2019-05-10
Il braccino salverà Berluschino dalla politica
Accaparratore seriale di aziende decotte da risanare, Urbano Cairo ha costruito una holding di prim'ordine su editoria, pubblicità, televisioni. Presidente del Torino calcio, gli manca soltanto il seggio per perfezionare l'identità con Silvio. Ma li divide la differente generosità.Dotato di una sana psicologia elementare, racchiusa nel motto «pago, pretendo», Urbano Cairo è l'imprenditore più in forma d'Italia. Da anni, non sbaglia una mossa. Senza voli pindarici ha costruito una holding di prim'ordine. Niente di innovativo: editoria, pubblicità, televisioni. Urbano ricalca modelli di successo. Riproduce magazine che altri editori hanno inventato e format tv collaudati. Ingaggia showmen creati dai concorrenti, Rai e Mediaset. Di suo, mette lo spirito aritmetico: i conti in ordine, la lesina, il passo lento del mandrogno prudente. Il sessantunenne Urbano è ciò che era la Gepi nella prima Repubblica: un accaparratore di aziende decotte per risanarle. Con la differenza che la Gepi non ci riuscì mai e Cairo ci riesce sempre. Ha un suo metodo di lavoro: «All'autista chiedo di seguirmi e mentre cammino la mia mente elabora. Se non cammino, non penso. Se non penso, non costruisco». Lo stimolo all'azione sono i soldi. Lo scoprì un giorno davanti al lavandino. «Mi stavo lavando le mani», ha raccontato, «ho guardato l'orologio e ho pensato: è passato un minuto. Ecco ho perso 1.000 euro». È chiamato Berluschino, per 2 ragioni. La prima è che ad addestrarlo fu il Cav, suo modello. Il giovanotto, alessandrino di campagna, appena laureato alla Bocconi, telefonò a Segrate, quartiere generale del Berlusca che muoveva i primi passi nelle tv e nella raccolta pubblicitaria. «Buongiorno», disse alla segretaria il neolaureato, «vorrei parlare col dottor Berlusconi. Ho 2 idee eccezionali che vorrei spiegargli. Se non mi permette di parlare con lui rischia davvero di fargli un danno». La segretaria capì al volo di trovarsi di fronte a uno snodo della Storia e procurò l'incontro al giovane intraprendente. Il Cav capì al volo pure lui e l'assunse come tuttofare, promuovendolo in breve segretario particolare e di lì a poco dirigente di Publitalia. Cairo fu un'idrovora della raccolta pubblicitaria e acquisì per Berlusconi Italia 1, a prezzo 0, dal vecchio Edilio Rusconi.licenziato da dell'utri L'idillio durò 14 anni e fu interrotto da Mani pulite. La Procura di Milano indagò Publitalia per fondi neri. L'ordine di Marcello Dell'Utri, il capo, era negare. Cairo contravvenne e patteggiò 19 mesi con la condizionale per falso in bilancio e appropriazione indebita. Dirà poi che non voleva perdere tempo in tribunale e che «gli pareva la cosa più giusta da fare pur non avendo fatto nulla». Per Dell'Utri, invece, fu un tradimento. Nel 1995, profittando dell'assenza di Berlusconi, ormai distratto a Roma con la politica, cacciò Cairo da Segrate che, di colpo, a 38 anni, finì in mezzo a una strada.il fiuto editoriale In questi casi, dipende dagli organismi. C'è chi ha un travaso di bile e chi, come il Nostro, mise in moto la ghiandola surrenale, sprigionando adrenalina. Da qui, la seconda ragione per cui è detto Berluschino. D'ora in avanti Cairo ricalcherà le orme del Cav, ripetendone le gesta. Subito mise in piedi una simil Publitalia, per drenare pubblicità. L'aziendina crebbe in fretta e divenne Cairo Communication, presto quotata in borsa. Fu poi la volta dell'editoria, con l'acquisto della zoppicante Giorgio Mondadori che stampava riviste eleganti e patinate. «Adesso ho anch'io la mia Mondadori», telefonò faceto a Silvio con cui era rimasto in buona. Si buttò poi in quello che gli piaceva di più: i settimanali da anticamera del dentista. Nacquero Di Più e Diva & Donna, affidati a 2 geni di quel canone letterario, Sandro Mayer e Silvana Giacobini, strappati