2018-05-19
Il Cav picchia la Lega e fa l’occhiolino al Colle
Il leader di Forza Italia: «Con Matteo Salvini ora c'è molta distanza, gli ho detto di tornare a casa». Poi la butta lì: «Per il governo ci sarebbe un certo Berlusconi...». Lumbard furiosi: «Centrodestra tradito». Il mantra è partire forte su stop a sbarchi e Fornero per arrivare al 30%.Archiviata la votazione su Rousseau, oggi e domani i gazebo del Carroccio. Lunedì incontro con Sergio Mattarella. Luigi Di Maio vuole l'incarico, per i lumbard meglio una figura d'area. All'uomo forte leghista Esteri o Difesa. Lo speciale contiene due articoli.Sono bastate una settimana da riabilitato e l'aria fine della Val d'Aosta per far tornare l'appetito politico a Silvio Berlusconi. Il tempo di farsi stirare il doppiopetto e di stringere autorevoli mani europeiste al vertice di Sofia, e il Cavaliere è diventato di nuovo un fattore assoluto. «Sono pronto a guidare un governo di centrodestra, Sergio Mattarella dovrebbe dare l'incarico alla coalizione di presentare un proprio programma al parlamento dove saremmo sicuri di ottenere la maggioranza e dare vita a un governo che potrebbe durare per molto tempo, anche per tutta la legislatura».Piombate a valle mentre Matteo Salvini e Luigi Di Maio stanno cucendo faticosamente il loro vestito istituzionale, le parole di Berlusconi hanno l'effetto di uno sparo in un campo militare addormentato all'alba e danno l'idea di un palese tifo contro l'alleato. Vanno ben al di là del bonario «Lasciamoli partire, tanto poi si schiantano», sussurrato ai fedelissimi ad inizio settimana. E inducono alla domanda più naturale: è arrivato il momento dello scontro con Salvini? Anche perché Berlusconi non si ferma allo scenario, ma ha già pronta la proposta per il presidente: «Mi chiedete chi dovrebbe guidare quell'esecutivo? C'è un certo Silvio Berlusconi che ha un'esperienza di nove anni al governo del Paese, che ha presieduto per tre volte il G7 e il G8 ed è tornato disponibile. E con la carenza di personaggi che c'è...». Poi la stoccata finale: «Che Dio ce la mandi buona».L'autocandidatura da premier alternativo al governo 5stelle-Lega arriva durante il tour ad Aosta in vista delle elezioni regionali di domani, involontario laboratorio politico di un certo interesse perché potrebbe tenere a battesimo il primo accordo amministrativo Salvini-Di Maio sul territorio, decisione che verrebbe vista con clamore dai naturali alleati del leghista. Anche per questo, le parole di Berlusconi hanno in sé qualcosa di sorprendente. «Salvini non ha mai parlato a nome della coalizione di centrodestra, ma ha sempre parlato a nome proprio o a nome della Lega. La coalizione con un programma comune è assolutamente un'altra cosa e non ha nulla a che vedere con il Movimento 5 stelle». Tutto questo per poi scandire la frase da scrivere tutta maiuscola: «In questo momento con Salvini c'è molta distanza. Nell'ultima telefonata gli ho consigliato di tornare a casa». Dopo l'uscita valdostana è circolata la voce di una telefonata al vetriolo tra i due, smentita da entrambi gli uffici stampa. Ma quel che è certo è che da dentro la Lega arrivano possenti mal di pancia: «L'improbabile candidatura» di Berlusconi a premier viene considerata un vero e proprio tradimento «ai danni di chi si è sempre mosso nel rispetto e nella lealtà». Forza Italia si era data un codice di comportamento. Fino a ieri l'ordine di scuderia nei rapporti con la Lega era: una fredda cortesia in attesa di novità. Poi sono arrivati i contratti di governo - ormai più affastellati dei diari di Benito Mussolini che una decina d'anni fa passarono per le mani di Marcello Dell'Utri - e Berlusconi non li