2022-01-21
Il Cav tiene il banco, ma se alla fine salta proverà a chiudere su Casellati o Draghi
Matteo Salvini e Silvio Berlusconi (Ansa)
Centrodestra congelato, domenica la decisione di Berlusconi. Giuseppe Conte propone la Severino a Salvini. Ipotesi Cartabia premier.L’inchiesta sui finanziamenti al fondatore dei 5 stelle: Onorato, mollato dai renziani, fu messo in condizione di fare le sue richieste direttamente al ministro. Il quale però assicura: «Non parlammo delle concessioni».Lo speciale contiene due articoli.Mario Draghi al Quirinale e «governo fotocopia», ovvero composto dagli stessi ministri in carica oggi con Marta Cartabia premier: è la soluzione al rebus istituzionale che si va delineando in queste ore. Intendiamoci: si tratta dello striscione d’arrivo di una tappa ancora assai lunga e piena di salite e insidie. La prima: finché Silvio Berlusconi non scioglierà la riserva, il centrodestra resta congelato. Il Cav, a quanto trapela, entro domenica dovrebbe comunicare agli alleati se ha deciso di giocarsi le sue carte alla quarta votazione oppure no. «Non c’è nessun ritiro», dicono in serata alla Verità altissime fonti di Forza Italia. Il giorno della ufficializzazione della decisione di Berlusconi dovrebbe essere domenica, la prima votazione è prevista per lunedì. Silenzio assoluto sui numeri da Arcore, mentre dal M5s trapela che una ventina di parlamentari pentastellati avrebbero dato l’ok al Cav. Ma se alla fine dovesse ritirarsi, cosa farebbe Berlusconi? Il sospetto di Matteo Salvini e Giorgia Meloni è che Silvio scelga, in caso di rinuncia, di indossare i panni del padre nobile e aprire lui la trattativa con il centrosinistra su un altro nome. L’ipotesi di un via libera a Draghi da parte di Berlusconi resta in campo, anche se dal quartier generale azzurro fioccano smentite; salgono a dismisura, invece, le quotazioni della presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. La Casellati è una berlusconiana della prima ora, è stata votata alla seconda carica dello Stato anche dal M5s, libererebbe la sua poltrona seppure per soli sette mesi: per Berlusconi sarebbe una quasi vittoria. Italia viva, a quanto ci risulta, convergerebbe immediatamente sul suo nome allargando ufficialmente il campo del centrodestra e aprendo il varco al M5s. «Siamo di fronte a un quadro chiarissimo», dice alla Verità Gianfranco Rotondi, vicepresidente dei deputati di Forza Italia, «che ci sforziamo di complicare. Il centrodestra ha candidato Berlusconi, e la verifica sui voti supplementari può avvenire solo in aula. Non c’è una convergenza di partiti, si tratta di agglomerare una serie di consensi personali. Per adesso ha già vinto: il mondo parla solo di lui, ha frenato una candidatura come quella di Draghi che sembrava invincibile, e se anche le cose alla quarta votazione dovessero andare male si iscriverebbe al club dei mancati presidenti della Repubblica». Il ragionamento di Rotondi rispecchia la sensazione di quelli che hanno seguito la parabola politica di Berlusconi: le varie fonti interpellate concordano sul punto che all’ex premier la voglia di giocarsela, la partita della vita, non è passata. Così come è sostanzialmente impossibile fornire agli alleati i nomi e i cognomi dei grandi elettori non di centrodestra disposti a votarlo: un minuto dopo l’operazione sarebbe fallita. «Gli alleati devono dare una prova d’amore», azzarda un big azzurro, «l’ultima. Queste storie sui kingmaker sono fuffa per retroscenisti, se Berlusconi cade in aula per il centrodestra non cambia assolutamente niente, i numeri quelli sono, a sinistra non c’è niente. Silvio punta anche sui dispetti incrociati nel campo avverso. Il passo indietro gli farebbe avere qualche complimento dai giornali di sinistra, tutto qui, e forse neanche questo». Mentre ad Arcore si continua a far