2018-07-20
«Il cibo sano, la sfida di Francesca al cancro»
Marco Pirozzi ha completato la tesi della figlia, uccisa da una patologia tumorale, e ne ha fatto un libro: «Mi diceva: “Voglio essere utile. Studio la dieta durante e dopo la chemioterapia, così quando è finito tutto posso raccontare cosa succede e cosa è meglio fare"».A tratti, nel parlare di Francesca, i tempi verbali cristallizzano il ricordo in un presente dilatato, volto all'infinito. L'inconscio di Marco Pirozzi si allinea alla ragione, non tradisce il pensiero espresso lucidamente a parole. «Certe volte, mi sembra quasi che non sia successo nulla», confessa con emotività pacata, erede di una sobrietà tipicamente lombarda. Il 7 agosto 2016, il cinquantenne mantovano consulente di marketing e comunicazione perdeva sua figlia, strappata alla vita da un linfoma non Hodgkin, una neoplasia che si sviluppa nelle cellule del sistema immunitario. Studente di scienze erboristiche all'università di Modena e Reggio Emilia, amante del mare (un brevetto di bagnina di salvataggio appena conseguito), donatrice di sangue, Francesca stava preparando la tesi quando apprese di avere un tumore. «Venne e mi parlò della malattia quasi con imbarazzo, come un piccolo intralcio nella sua vita», ricorda Stefania Benvenuti, docente che la ventiquattrenne di Pegognaga (Mantova) aveva scelto come relatore. «“Faccio la tesi su cosa mangiare durante e dopo la chemio, così quando è finito tutto posso raccontare cosa succede e cosa è meglio fare. Una cosa utile!", disse mia figlia», rievoca Pirozzi. Quando Francesca chiuse gli occhi, quel lavoro che l'avrebbe proiettata nel mondo adulto era a un passo dal vedere la luce: all'appello mancavano i ringraziamenti e la discussione che si sarebbe tenuta a settembre. «Che il cibo sia la tua medicina», antico auspicio di Ippocrate riportato a introduzione della tesi, è l'augurio che la giovane laureanda rivolgeva a sé stessa e a coloro che, come lei, attraversano le forche caudine del cancro. «Utilità» è il principio fondante di un progetto personale reso pubblico grazie all'amore sanguigno di un padre che, riemerso dal lutto, ha completato la tesi della figlia e ne ha fatto un libro: Il cibo ideale, pubblicato da un'associazione che porta il nome di Francesca. «Lo scopo è raccogliere fondi per la ricerca sul linfoma. Abbiamo scelto una onlus affinché ogni centesimo dei proventi sia destinato al dipartimento di scienze biomolecolari dell'università di Urbino senza subire decurtazioni nel passaggio tra le maglie amministrative».In copertina spicca lo schizzo minimalista di un pifferaio, realizzato dall'artista Vito Nucci, ispirato al commento di un bambino al papà oncologo intento a spiegargli il suo mestiere: «Sei una specie di pifferaio magico! Lui, con il suono del flauto, attira tutti i topolini e li porta fuori dalla città. Tu, con le medicine, guarisci le persone!».Cosa l'ha spinta a trasformare la tesi di Francesca in un libro?«La laurea alla memoria conferitale dall'università il 9 maggio 2017, giorno del suo compleanno. Pur avendo osservato Francesca mentre preparava la tesi, non l'avevo mai sfogliata. Quando me la consegnarono, la lessi e pensai: bel lavoro! Facciamolo girare».Si rammarica di non averlo potuto dire a sua figlia?«Tutto quello che sto facendo è il mio modo per dirglielo».Come mai la scelta di pubblicare Il cibo ideale tramite la onlus?«Mi sono rivolto a diversi editori, anche importanti, ma ero un signor nessuno con una storia triste».Triste, ma «bella».«Lo è adesso che si è creato un po' di tamtam. Un anno fa, portai a casa una collezione di “le faremo sapere". Sintesi delle risposte: “Se vuoi te lo pubblichiamo, ma cosa credi di vendere?"».Descrive Francesca come una ragazza molto riservata. Sarebbe in imbarazzo di fronte al pandemonio creato da suo papà?«Ne parlavo questa mattina con un'amica, Marina Magini, presidente della Francesca Pirozzi onlus. La risposta che ci siamo dati è che, probabilmente, d'istinto non le avrebbe fatto molto piacere avere gli occhi puntati addosso. Ma l'idea che il libro potesse essere utile a qualcuno l'avrebbe entusiasmata».Ha scritto che era «perfetta». C'è un'imperfezione di sua figlia che ama ricordare?«Forse proprio quell'ossessione per la perfezione. Pianificava tutto, anche le banalità. Era una macchina da guerra nel bene e nel male».In quell'ansia da controllo si rivede?«Eccome. Oltre a Francesca ho un'altra figlia, Ottavia, che ha 22 anni. Loro rappresentano le mie due anime: una pienamente razionale, l'altra l'opposto. Francesca è la mia parte perfetta, Ottavia quella imperfetta (in senso buono). Se per la prima era una tragedia arrivare con un minuto di ritardo, per la seconda neanche mezz'ora costituisce un problema».Ottavia come sta vivendo l'attenzione mediatica?«Con tranquillità. L'avevo avvertita che avrei fatto un po' di casino».