un giovane manager dell'azienda di componentistica per auto Webasto. La sua storia è descritta in un articolo pubblicato lo scorso 30 gennaio sul New England journal of medicine, nel quale si descrivono le modalità con le quali il poco più che trentenne uomo d'affari tedesco avrebbe contratto il virus a seguito del contatto con una collega proveniente dalla Cina. La donna avrebbe mostrato i primi sintomi del Covid-19 solo al suo rientro in patria, risultando quindi positiva al test. Contattato dalle autorità sanitarie per via degli scambi avuti con la collega, il manager tedesco è stato dichiarato positivo al tampone il 27 gennaio. Nel frattempo, ahinoi, era rientrato tranquillamente al lavoro ignaro di tutto. Ricostruire l'esatta catena di trasmissione è una missione di fatto impossibile: basta uno starnuto o una stretta di mano di troppo, ed ecco che il virus in men che non si dica riesce a spostarsi dalla Baviera alla Lombardia.Ma la genetica non mente. Era il 5 marzo scorso quando, su queste stesse pagine, raccontavamo ai nostri lettori gli esiti delle ricerche del dottor Trevis Bedford, ricercatore al prestigioso centro Fred Hutch di Seattle. Dopo aver studiato le differenze nel codice dei vari ceppi isolati in giro per il mondo, Bedford era arrivato alla conclusione che il virus sequenziato in Germania fosse il «diretto progenitore degli altri virus comparsi successivamente, e che risultano collegati a una certa frazione dell'epidemia che circola in Europa oggi». Una ricostruzione sulla quale tutti oggi sembrano concordare, ma che poco meno di due settimane fa destrava ancora scalpore. Tanto che lo stesso Bedford, forse intimorito dalla veemenza delle critiche di alcuni suoi colleghi, si era trovato a dover fare parziale marcia indietro. Le parole del professor Massimo Galli danno ragione non solo a Bedford, ma anche alla Verità che per prima in Italia ha messo a conoscenza i suoi lettori delle evidenze scientifiche a riprova dell'origine tedesca del contagio. Sia chiaro: la questione va ben oltre il banale gioco del cerino. Per settimane il nostro Paese si è trovato a fronteggiare le accuse (e gli sfottò) di mezzo mondo: sporchi, infetti e per di più indisciplinati. E invece, a quanto pare, le cose stavano diversamente. La domanda da porsi dunque, dovrebbe essere un'altra: le autorità tedesche, e in primis dal ministro della Salute, Jens Spahn, hanno fatto abbastanza per contenere il focolaio bavarese? Nel frattempo, dopo l'annuncio del piano nazionale da 550 miliardi di euro, dalle parti di Monaco hanno dichiarato lo stato di catastrofe e stanziato 10 miliardi a sostegno dell'economia locale. A conti fatti, poco meno della metà di quanto messo sul piatto ieri dal governo italiano per far fronte alla crisi. Quando c'è da curare il proprio orticello i tedeschi non sono secondi proprio a nessuno.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Mario Draghi e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin (Imagoeconomica). Nel riquadro il programma dell'evento organizzato da La Verità