di conto Matteo Salvini continua a fare incontri: nella giornata di ieri il leader della lega vede Giuseppe Conte e Maurizio Lupi. Con Conte, a quando si apprende, l’incontro va molto male: Giuseppi propone a Salvini alcuni nomi, tra i quali quello di Paola Severino, un modo come un altro per far sobbalzare il capo della Lega sulla sedia. «Conte», sospira una fonte del M5s, «vuole andare alle elezioni anticipate, lo sappiamo da tempo, sta lavorando per far crollare tutto». «La Lega», fanno sapere fonti del Carroccio, «ribadisce il ruolo determinante di Silvio Berlusconi. In tutte le occasioni, pubbliche e private, Matteo Salvini ha sottolineato la volontà di tenere unita la coalizione in ogni passaggio relativo al Quirinale, con l’obiettivo di offrire al paese una scelta di alto profilo». «Quello che ci lascia perplessi», riflette con La Verità una fonte autorevole di Fratelli d’Italia, «è l’immobilismo. Avevamo deciso di riunire i capigruppo, di istituire un tavolo permanente, invece non è stato fatto niente». «Il vertice di centrodestra», incalza Giorgia Meloni, «deve essere ancora convocato. Inevitabile che si svolga prima della fine della settimana. Se non sarà convocato lo chiederò ufficialmente». Intanto, sembra in via di risoluzione il problema del voto per i grandi elettori positivi al Covid o in quarantena: la proposta del presidente della Camera, Roberto Fico, è quella di allestire una cabina elettorale nel parcheggio della Camera dei deputati, in via della Missione per far votare i grandi elettori senza scendere dall’auto, in modalità drive-in. È necessario un intervento normativo ad hoc del governo. Intanto, Draghi prosegue i suoi faccia a faccia: ieri ha incontrato il direttore generale del Dis, Elisabetta Belloni, e il presidente di Exor, Stellantis, Gedi e Ferrari, John Elkann.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-cav-tiene-il-banco-ma-se-alla-fine-salta-provera-a-chiudere-su-casellati-o-draghi-2656444928.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="onorato-ebbe-un-incontro-con-toninelli-grazie-a-grillo" data-post-id="2656444928" data-published-at="1642765602" data-use-pagination="False"> Onorato ebbe un incontro con Toninelli grazie a Grillo La chat tra l’armatore Vincenzo Onorato e Beppe Grillo è lunghissima, perché come ha spiegato anche l’avvocato dell’imprenditore, Pasquale Pantano, i due sono amici da oltre 40 anni. Sembra addirittura che si conobbero corteggiando la stessa ragazza. Poi l’allora comico iniziò a lavorare sulle navi di Onorato e da allora i due non si sono più persi. Forse l’errore è stato proprio non separare questa loro amicizia dagli affari quando «Beppe», così è salvato sul cellulare di Onorato, è diventato l’ingombrante garante del primo partito italiano. In quella veste Grillo ha iniziato a preoccuparsi per l’amico quando l’armatore viene travolto dai guai: prima un gruppo di obbligazionisti della Moby fa istanza di fallimento, poi respinta dal giudice di Milano; quindi, per la pressione di alcuni creditori, Onorato è costretto a fare a istanza di concordato; senza dimenticare il sanguinoso contenzioso che contrappone l’armatore al Ministero dello sviluppo economico per un debito di 180 milioni legato all’acquisto della Tirrenia. Ma i giornali italiani sono più interessati dal procedimento per traffico di influenze illecite coordinato dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e da Cristiana Roveda. Un fascicolo che vede indagati Grillo e Onorato in cui sono confluite le chat sequestrate all’imprenditore nell’inchiesta sulla fondazione Open. I messaggi con esponenti grillini sono più della dozzina citata ieri dai giornali e riguardano diversi temi. Ma le comunicazioni che hanno attirato in particolare l’attenzione degli inquirenti sono quelle propedeutiche a un incontro con l’allora