2020-05-24
Il caso Open Arms giunge in Senato con il peso degli insulti al leghista
Atteso per martedì il responso della giunta per le autorizzazioni sul processo a Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona. Proprio una delle vicende per cui, secondo le chat dei pm, bisognava «attaccare» l'allora ministro.È in un quadro politico differente, dopo la scoperta degli attacchi contro Matteo Salvini da parte della magistratura, che si svolgerà tra domani e martedì il voto nella giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato che dovrà dare il via libera al processo a carico del leader della Lega sul caso Open Arms. Domani sera i senatori avranno a disposizione 10 minuti per intervenire sulla vicenda della nave Ong spagnola che aveva caricato in mare 140 migranti nell'agosto del 2019. Salvini, da ministro dell'Interno, ne aveva fermato lo sbarco in Italia, dopo che già Malta e la Spagna si erano opposte. Poi la nave, dopo venti giorni a largo di Lampedusa, aveva attraccato ad Agrigento e la procura aveva spiccato due avvisi di garanzia per l'ex numero uno del Viminale, contestandogli «il plurimo sequestro di persona aggravato» e il «rifiuto di atti d'ufficio». Il fascicolo finì poi al tribunale dei ministri di Palermo che ora attende il voto in giunta per capire come procedere. Secondo i magistrati palermitani l'ex ministro dell'Interno avrebbe ignorato l'emergenza sanitaria che si stava sviluppando a bordo della nave ferma a poco meno di un chilometro dalle coste della Sicilia. Ma l'aria è cambiata, non solo nella magistratura, ma anche nella stessa politica dopo che La Verità ha pubblicato le intercettazioni dove il capo della procura di Viterbo Paolo Auriemma spiegava all'ex leader dell'Anm Luca Palmara di non vedere «veramente dove Salvini» stesse «sbagliando». Perché, spiegava Auriemma, «illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministro dell'Interno interviene perché questo non avvenga. E non capisco cosa c'entri la Procura di Agrigento. Questo dal punto di vista tecnico al di là del lato politico. Tienilo per te ma sbaglio?». E proprio Palamara, che all'epoca era membro del Consiglio superiore della Magistratura, rispondeva: «No hai ragione... Ma ora bisogna attaccarlo». Nonostante Auriemma ribattesse che fosse una «cazzata atroce attaccarlo» e che i magistrati erano «indifendibili» per averlo indagato «per non aver permesso l'ingresso soggetti invasori». Eppure quell'indagine sulla Open Arms è arrivata fino alla giunta per le autorizzazioni a procedere. Ma le intercettazioni che stanno dilaniando la magistratura rischiano di gettare più di un'ombra sull'inchiesta del tribunale dei ministri di Palermo. Dall'inchiesta di Perugia su Palamara emerge infatti un quadro inquietante sulle toghe italiane, più impegnate nella spartizione di incarichi o in attacchi politici che in una gestione oculata della giustizia. A finire sul banco degli imputati è sempre il peso delle correnti che da anni regolano il dibattito politico giudiziario. Gli stessi giudici del tribunale del tribunale dei ministri di Palermo, che hanno chiesto di giudicare Salvini, ne fanno parte. A occuparsi dell'indagini sull'ex ministro dell'Interno sono tre donne, Caterina Greco, Lucia Fontana e Maria Ciringione. Greco, la presidente, ha un passato nella corrente Movimento per la giustizia, costola di fuoriusciti da Unicost di Palamara negli anni Ottanta, ora confluita insieme con Magistratura democratica dentro Area. Così anche Ciringione compare negli elenchi degli iscritti ancora disponibili su internet. La vicenda Open Arms fu una delle tante politicizzate da parte della magistratura. Proprio Area Md lanciò duri attacchi contro Salvini durante il governo gialloblù. Come quello del segretario Maria Cristina Ornano, che durante il congresso del 2019 definì «la Lega» un «partito di matrice leaderistica» che «declina la sua offerta politica in chiave nazionalista, sovranista, populista, razzista e xenofoba». In ogni caso nella memoria depositata in giunta da Salvini, il leader della Lega aveva spiegato che «l'indicazione del Place of Safety spettava alla Spagna o a Malta e il comandante della nave ha deliberatamente rifiutato il Pos indicato successivamente da Madrid, perdendo tempo prezioso al solo scopo di far sbarcare gli immigrati in Sicilia, come già aveva fatto nel marzo 2018». Ma soprattutto, secondo il presidente della giunta Maurizio Gasparri, «è evidente che Giuseppe Conte sapeva e condivideva». Tant'è vero «che il premier» aveva chiesto «di sbarcare i minori, il che implica tenere a bordo gli altri». Tesi quest'ultima che non viene condivisa dai giudici che sostengono invece che Conte lo avrebbe incalzato in quei giorni «ad adottare con urgenza i necessari provvedimenti per assicurare assistenza e tutela ai minori presenti sull'imbarcazione». Le toghe di Palermo ritengono soprattutto che gli extracomunitari fossero «angosciati dal terrore di venire respinti. E riportati in Libia». A leggere le parole di un magistrato come Auriemma, intercettato, il ministro dell'Interno stava svolgendo semplicemente il suo lavoro di ministro dell'Interno. Ma nel 2019, come invece sosteneva un pezzo da novanta come Palamara, bisognava «attaccarlo». Anche su questo dovrà esprimersi la giunta per le autorizzazioni del Senato. Occhi puntati sul voto dei 5 stelle, dopo che l'europarlamentare pentastellato Ignazio Corrao ha espresso solidarietà al leader leghista nonché ex alleato proprio durante il caso Open Arms. «Che in una chat di magistrati si dica “bisogna attaccare" un politico è una roba paurosa, contraria alle basi della democrazia, alla separazione dei poteri. Anche fosse stato il solo Palamara, gli altri non avrebbero dovuto tollerare», ha detto Corrao.
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