2021-02-14
Il braccio destro del commissario messo a gestire un affare miliardario
Il dirigente era il responsabile della maxi fornitura dalla Cina ma in azienda viene descritto come un mero esecutore di ordiniÈ considerato l’ombra del commissario straordinario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri. E insieme con lui risulta ancora indagato per corruzione nell’inchiesta sulla maxi fornitura di mascherine acquistate dalla Cina. Una commessa da 1,25 miliardi, su cui sta investigando alacremente la Procura di Roma. Il personaggio in questione è Antonio Fabbrocini, cinquantaduenne commercialista originario di Terzigno (Napoli), residente in provincia di Latina, moglie, due figli e un reddito da oltre 140.000 euro. Di lui si sa poco, anche perché non è un amante dei social. Per lui, come per Arcuri, la Procura ha fatto sapere di aver chiesto l’archiviazione dopo un’indagine lampo: l’iscrizione risale infatti al 9 novembre e il suo nome era stato stralciato dal fascicolo principale già a inizio dicembre. Da oltre due mesi Arcuri e Fabbrocini sono in attesa dell’archiviazione. Noi possiamo intuire il ruolo centrale del manager di Terzigno leggendo le carte dell’inchiesta depositate al Riesame. Per esempio sappiamo che era il responsabile unico del procedimento della maxi commessa cinese. In Invitalia è a capo dei servizi generali, ma non è considerato un personaggio centrale con un’autonomia decisionale tale da poter gestire un affare da 1,25 miliardi di euro. Dentro all’azienda, della quale dalle visure camerali risulta essere procuratore dal giugno 2017, viene descritto come un mero esecutore e che tutte le decisioni passano da Arcuri. «È stato messo a fare cose di cui non sapeva nulla» commenta comprensivo un collega. Eppure è diventato lui l’interlocutore della presunta cricca di mediatori che avrebbe fatto arrivare dalla Cina 801 milioni di mascherine di dubbia qualità. La carriera di Fabbrocini è da un decennio legata in modo indissolubile a quella dell’attuale commissario straordinario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri. Nel 2011 Fabbrocini, laureato in economia e commercio all’Università Federico II di Napoli, approda a Invitalia, proveniente, come riporta il suo curriculum sul sito aziendale, da Deloitte consulting Spa, dove era «Consulting risk leader». Nella controllata del Ministero dell’Economia di cui Arcuri è amministratore delegato dal 2007, Fabbrocini risulta essere un dirigente, assegnato direttamente, sempre secondo il suo curriculum, risalente al 2016, allo «Staff dell’amministratore delegato», senza alcun incarico precedente in quella azienda. L’1 aprile scorso, Fabbrocini approda un altro staff, quello della struttura commissariale Covid, il 1 aprile nominato con un’ordinanza di quello che è già il suo Ad, nel frattempo nominato il 18 marzo, commissario straordinario per l’emergenza covid dall’ex premier Giuseppe Conte. Nello staff, formato di concerto con la Protezione civile, Fabbrocini viene collocato all’interno del team che si occupa di «Acquisti, Contratti e Gestione Fornitori», affidato alla responsabilità di un altro dirigente Invitalia, Roberto Rizzardo. Fabbrocini per Arcuri era già l’uomo delle mascherine prima ancora della creazione dell’organigramma della struttura commissariale. Infatti è lui che nella prima Lettera di commessa del 25 marzo, inviata da Arcuri alla Wenzhou moon ray, comprare come Rup del procedimento. E a lui, alle 14:23 del 28 marzo scorso scrive, sulla sua casella di posta di Invitalia, il titolare della Sunsky Srl Andrea Tommasi, mediatore della maxi commessa. Il tono è confidenziale: «Antonio buongiorno, come promesso ti giro le BOZZE di proforma invoice per 60 milioni di Ffp2/kn95 e 20 milioni di Surgical mask, che ho appena rivisto con il Prof. Benotti. La prima è della Moo-ray (Moon- ray, ndr), la società che vi sta fornendo l’ordine attuale, l’altra della Wenzhou Light […] che è la capo commessa del consorzio a cui fa riferimento anche la Moo-ray». Dunque, Tommasi e Mario Benotti, sulla carta semplici mediatori che si interfacciavano con il commissario per conto dei cinesi e che per la Procura di Roma avrebbero commesso il reato di traffico di influenze, «rivedevano» le fatture delle società che rappresentavano e lo comunicavano per iscritto al responsabile unico del procedimento. Fabbrocini, secondo Tommasi, sarebbe stato anche il tramite con la struttura del commissario: «Mario Benotti mi ha messo in contatto con Fabbrocini. Arcuri credo che abbia chiamato Benotti». Il commissario invece di chiarire i rapporti tra l’ente emergenziale e la presunta cricca da settimane preferisce spedire o minacciare richieste di mediazione e cause. Benotti invece ha fatto chiedere dai suoi difensori un incidente probatorio per dimostrare che a coinvolgerlo nell’affare è stato l’ad di Invitalia e che quindi l’iniziale accusa di traffico illecito di influenze non sta in piedi. Noi non sappiamo chi abbia ragione, ma possiamo affermare con certezza che Benotti nei Palazzi del potere non è uno sconosciuto. Da giorni stiamo raccontando i suoi rapporti con il Vaticano e con il mondo politico. A partire dalle nomine a consigliere di ministri e sottosegretari. L’ultima carta che abbiamo trovato è il decreto firmato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Sandro Gozi il 29 ottobre 2014 che definiva il trattamento economico di Benotti per il suo incarico di segretario particolare e di coordinatore delle attività di comunicazione. Il decreto assegnava a Benotti, retroattivamente a decorrere dal 28 febbraio dello stesso anno, un compenso di 35.640 euro annui a cui bisogna aggiungere un’indennità di diretta collaborazione di 4.303 euro. L’accordo prevedeva anche il trattamento previdenziale, fiscale e assicurativo e il trattamento di fine rapporto. La curiosità è che con un decreto del giorno prima, datato 28 ottobre 2014, Gozi aveva stabilito che a partire dal 7 ottobre l’incarico sarebbe stato attribuito a titolo non oneroso.
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