ministro dei Trasporti Danilo Toninelli. Che, ieri, con La Verità, ha ammesso l’appuntamento e lo ha spiegato così via Whatsapp: «Sì certo che c’è stato l’incontro. Come con tutti o quasi i concessionari di beni o servizi pubblici. Mi pare fosse inizio estate 2019. Si parlò della normativa sul regime fiscale per i marittimi di origine italiana e comunitaria. E visto che me lo chiederà le rispondo già dicendole che non parlammo della concessione in essere. E non avrebbe nemmeno avuto titolo per chiedermelo perché era già partita la pratica tutta interna al ministero per la gara pubblica finalizzata all’assegnazione della nuova concessione, visto che la precedente scadeva il 18 luglio 2020. Quindi si ricordi che la concessione quando io terminai il mandato da ministro era ancora abbondantemente in essere. Non come alcuni suoi colleghi hanno detto. Un saluto». Onorato sarebbe uscito da quell’incontro piuttosto allibito: «Toninelli mi ha chiesto: “Ma lei che lavoro fa?”. Cosa avrei dovuto rispondergli?..» ha confidato ai suoi più stretti collaboratori. Insomma Grillo avrebbe utilizzato la sua «influenza», ma Toninelli, l’ex ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli e alcuni senatori e deputati non si sarebbero adoperati più di tanto per la causa. Ben diversa la posizione di un ex parlamentare, oggi potente lobbista, che compare nelle chat di Onorato in modo costante. C’è da capire se abbia ricevuto pagamenti e ottenuto risultati a livello legislativo. Ma il gran agitarsi di Onorato sarebbe motivato dal derby infinito tra armatori con la schiatta dei Grimaldi, che l’indagato considera nelle grazie della Lega di Matteo Salvini, anche perché la proposta di accordo sulla restituzione di 144 milioni (garanti da ipoteca) dei 180 dovuti al Mise è stata bocciata dal ministero guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti. E a rendere ancora più sospettoso Onorato sono stati alcuni titoli di giornale che annunciavano come «top player» della Lega per battere Vincenzo De Luca in Campania proprio un Grimaldi. E la sindrome da accerchiamento forse trova una giustificazione nelle chat dell’inchiesta Open, da cui risulta che Onorato, storico elettore della sinistra e tesserato del Pd è stato gettato a mare dal suo stesso partito proprio a favore dei Grimaldi. Il casus belli lo spiega lo stesso Onorato ai pm: «Devo premettere che ero iscritto al Partito democratico da tempo; ho stracciato la tessera del partito nella circostanza del ritiro della legge Cociancich (il secondo emendamento Cociancich-deputato del Pd, Ndr-) dal Parlamento da parte dell’allora ministro dei Trasporti Delrio. Tale legge era finalizzata al recupero dell’occupazione dei marittimi italiani». Ma Onorato forse ignorava che Lotti e il presidente di Open Alberto Bianchi lo avevano già scaricato a favore dei Grimaldi. Il 13 febbraio 2018, nel pieno della campagna elettorale per le politiche Bianchi scrive a Lotti: «A pranzo vedo Grimaldi c’è qualcosa di simpatico che tu pensi possa dirgli?». L’ex ministro risponde: «Poco. Anche se alla fine la battaglia l’ha vinta lui, grazie a Delrio». Bianchi chiede, senza ottenere risposta se Grimaldi «lo sa che è grazie a Delrio?». Qualche ora dopo Bianchi relaziona Lotti sull’incontro: «Buon impatto con Grimaldi. Sabato ti dico, non sarebbe male tu lo vedessi prima del 4 (marzo, giorno delle elezioni politiche 2018, Ndr)». E il 29 marzo Bianchi certifica con un altro messaggino Whatsapp a Lotti la volontà di sacrificare Onorato a vantaggio del competitor: «Sei d’ accordo nel coltivare rapporto con Grimaldi anche a costo di perdere Onorato, che tende ai grillini? Mi serve saperlo prima possibile». Lapidaria la risposta di Lotti: «Yes».
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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