2020-01-28
Il centrodestra si interroga sul fuoco amico
Matteo Salvini prova a pensare positivo: «È stata una cavalcata eccezionale. È un'emozione che dopo 70 anni ci sia stata partita». Ma crescono i sospetti sui voti mancanti. Matteo Richetti punge: «Gente della sua coalizione mi diceva: “Speriamo di perdere"...».Qualcuno ha deciso di non attraversare il Rubicone. Il fiume della celebre avanzata di Giulio Cesare, che scorre vicino a Forlì, è la metafora dei sospetti che animano il centrodestra dopo l'affermazione di Stefano Bonaccini sulla sfidante di centrodestra, Lucia Borgonzoni in Emilia Romagna. Sospetti che diventano ombre corpose a sentire Matteo Richetti, ex presidente dem del parlamentino della storica regione «rossa» e oggi senatore di Azione. «A me non è mai successo in 15 anni di impegno politico di vedere dei candidati avversari che stampavano e producevano materiale col voto disgiunto», ha detto ieri nel corso della trasmissione Mattino 5. «Io ho visto indicazioni, ho visto persone che lo suggerivano, ma mai costruirlo», ha aggiunto. «E siccome lo conservo nel telefono, bisogna dire la verità: Matteo Salvini ha spaventato anche un pezzo della sua coalizione, di candidati che lo sostenevano, di dirigenti nazionali che incontravo in treno, mentre salivamo in Emilia Romagna, e mi dicevano: “Speriamo di non vincere, se no non lo si tiene più"».A chi si riferiva Richetti? Una spiegazione sembra offrirla (in)volontariamente un altro esponente di Palazzo Madama, Andrea Cangini di Forza Italia: «Per lealtà abbiamo taciuto, ora possiamo dirlo: quella messa in scena in Emilia Romagna è stata una campagna elettorale brutta, indicativa di uno squilibrio da correggere». Quale? «Matteo Salvini ha imposto alla coalizione un candidato volenteroso ma debole, si è posto come capo di un partito più che come leader di un'alleanza, ha infiammato una campagna elettorale auto-centrata rivolta non ai cittadini emiliano-romagnoli ma al Palazzo, trasformando le elezioni regionali in un referendum su se stesso. E, come capitò ad un altro Matteo, ha perso». C'è un dettaglio in più ad avvalorare l'ipotesi di uno scientifico travaso di voti dai moderati di centrodestra al governatore uscente. Secondo il centro studi Swg, a Bonaccini sarebbe arrivato un 8,3 per cento da chi aveva votato centrodestra (6,1 per cento) o altri partiti (2,2) con un sostanziale allargamento della platea a suo favore. Impresa che non è riuscita alla Borgonzoni che anzi ha scontato un'astensione pari al 12,5 per cento degli elettori Fi, Lega, Fdi che hanno deciso di non votare. E questo senza considerare un dato statistico impressionante. Rispetto alle elezioni di cinque anni fa, Bonaccini ha registrato un incremento dell'830 per cento di voti personali su quelli di coalizione pur essendo l'affluenza poco meno che raddoppiata: il 37,71 nel novembre 2014 e il 67,67 domenica scorsa. Passando così da 18.538 a 155.260 preferenze. Un risultato impossibile da ottenere guardando solo allo steccato di centrosinistra.Ci sarà comunque tempo per chiarire le dinamiche interne alla coalizione di centrodestra e per ragionare sul futuro del governo nazionale, ma non subito. Perché Matteo Salvini ha provato in ogni caso a pensare positivo. «In Emilia Romagna è stata una cavalcata eccezionale commovente e sono orgoglioso. Per me è un'emozione che dopo 70 anni ci sia stata una partita qui». Il Carroccio è infatti il secondo partito della Regione (31,95%) a un tiro di schioppo dal Pd (34,69). «Fino a qualche anno fa sarebbe stata impensabile per il centrodestra anche solo l'idea di poter essere in partita in Emilia Romagna», gli ha fatto eco Giorgia Meloni. «Aver tenuto tutti con il fiato sospeso fino alle tre del mattino in attesa dei risultati vuol dire che i tempi sono cambiati: è finita un'epoca. Non ci sono più territori inespugnabili e con proposte serie e credibili, con un grande lavoro, si può vincere ovunque», ha sottolineato la leader di FdI. «Per questo siamo già al lavoro per le prossime regioni che vanno al voto, a partire da quelle nelle quali Fratelli d'Italia esprimerà i propri candidati presidenti, quindi la Puglia con Raffaele Fitto e le Marche con Francesco Acquaroli, forti anche di una maggiore centralità che oggi ha Fratelli d'Italia». Analisi condivisa dal governatore ligure Giovanni Toti. «Il centrodestra, soprattutto nel Centro-Nord, è trainato dai muscoli della Lega e di Fratelli d'Italia. Resta una debolezza del centro su cui tutti dobbiamo concentrarci per costruire qualcosa che li possa affiancare», ha chiosato senza soffermarsi sul risultato deludente di Forza Italia fermatasi al 2,56 per cento in Emilia Romagna. Il vicepresidente azzurro ed eurodeputato, Antonio Tajani ha voluto invece sottolineare un altro aspetto della tornata elettorale di domenica scorsa: «Il maggior partito di governo, il M5s, si sta sfaldando: non è un bel segnale per l'esecutivo. Poi se vogliono rimanere attaccati alle poltrone, visto che devono spartire 450 o 500 “postarelli"....». E alla domanda su chi sieda alla tolda della nave di centrodestra, l'ex presidente dell'Europarlamento ha risposto con diplomazia: «Salvini rimane il leader della Lega, ed è un alleato. Noi abbiamo Berlusconi che è stato determinante e trainante anche per la vittoria in Calabria». E, proprio il Cav, in un intervento telefonico, ha voluto ribadire la centralità degli azzurri: «Per quanto ci riguarda, con questo risultato elettorale Forza Italia certifica il radicamento diffuso e il ruolo insostituibile, come unica espressione nel panorama politico della tradizione liberale, della tradizione cattolica, della tradizione garantista». Da domani, però, bisognerà di nuovo lavorare di bilancino per la scelta dei sei candidati governatori che dovranno affrontare le urne nei prossimi mesi.