alla concorrenza. Il trucco era mettere in vendita i settimanali, con magnifiche storie di regnanti e dive, a 50 centesimi, perfetto rapporto qualità-prezzo. Consolidate queste iniziative, Urbano -berlusconeggiando - si comprò il Torino che era in B e stava fallendo. In precedenza, era stato tentato da altre squadre zoppicanti. Arrivata però l'occasione del Torino, si riscoprì piemontese dichiarandosi torinista fin dalla culla. Risanò il club e lo riportò in A. Grati, i fan lo ribattezzarono Urbano I. Poi cominciò a cambiare allenatori come aveva fin lì cambiato mogli, raggiungendo quota 3 - le signore, Tove Hornelius, Anna Cataldi, Mali Pelandini - per un totale di 4 figli. Temendone l'incostanza, i tifosi tremarono. Cairo cominciò a stipulare con i mister ingaggi trimestrali, pensando di tenerli sulla corda e ottenere risultati. I torinisti, sulle furie, sostituirono l'Urbano I col soprannome Spilorcio, tappezzandone la città. Oggi, dopo 14 anni, la squadra ancora non decolla. Alcune settimane fa, durante la trasmissione tv, Tiki Taka, per una divergenza di opinioni sul calcio, ha aggredito il giornalista, Giuseppe Cruciani, all'urlo: «Capra, capra, capra». Segno che il Torino è il suo nervo scoperto.forbici in via solferino Proseguendo nell'ascesa, comprò nel 2013 La7 da Marco Tronchetti Provera. Era dissestata e la prese per un boccone di pane. In 8 mesi la risanò, sfrondando, cambiando fornitori, ritardando pagamenti. Ne ha rafforzato l'impronta sinistra pariolina dei Giovani Floris, Lilli Gruber & co. Aprì, intuendone il futuro, ai grillini dando spazio a Gianluigi Paragone, oggi parlamentare 5 stelle. figlio di terra mandrogna Nel 2016, Cairo compì il capolavoro: l'acquisto della quota di maggioranza del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport. Il gruppo, indebitatissimo con le banche, gli fu consegnato proprio da loro, come a un fiduciario. Gli ha giovato la fama di sparagnino e manager inflessibile. Virtù agli occhi di Giovanni Bazoli, il califfo di Intesa Sanpaolo, la più coinvolta nelle falle del Corsera. Oggi, 3 anni dopo la scalata, il ripiano dei debiti e le economie interne sono a buon punto. I mugugni redazionali non mancano perché stipendi e benefit sono in calo. Ma non sono neanche tempi per alzare la voce, tanto meno con Cairo. Urbano si picca di intendersi di giornalismo e mette spesso bocca con i suoi modi a dir poco ruspanti. È pur sempre, come dicono in Via Solferino, un virgulto di Abbazia, frazione di Masio, paesotto a un tiro di schioppo dal fiume Tanaro, provincia di Alessandria. Insomma, un figlio della terra. Tempo fa, non del tutto soddisfatto della direzione quasi decennale di Andrea Monti alla Gazzetta dello Sport, Cairo volle affiancargli Stefano Barigelli, quotato giornalista del Messaggero. Secondo i tam tam di corridoio, senza informare nessuno, chiamò Barigelli gli offrì la condirezione e si accordò in ogni particolare. Poi telefonò a Monti, all'oscuro di tutto, e gliela mise così. «Ho assunto Barigelli. O lo faccio direttore al posto tuo o lo accetti come vice». Monti piegò la testa per salvarla e si acconciò alla convivenza non richiesta.culto della personalità Corsera e Gazzetta, per tenersi buono Cairo, mettono ogni giorno in pagina una sua foto. Per Panorama sono centinaia negli ultimi mesi. Questo ha fatto pensare che Cairo voglia entrare in politica. Ma è solo adulazione dei suoi giornali. Si obietta che la politica è l'anello che gli manca per perfezionare l'identità col Cav. Ma allora, sfatiamo che Silvio e Urbano siano eguali. Mi limito a questo. Con Berlusconi, bonaccione esuberante, si sono arricchiti in tanti, compreso chi si è fatto un nome attaccandolo. Cairo, tipo tosto, si arricchisce solo lui, lasciando agli altri le briciole. Quanto basta, mi sembra, per escludere gemellaggi.
Jose Mourinho (Getty Images)