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2018-06-14
Dennis Rodman in lacrime per l'incontro tra «gli amici» Trump e Kim
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ANSA
C'è un solo uomo che, prima dello storico meeting di martedì a Singapore, poteva dirsi amico sia del presidente Trump, sia del leader nordcoreano Kim. Quell'uomo si chiama Dennis Rodman, ex campione folle di basket, ed è ancora oggi uno dei personaggi di culto dell'intero sport americano, nonostante si sia ritirato 18 anni fa. Anche se in campo non sembrava un diplomatico, le sue lacrime durante un'intervista televisiva alla Cnn sono quelle, autentiche, di una persona che ha coronato un sogno: «È un grande giorno e io sono qui a viverlo», ha detto dopo la storica stretta di mano.
Non è stato invitato ai negoziati, hanno tenuto a precisare le due parti coinvolte nel meeting, ma non era questo lo scopo del suo viaggio a Singapore. «Darò tutto il mio supporto ai miei due amici Trump e Kim». Rodman, che nella vita non si è mai fatto mancare niente (in positivo, ma anche in negativo), è uno dei pochi occidentali a conoscere personalmente il dittatore nordcoreano. Il personaggio è di quelli speciali. Rodman nasce nel 1961 nel New Jersey, in una famiglia numerosa che il padre (aviatore) abbandona poco dopo. La madre è costretta a traslocare in uno dei sobborghi più malfamati di Dallas ed è lì che Dennis cresce, in mezzo a criminalità e cattive compagnie. Non sembra nemmeno tanto bravo a giocare a basket, sport che lo renderà famoso da lì a qualche anno, ma con il tempo migliora ed entra nella Nba. Carriera lunga, piena di gioie e di controversie: Dennis è il classico giocatore che nessuno vorrebbe trovarsi davanti. È un difensore pazzesco, un rimbalzista nato e non ha nessun tipo di problema a fare innervosire gli avversari con certe provocazioni da circo. Un personaggio molto borderline che, in ogni caso, diventa uno dei compagni più apprezzati da Michael Jordan nell'epopea dei Chicago Bulls e mette insieme cinque titoli Nba. Il suo carattere ha lati oscuri.
Durante una partita colpisce un arbitro con una testata dopo un fischio ritenuto sbagliato, in un'altra prende a calci un cameraman, i suoi capelli sono sempre di un colore diverso, si va dal verde al rosa senza problemi. Durante le finali Nba del 1998, prima di una partita decisiva, va a lottare con Hulk Hogan, famoso wrestler americano. Multa di 20.000 dollari. Da quell'esibizione ne aveva guadagnati più di 200.000 e alla fine vince anche il titolo.
Dopo avere terminato la carriera cestistica, Rodman continua a ballare con i guai. Più volte entra in clinica per disintossicarsi dall'alcool e, ciclicamente, i giornali spendono titoli su di lui e sui suoi eccessi. In tutto questo, ha il tempo di recarsi in Corea del Nord e conoscere personalmente Kim Jong-Un. Come due personaggi così agli antipodi possano andare d'accordo, resta un mistero. Punti di contatto certi: l'amore per il basket e per gli hamburger. I due si incontrano per la prima volta in un viaggio di Dennis a Pyongyang nel 2013 per organizzare partite di basket amichevoli. Da quel momento, solo parole al miele. «Sarà per sempre mio amico», dice l'ex guerriero dei canestri in un'intervista, arrivando anche a sbilanciarsi: «Sarebbe davvero strano se io non dovessi finire almeno tra i primi tre candidati al Nobel per la pace». In seguito a un suo appello, Kim rilascia Kenneth Bae, il missionario arrestato e condannato a 15 anni di lavori forzati con l'accusa di essere una spia.