ha digeriti. Ha colto aspetti di confusione, anche di accanimento. La legge sul conflitto di interessi, il dossier giustizia ispirato ai dettami di Piercamillo Davigo (bollato dal Cavaliere come «semplicemente giustizialista»), la copertura di spesa solo ipotetica: tutti elementi negativi agli occhi di Forza Italia e del suo fondatore. In più, gli azzurri si sentirebbero garantiti solo da un premier come Giancarlo Giorgetti, fondamentale per avere i loro voti e una solida maggioranza al Senato. Ma Di Maio continua a rispondere picche. Anche le ultime uscite di Salvini hanno contribuito ad allargare il solco fra i due partiti. Davanti a Berlusconi che minaccia la sfiducia, lui risponde: «Se una parte del centrodestra non se la sente di partire, nessun problema». Quando Berlusconi sottolinea il suo ritorno alla candidabilità, lui replica: «Ormai le mie scelte prescindono da questo». E al Cavaliere che sollecita le elezioni per raggiungere insieme quel 41%, il numero uno della Lega dice: «Ho la mia testa e decido in base a quelli che ritengo siano gli interessi del Paese».Mentre ad Arcore sperano che tutto si areni o che il capo dello Stato si metta di traverso davanti alla strana coppia, in via Bellerio a Milano il contratto ha ottenuto il via libera dall'intero Consiglio federale (oggi e domani tocca ai gazebo). Se il vascello 5 stelle-Lega dovesse prendere il largo, è possibile che i suoi marinai comincino a trovare sintonie e affinità al di là delle 39 pagine e disegnino una nuova architettura politica. Non è un mistero che la Lega voglia partire forte col governo (stop agli sbarchi, via la legge Fornero, giù le tasse) per raggiungere il 30% già alle Europee del 2019 e chiudere Forza Italia in un angolo. Difficile che lunedì Salvini torni a casa. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-cav-picchia-la-lega-e-fa-locchiolino-al-colle-2570022380.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="salvini-apre-a-un-tecnico-grillino-in-cambio-piazza-giorgetti-di-guardia" data-post-id="2570022380" data-published-at="1757881511" data-use-pagination="False"> Salvini apre a un «tecnico» grillino. In cambio piazza Giorgetti di guardia Luigi Di Maio e Matteo Salvini sono attesi lunedì prossimo al Quirinale dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per comunicare il nome del premier del governo Lega-M5s. Ieri è stata la giornata della consultazione on line del M5s, sulla piattaforma Rousseau: tra vari stop and go, gli iscritti (sulla carta 140.000) hanno votato sul contratto di governo. Quando questo giornale è andato in stampa, non erano stati ancora diffusi i risultati. Il quesito era lapidario: «Approvi il contratto del governo del cambiamento?». Oggi e domani, tocca ai militanti della Lega dare il via libera all'accordo, attraverso la consultazione ai gazebo. La domanda rivolta ai militanti del Carroccio è: «Sei d'accordo sulla sottoscrizione di un contratto di governo con il M5s per perseguire e realizzare, tra gli altri, i seguenti punti?». Sono 10 i punti programmatici riportati sul modulo, tutti quelli più cari alla Lega. Si va dall'eliminazione della legge Fornero alla pace fiscale, dalla stretta sull'immigrazione alla flat tax; ci sono la sicurezza, la legittima difesa, il salario minimo orario, la ridiscussione dei trattati europei, misure di sostegno alla famiglia, più autonomia. Ieri il consiglio federale della Lega ha dato il via libera all'intesa, affidando un «mandato pieno e unanime» al segretario Matteo Salvini «affinché si parta con il governo del cambiamento Lega-5 stelle». «Soddisfazione di tutti», recita la nota diffusa al termine del consiglio, «perché il contratto di governo accoglie la politica del “prima gli italiani" e il 90% delle richieste delle Lega. Se ci sarà l'ok degli italiani», conclude il documento, «e ci sarà accordo sulla squadra, si parte». «Il problema», ha detto ieri Di Maio, «ora è sciogliere il nodo del premier. Non so se andrò a fare il premier», ha aggiunto il leader del M5s, «ho sempre detto che se il problema sono io, sono disponibile a non fare il presidente del Consiglio». In realtà, Giggino da Pomigliano è convinto di essere a un passo da Palazzo Chigi, e per riuscire nell'impresa conta sul capo dello Stato. Dopodomani, infatti, Mattarella potrebbe insistere sulla necessità di un premier forte, e sottolineare che la figura adatta sarebbe quella di Di Maio, leader del primo partito della coalizione gialloverde. Tra il Quirinale e Di Maio il rapporto è saldissimo: il giovane leader partenopeo garantisce piena affidabilità su tutti i temi cari al capo dello Stato, a partire dalla politica estera e dal rapporto con l'Unione europea, e tiene sempre in grande considerazione le riflessioni di Mattarella. A quel punto, Salvini, se si incaponisse sul «no» a Di Maio, si assumerebbe la responsabilità di aver fatto naufragare l'accordo per un «veto su una persona». Il Carroccio, stando a quanto trapelato dal consiglio federale di ieri, ha infatti accettato che il premier venga indicato dal M5s, un profilo tecnico, con l'unica condizione che non sia Di Maio. La pattuglia leghista in consiglio dei ministri vedrebbe tra gli altri Salvini agli Interni, Gian Marco Centinaio al Turismo e Stefano Candiani all'Agricoltura, la Bongiorno ai Rapporti con il Parlamento mentre i quattro ministeri pesanti, Esteri, Difesa e Economia, e Sviluppo economico sarebbero decisi insieme a Mattarella (uno di questi andrà a Giancarlo Giorgetti). Il Colle vorrebbe Giampiero Massolo alla Farnesina e un professore a via XX settembre. L'idea di un premier «terzo» ma espressione del M5s è di difficile attuazione, basti vedere come i grillini hanno fatto scientificamente saltare ogni ipotesi in campo. Micidiale ad esempio l'uno-due sulla candidatura di Emilio Carelli. Ieri mattina tra i vertici del M5s si è discusso sulla proposta della Lega di convergere sull'ex direttore del Tg5 ed ex uomo Mediaset di provata affidabilità. L'ala più giovane e pragmatica, impersonata dai vari Rocco Casalino, Danilo Toninelli, Stefano Buffagni e Vincenzo Spadafora, era per accettare la proposta e negava che Carelli fosse ancora berlusconiano. Ma ha prevalso l'ala più storica e ortodossa, quella che ancora si riconosce nel Vaffa Day di Beppe Grillo, che ha sottolineato come il giornalista sia nel Movimento da pochi mesi e come sia «pericoloso» avere a Palazzo Chigi un ex uomo del Biscione. «Il problema non è Carelli, il problema sono i bisogni economici di Berlusconi per le sue aziende e le pressioni che è in grado di esercitare», ha detto un esponente dell'ala dura, di fronte a un Di Maio silente ma compiaciuto. Ma se l'incolpevole Carelli aveva ancora qualche chance di successo, a metà mattina è arrivato il micidiale endorsement pubblico del suo ex collega Carlo Rossella: «Emilio sarebbe un bravissimo premier ed è anche ben visto da Berlusconi». Detto dal presidente di Medusa Film, la società cinematografica del Cavaliere, è parso assolutamente credibile. Ma soprattutto definitivo, salvo sorprese dell'ultimo minuto. Per lui si parla allora dei Beni culturali. E man mano che aumentano i possibili candidati «bruciati» uno a uno, si rafforza la possibilità che era parsa in vantaggio dal primo minuto del 5 marzo: Luigi Di Maio a Palazzo Chigi. Una specie di gioco dell'Oca. Carlo Tarallo
Jose Mourinho (Getty Images)