2025-02-21
Il capo del Tar Friuli richiama all’ordine i colleghi: «L’ideologia diventa pregiudizio»
Carlo Modica de Mohac (Imagoeconomica)
Carlo Modica de Mohac interviene pure sulla questione dei migranti: «Non tutti i magistrati sono d’accordo con certe sentenze».Il discorso pronunciato da Carlo Modica de Mohac di Grisì, presidente del Tar del Friuli-Venezia Giulia, all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2025 smonta un mito: quello di una magistratura monoliticamente compatta su alcune posizioni. Emerge, piuttosto, la presenza al suo interno di una pluralità di punti di vista e l’esigenza di una riflessione sul proprio ruolo. La dissertazione di cui sopra, infatti, oltre a tracciare un quadro interessante sullo stato dell’ordinamento, della giustizia e della società italiani, avanza due proposte notevoli: l’istituzione di quella che in inglese viene chiamata dissenting opinion e, parallelamente, la costituzione di una «Associazione nazionale per la magistratura imparziale» con la missione «di valorizzare, in tutti gli ambienti e settori delle varie magistrature, e presso l’avvocatura, il principio della imparzialità».Prima di approfondire queste due idee, vale la pena soffermarsi brevemente sull’argomentazione condotta dal presidente Modica de Mohac per arrivarci. Il suo discorso prende le mosse da una disamina sulle condizioni attuali del sistema della giustizia e più in generale della società, per poi domandarsi quali siano le qualità, in generale e dentro questo contesto, del «buon giudice». La metafora ricorrente è quella della selva oscura dantesca. Tale appare l’ordinamento giuridico, «frammentario, disorganico, disomogeneo e soprattutto diviso». Tra gli esempi portati, i contrasti nella cosiddetta gerarchia delle («troppe») fonti giuridiche (si pensi al conflitto tra norme nazionali e norme sovranazionali). Lo stesso dicasi per la «Giustizia», caratterizzata «da sorprendenti ed insopportabili oscillazioni e «contrasti giurisprudenziali». Anche qui, tra i molti esempi elencati, bastino i riferimenti alle diverse concezioni sui diritti fondamentali (come la «questione della differenza di genere, della qualificazione e quantificazione dei generi e della loro stabilità nel tempo») e sull’accoglienza dei migranti, ma anche «la contrastante visione in ordine alla sovranità dei singoli Stati appartenenti all’Unione europea». Dello stesso tenore la descrizione dell’Italia, «tendenzialmente “spaccata” sia ideologicamente (e dunque eticamente) che politicamente»: dalla visione sul ruolo dell’Europa (e della sovranità nazionale) a quella sui diritti, dalle diverse opinioni sul riarmo a quelle riguardanti i conflitti nel mondo (Hamas, Israele, la Russia). In questo contesto, dunque, che ne è della principale qualità di un buon giudice, ossia l’imparzialità («l’equidistanza dalle parti e la serenità nel giudizio, ossia il distacco dall’agone politico)? «L’indipendenza, la inamovibilità e gli altri poteri dei giudici», spiega il presidente Modica de Mohac, «hanno senso solamente se visti come strumenti per agevolarli (e per renderli intoccabili) nell’esercizio della “imparzialità”». «Dunque», continua, «non sono «prerogative aristocratiche», ma strumenti per garantire il buon funzionamento della giustizia e dunque la effettiva imparzialità di chi è chiamato a giudicare. Sono strumenti per agevolare l’adempimento di un dovere (il dovere del giudice di erogare giustizia e cioè di essere imparziale) e non per rafforzare l’esercizio di un (preteso) diritto (quello di giudicare secondo arbitrio)». Il punto centrale del discorso, dunque, è che in tale contesto di polarizzazione e incertezza giuridica l’esercizio dell’imparzialità diviene particolarmente difficile. «Non può essere ignorato», afferma, «che nel contesto descritto emerge o “fa capolino”, sempre e comunque anche a livello inconscio, l’“ideologia” quale bagaglio culturale, bagaglio che molto spesso è facile che si trasformi in “pregiudizio”». La discrezionalità, infatti, mina le fondamenta dell’imparzialità. Quanto più essa è maggiore, osserva il presidente, «tanto più facile è l’innesco del pregiudizio ideologico/politico», perché «ogni uomo, anche un giudice, ha un pregiudizio».Il buon giudice, dunque, è colui che «lavora quotidianamente con sé stesso al fine di distaccarsi da ogni pregiudizio». Tuttavia, l’ordinamento non può contare esclusivamente sulla personale capacità di ascesi (termine più consono all’ambito spirituale che a quello giuridico) dei suoi magistrati, ma altresì occorrono dei meccanismi che possano aiutare in tal senso. È all’interno di questo quadro, pertanto, che si situano le due proposte lanciate da Modica de Mohac. La prima concerne l’introduzione dell’opinione dissenziente nelle sentenze, un istituto già presente in alcune democrazie europee. Mentre oggi la magistratura appare monolitica nell’interpretare le norme, specie su temi sensibili come l’immigrazione, ma spesso cela dissensi interni, rendere pubblico il voto a maggioranza nei collegi giudicanti, senza intaccare l’efficacia delle decisioni, svelerebbe la pluralità di vedute, favorendo dibattito e trasparenza. «Immaginate che cosa accadrebbe (a livello politico) se emergesse che gran parte delle sentenze in materia di immigrazione (o in altre “materie sensibili”) viene adottata senza l’accordo dell’intero Collegio giudicante», spiega il presidente: «verrebbe fuori l’immagine di una magistratura niente affatto compatta e niente affatto “schierata” sulle varie questioni, come invece oggi spesso si vuol fare apparire». La seconda iniziativa mira a creare l’«Associazione nazionale per la magistratura imparziale», un organismo inter-magistratuale per promuovere l’imparzialità come valore morale e culturale. «Spero che Trieste», aggiunge, «con l’aiuto dell’Università possa essere il trampolino di lancio se non addirittura l’epicentro di tale iniziativa».