Le relazioni non si sono mai raffreddate, nonostante la lontananza e la chiusura del regime nordcoreano verso il resto del mondo. Nel 2017 Rodman torna a Pyongyang, con lo scopo di far progredire lo sport in Corea del Nord. Qualcuno l'ha chiamata «la diplomazia dei canestri», in ricordo della famosa diplomazia del ping-pong che fu il primo passo verso il disgelo tra gli Stati Uniti e la Cina comunista. Ferma restando l'amicizia con Kim, Rodman è anche un grande sostenitore di Trump, nonostante qualche screzio iniziale. «Donald è un mio grande amico da anni. Non abbiamo bisogno di un altro politico, ma di un uomo d'affari come Trump», si azzarda a scrivere durante la campagna elettorale.
Tutto dimenticato, missione compiuta; il trio più improbabile ha stupito il mondo. Ora le lacrime del gigante sembrano sincere. Dopo lo storico incontro di Singapore il segretario del presidente lo ha personalmente chiamato per dirgli che «Trump è davvero orgoglioso di te e ti ringrazia di cuore».
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L'ex folle campione di basket è ancora oggi uno dei personaggi di culto dell'intero sport americano, nonostante si sia ritirato 18 anni fa. C'è un solo uomo che, prima dello storico meeting di martedì a Singapore, poteva dirsi amico sia del presidente Trump, sia del leader nordcoreano Kim. Quell'uomo si chiama Dennis Rodman, ex campione folle di basket, ed è ancora oggi uno dei personaggi di culto dell'intero sport americano, nonostante si sia ritirato 18 anni fa. Anche se in campo non sembrava un diplomatico, le sue lacrime durante un'intervista televisiva alla Cnn sono quelle, autentiche, di una persona che ha coronato un sogno: «È un grande giorno e io sono qui a viverlo», ha detto dopo la storica stretta di mano.Non è stato invitato ai negoziati, hanno tenuto a precisare le due parti coinvolte nel meeting, ma non era questo lo scopo del suo viaggio a Singapore. «Darò tutto il mio supporto ai miei due amici Trump e Kim». Rodman, che nella vita non si è mai fatto mancare niente (in positivo, ma anche in negativo), è uno dei pochi occidentali a conoscere personalmente il dittatore nordcoreano. Il personaggio è di quelli speciali. Rodman nasce nel 1961 nel New Jersey, in una famiglia numerosa che il padre (aviatore) abbandona poco dopo. La madre è costretta a traslocare in uno dei sobborghi più malfamati di Dallas ed è lì che Dennis cresce, in mezzo a criminalità e cattive compagnie. Non sembra nemmeno tanto bravo a giocare a basket, sport che lo renderà famoso da lì a qualche anno, ma con il tempo migliora ed entra nella Nba. Carriera lunga, piena di gioie e di controversie: Dennis è il classico giocatore che nessuno vorrebbe trovarsi davanti. È un difensore pazzesco, un rimbalzista nato e non ha nessun tipo di problema a fare innervosire gli avversari con certe provocazioni da circo. Un personaggio molto borderline che, in ogni caso, diventa uno dei compagni più apprezzati da Michael Jordan nell'epopea dei Chicago Bulls e mette insieme cinque titoli Nba. Il suo carattere ha lati oscuri. Durante una partita colpisce un arbitro con una testata dopo un fischio ritenuto sbagliato, in un'altra prende a calci un cameraman, i suoi capelli sono sempre di un colore diverso, si va dal verde al rosa senza problemi. Durante le finali Nba del 1998, prima di una partita decisiva, va a lottare con Hulk Hogan, famoso wrestler americano. Multa di 20.000 dollari. Da quell'esibizione ne aveva guadagnati più di 200.000 e alla fine vince anche il titolo. Dopo avere terminato la carriera cestistica, Rodman continua a ballare con i guai. Più volte entra in clinica per disintossicarsi dall'alcool e, ciclicamente, i giornali spendono titoli su di lui e sui suoi eccessi. In tutto questo, ha il tempo di recarsi in Corea del Nord e conoscere personalmente Kim Jong-Un. Come due personaggi così agli antipodi possano andare d'accordo, resta un mistero. Punti di contatto certi: l'amore per il basket e per gli hamburger. I due si incontrano per la prima volta in un viaggio di Dennis a Pyongyang nel 2013 per organizzare partite di basket amichevoli. Da quel momento, solo parole al miele. «Sarà per sempre mio amico», dice l'ex guerriero dei canestri in un'intervista, arrivando anche a sbilanciarsi: «Sarebbe davvero strano se io non dovessi finire almeno tra i primi tre candidati al Nobel per la pace». In seguito a un suo appello, Kim rilascia Kenneth Bae, il missionario arrestato e condannato a 15 anni di lavori forzati con l'accusa di essere una spia.Le relazioni non si sono mai raffreddate, nonostante la lontananza e la chiusura del regime nordcoreano verso il resto del mondo. Nel 2017 Rodman torna a Pyongyang, con lo scopo di far progredire lo sport in Corea del Nord. Qualcuno l'ha chiamata «la diplomazia dei canestri», in ricordo della famosa diplomazia del ping-pong che fu il primo passo verso il disgelo tra gli Stati Uniti e la Cina comunista. Ferma restando l'amicizia con Kim, Rodman è anche un grande sostenitore di Trump, nonostante qualche screzio iniziale. «Donald è un mio grande amico da anni. Non abbiamo bisogno di un altro politico, ma di un uomo d'affari come Trump», si azzarda a scrivere durante la campagna elettorale.Tutto dimenticato, missione compiuta; il trio più improbabile ha stupito il mondo. Ora le lacrime del gigante sembrano sincere. Dopo lo storico incontro di Singapore il segretario del presidente lo ha personalmente chiamato per dirgli che «Trump è davvero orgoglioso di te e ti ringrazia di cuore».
«The Hunting Wives» (Netflix)
Sophie O’Neill credeva di aver raggiunto lo status che più desiderava, quando, insieme al marito e al figlio, ha lasciato Chicago, la sua carriera, tanto invidiabile quanto fagocitante, per trasferirsi altrove: in un piccolo paesino del Texas, una bella casa nel mezzo di una comunità rurale, pacifica, placida. Credeva di aver scelto la libertà. Invece, quel nuovo inizio così atipico, lontano dai rumori della città, rivela ben presto altro, la noia, la ripetitività eterna dell'uguale. Sheila si scopre sola, triste, annoiata, di una noia che solo Margot Banks, socialite parte di una cricca segretamente conosciuta come le Mogli Cacciatrici, sa combattere. Sono i suoi rituali segreti, le feste, i ritrovi di queste donne a ridestare Sheila, restituendole la voglia di vivere che pensava aver lasciato nella ventosa Chicago. Sheila è rapita da Margot, e passa poco prima che la relazione delle due diventi qualcosa più di una semplice amicizia: un amore figlio della curiosità, della volontà di sperimentare quel che in gioventù s'è tenuto lontano. Il tutto, però, all'interno di una comunità che questo tipo di relazioni dovrebbe scongiurare. C'è il Texas repubblicano e conservatore, a far da sfondo alla serie televisiva, costruita - come il romanzo - a mezza via tra due generi. Da un lato, il dramma, l'intrigo amoroso. Dall'altro, il giallo, scoppiato nel momento in cui il corpo di un'adolescente viene trovato senza vita nell'esatto punto in cui sono solite ritrovarsi le Mogli Cacciatrici.
Allora, le strade narrative di Nido di vipere divergono. Sheila è colta nelle sue contraddizioni, specchio di una società di cui l'autrice e gli sceneggiatori cercano di cogliere l'ipocrisia. La critica sociale prosegue insieme al racconto privato di questa mamma di Chicago, coinvolta, parimenti, in un'indagine di polizia. Nega, Sheila, cerca di provare la propria innocenza. Ma il giallo fa il suo corso, e non è indimenticabile quel che è stato scritto: la storia di Sheila, il suo dramma di donna, colto tanto nell'esistenza individuale quanto in quella collettiva, non sono destinata a riscrivere le sorti della serialità televisiva. Eppure, qualcosa affascina in questa serie tv, passatempo decoroso per le vacanze imminenti.
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Ecco #DimmiLaVerità del 19 dicembre 2025. Ospite la vicecapogruppo di Fdi alla Camera Augusta Montaruli. L'argomento del giorno è: "Lo sgombero del centro sociale Askatasuna di Torino".