È vero che per l'ultimo viaggio di Francesca, quello che la accompagnava verso la cremazione, lei guidò l'automobile suonando alla radio le canzoni preferite di sua figlia?«Certo. Quando contattai l'impresa di pompe funebri, notai che aveva in dotazione una Maserati bianca identica a un modello che avevamo visto con Francesca in tempi non sospetti. Lei amava le auto sportive, si era iscritta anche a un corso di guida sicura. Quel giorno mi aveva detto: “Quando toccherà a me, voglio fare l'ultimo giro con quella"».Ripensando a quel viaggio, cosa le passa per la testa?«È un viaggio che ricorderò per tutta la vita».Il cibo ideale parte da un'analisi dell'alimentazione nei pazienti in chemioterapia per estendersi a una riflessione generale sul cibo.«La tesi di Francesca è la fusione di un lavoro scolastico e del vissuto di una persona alle prese con le controindicazioni della malattia e delle cure. Per rendere il libro ancora più scientifico, ho coinvolto un oncologo, Luca Imperatori, molto attento alle problematiche della nutrizione. In un dialogo immaginario tra paziente e medico, offre le risposte alle domande che la gente come Francesca gli pone ogni giorno».Il volume è impreziosito dal contributo di sei chef stellati. È stato difficile coinvolgerli?«Inizialmente sì. Alcune conoscenze nel settore mi dicevano: “Non hanno tempo. Sai quanti gli rompono le scatole per qualche caso umano?". Dopo tre di queste risposte, pensai di fare da solo contattando personalmente gli chef che volevo nel libro. Il primo fu Mauro Uliassi».Non male come inizio.«Quando mi ricevette parlai per un'ora esponendo il progetto, convinto che, alla fine, mi avrebbe detto di no. Dopo avermi ascoltato in religioso silenzio, disse: “Bello! Facciamolo!"».C'è un famoso aforisma attribuito al politico francese Anthelme Brillat-Savarin, considerato il padre della gastronomia: «Dimmi quel che mangi e ti dirò chi sei». Francesca chi era?«Pur non avendo mai avuto problemi di linea, era attentissima a ciò che mangiava. Meticolosa. Il suo rigore si rifletteva nel modo di alimentarsi. Frutta e verdura erano imprescindibili. Adorava la pizza. Da quando ci eravamo trasferiti a Fano, il pesce era particolarmente gradito».Cosa ricorda di quel 9 giugno 2015, giorno in cui alla stanchezza cronica e ai dolori accusati da Francesca venne dato il nome di linfoma non Hodgkin?«Si entra in un meccanismo che non sai dove ti porterà, un percorso insondabile che sfuggiva alle manie di controllo di Francesca: questo la irritava e la preoccupava. Così prendeva appunti su tutto. Il cibo ideale, in qualche modo, è nato con lei».Parlandone, il professor Giorgio Calabresi, docente di dietetica e nutrizione umana, ha accennato a una condizione di «triste serenità» in cui nasce il libro. Una condizione che la rappresenta?«Diciamo che avevo di fronte due strade: una era continuare a piangere, l'altra era fare qualcosa. Ho scelto di percorrere la seconda».Quanto è cambiata la sua vita, con la perdita di Francesca?«Totalmente. Per certi aspetti non ci credo ancora. È come se, da un giorno all'altro, dovesse arrivare per dirmi: “Ecco, papà, questi sono gli appunti che ho raccolto"».È cambiato il suo rapporto con il cibo?«Sicuramente. Non compro più cibi dei quali non conosca la provenienza. Presto molta più attenzione a ciò che mangio. Quante volte, per esempio, andiamo in pizzeria e ignoriamo una bruciatura sul cornicione? Eppure stiamo facendo qualcosa che non va bene».Carlo Petrini, gastronomo e sociologo, ha detto: «Il cibo oggi è prodotto soprattutto per essere venduto, non per essere mangiato». È d'accordo?«Sì. Siamo sempre più numerosi ed è sempre più difficile produrre cibo di qualità per tutti».C'è un accenno importante al modo in cui la televisione tratta il tema della cucina. Della sua relazione con le malattie si parla pochissimo. È ancora un tabù?«Senz'altro. Meglio evitare di parlare del malato; al massimo, si fa riferimento al celiaco o all'intollerante. Però l'idea che il cibo debba essere di qualità sta passando, e questo è importante».Qual è, oggi, il livello di informazione sul linfoma non Hodgkin?«Si discute molto di linfomi, poco di quel male specifico. Il risultato è che per informarsi la gente si rivolge a Internet, dove trova milioni di nozioni una diversa dall'altra. A chi dovesse avere bisogno dico: non accendete neanche il computer, parlate con un medico».So che sta preparando un secondo libro sulla malattia di Francesca. Vuole essere un percorso di autoanalisi?«Senza dubbio. È uno stratagemma per assimilare le cose che sono successe nel modo in cui sono successe. Sarà un racconto intimo, un modo per farla continuare a vivere».Le capita ancora, al ristorante, di fotografare un piatto per mandarlo a sua figlia via Whatsapp?(Sorride). «Sì, l'istinto è quello. Sembra stupido… poco fa mi hanno chiamato da una rete televisiva per un servizio. La prima cosa che ho pensato è stata: ora lo dico a Francesca».
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco