2022-05-31
Putin regge: si combatte fino all’ultimo ucraino?
Vladimir Putin (Getty images)
I primi fiaschi dell’Armata avevano galvanizzato Kiev e gli alleati. La situazione s’è ribaltata, tanto che lo zar ha rifiutato il colloquio con Volodymyr Zelensky. Ora sorge il dubbio: si potrà davvero combattere fino all’ultimo ucraino?Da quando è iniziata, la guerra in Ucraina ha stravolto tutte le previsioni. All’inizio in molti erano convinti che sarebbe durata poco, a causa della schiacciante superiorità dell’invasore. Gli esperti di cose militari erano certi che l’armata russa avrebbe spazzato via in pochi giorni quella ucraina. In realtà, pochissimi erano a conoscenza che l’esercito di Kiev da anni veniva preparato dagli addetti militari americani e che addirittura alcuni ufficiali erano stati addestrati in California all’uso di missili e sistemi di difesa. Dunque, da guerra lampo che doveva essere, sia nelle previsioni dell’Europa che nelle probabili aspettative di Mosca, l’«operazione militare speciale» - come la chiama con una buona dose di ipocrisia Vladimir Putin - si è trasformata in un conflitto di posizione, con le forze in campo a confrontarsi senza grandi avanzamenti né dall’una né dall’altra parte. La propaganda a reti unificate di Volodymyr Zelensky a un certo punto ha addirittura convinto l’Occidente che l’Ucraina era in grado di vincere e ricacciare le truppe russe da dove erano venute, riconquistando anche i territori occupati nel 2014. È probabile che, oltre a voler rincuorare i propri soldati, l’ex comico divenuto presidente si fosse fatto convincere anche dalle promesse americane ed europee, sia in fatto di armi che di efficacia delle sanzioni. A proposito di queste ultime, fin dall’inizio c’è stata una certa sopravvalutazione delle misure per isolare la Russia. Secondo alcuni, l’esclusione dalle transazioni finanziarie internazionali avrebbe messo in ginocchio l’economia di Mosca nel giro di poche settimane. Il blocco delle riserve detenute all’estero, l’embargo su alcuni prodotti, il sequestro dei beni degli oligarchi, avrebbe fatto il resto. Tanto da spingere gli Stati Uniti ad alcune incaute dichiarazioni. Lo strangolamento dell’economia russa e la minaccia per chiunque intrattenesse rapporti commerciali con gli invasori, secondo il capo del Pentagono Lloyd Austin avrebbero addirittura potuto portare a un golpe, con la destituzione di Putin, disinnescando ogni possibile minaccia da parte russa. A illudere molti che le cose sarebbero andate così sono stati alcuni rovesci al fronte subiti dall’armata rossa, che non solo non è riuscita a conquistare la capitale ucraina, come in principio sembrava possibile, ma addirittura è stata costretta a ripiegare. Una ritirata accompagnata da notizie non proprio positive nel mar d’Azov, dove gli ucraini sono riusciti ad affondare due navi della flotta di Mosca, e cercato di riprendere anche l’isola dei Serpenti, avamposto strategico per controllare i porti. Per non parlare poi dello stallo attorno all’acciaieria di Mariupol. Ma poi, quando la guerra sembrava aver preso una piega sfavorevole a Putin, le cose sono cambiate e la narrazione vincente di Zelensky ha cominciato a non coincidere più con la realtà.Infatti, lo stesso presidente ucraino è stato costretto ad ammettere le difficoltà nel Donbass, riconoscendo le ingenti perdite fra le sue truppe. A un certo punto è sembrato pronto a rinunciare ad alcune rivendicazioni, come per esempio quelle sulla Crimea, rimangiandosi poi la disponibilità forse a seguito delle pressioni dei falchi americani. Che le cose non stiano però girando per il verso giusto lo dimostra non solo la caduta di Severodonetsk, la principale città del Donbass, ma anche la rimozione del comandante incaricato di difendere Kharkiv, secondo centro del Paese dopo Kiev. Zelensky reclama nuove armi, più sofisticate e in grado di colpire a distanza, ma si capisce che dopo un momento in cui l’Ucraina sembrava passata al contrattacco, ora è costretta sulla difensiva, al punto che il presidente accusa l’Europa di non fare il proprio dovere. La Germania non avrebbe fornito le armi promesse, Bruxelles non si deciderebbe a usare la mano forte con le sanzioni, eccetera eccetera. Che il clima sia mutato lo dimostra anche l’annullamento della telefonata a tre che avrebbe dovuto svolgersi ieri, fra lo stesso Zelensky, Erdogan come mediatore, e Putin. Lo zar del Cremlino ha all’improvviso declinato l’invito a parlare, seppur in video conferenza, con il nemico, quasi non avesse alcuna fretta di sedersi al tavolo delle trattative. E qui si pone un problema, anzi: il problema. Ma se Mosca dopo aver conquistato il Donbass non avesse intenzione di fermarsi? Se volesse davvero riunire i territori presi con la Transnistria, impedendo ogni accesso al mare dell’Ucraina? Se le previsioni dell’America sull’efficacia delle sanzioni fossero sbagliate e Mosca riuscisse a tenere in piedi la propria economia nonostante l’embargo? Più passano i giorni e più queste domande diventano attuali, perché il bollettino di guerra che dava per prossima la disfatta dell’esercito russo a questo punto non sembra veritiero. Dunque, che si fa se la guerra continua? Le armi da sole non bastano e se l’Occidente vuole vincere, ma non sporcarsi le mani, rischia di avverarsi la fosca previsione dell’economista americano Jeffrey Sachs, il quale in un’intervista disse che l’America era pronta a combattere fino all’ultimo ucraino. Ma se gli ucraini si fossero stancati di combattere, e morire, per conto nostro? Anzi: per conto degli Stati Uniti? Dice lo storico americano Paul Kennedy, autore di Ascesa e declino delle superpotenze, che prima o poi con la Russia bisognerà parlare. Sì, ma quando? Cioè, dopo quante migliaia di morti? E soprattutto, per dire che cosa? Per invitare Putin a fermarsi dove è arrivato o per dirgli che siamo pronti a combatterlo? Ecco, prima o poi, sarà necessario che qualcuno esca dall’ambiguità.
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)