2021-12-28
Il bacio, infallibile segnale dell’amore giusto
Toscanini dopo il primo non perse più tempo a fumare, Verdone scoprì un mondo meraviglioso. Cracco lo ricorda come un evento mondiale, DiCaprio come la cosa più disgustosa di tutta la sua vita. Richard Gere fu messo alla pubblica gogna, Sandra Milo svenneLeggenda narra che, la notte della Natività, un fiocco di neve si posò sulla fronte di Gesù Bambino, Maria fece per scioglierlo con un bacio e il fiocco, miracolosamente, si trasformò in gelsomino. Tradizione vuole, che la notte di San Silvestro ci si baci sotto al vischio, simbolo dell’amore che sconfigge la morte, per ottenere la protezione della dea celtica Freya. Scriveva lo storico francese Jacques Le Goff che in origine il bacio serviva a trasmettere la forza vitale e un magico passaggio di poteri. Poi, come rituale del fidanzamento, segnò l’ingresso in una comunità familiare non naturale, come il matrimonio. Così gli antichi Romani per non sbagliare avevano diviso il bacio in tre categorie: «osculum» se era scambio di convenienza; «basium» con i parenti; «savium» come preliminare sessuale. I persiani ne fecero una questione di lignaggio: le persone dello stesso ceto sociale si salutavano tra loro con un bacio sulle labbra. A chi era inferiore veniva concesso solo il contatto con la guancia. Caligola invece, ai sudditi, preferiva porgere i piedi. Usanza che s’è protratta nei secoli e che, ricorda Adriano Bassi nella sua Storia del bacio (Odoya, 2009), non piacque affatto a François Rabelais, medico ordinario del cardinale Giovanni du Bellay, per questo ammesso alla presenza di papa Paolo III: «Quando vide il proprio paziente baciare il piede del pontefice se la diede a gambe levate. A richiesta spiegò: «Ma se voi, che siete mio signore padrone, avete baciato il piede del Pontefice, io che sono l’umilissimo vostro servitore, cosa devo baciargli?»».«Ma poi c’è un bacio?». Se per il Cyrano di Edmond Rostand è «un modo di respirarsi il cuore e di scambiarsi sulle labbra il sapore dell’anima», dal punto di vista chimico altro non è che una composizione di acqua, cloruro di sodio, mucosità e fermenti digestivi. E se per Guy de Maupassant il bacio «è immortale, viaggia da un labbro all’altro, da secolo a secolo, di età in età. Uomini e donne raccolgono questi baci li offrono agli altri e poi muoiono a loro volta», per la biologia libera endorfine, stimola ossitocina, riduce il colesterolo e previene le rughe e addirittura le carie. In pratica con un bacio si allevia il dolore di un’emicrania o di un mal di schiena, si è più rilassati, più sani, più giovani. Con un bacio poi ci si scambiano 80 milioni di batteri, cosa che, se non ci fosse il Covid, rafforzerebbe il sistema immunitario. Tuttavia, sempre stando agli scienziati, il bacio è in grado di farci capire se il partner è quello giusto. Le papille della lingua raccolgono tutte le informazioni genetiche necessarie al cervello per verificare la compatibilità. Se la persona è quella giusta, il cervello stimolerà la produzione di dopamine e ossitocine che rinsaldano il legame. Se il partner è sbagliato, a essere stimolato sarà il cortisolo, l’ormone dello stress che istiga all’allontanamento. Secondo l’antropologo Desmond Morris il bacio risale agli ominidi preistorici soliti condividere il cibo con i più piccola bocca a bocca. Le femmine premasticavano il cibo, poi premevano le loro labbra su quelle dei figli e li imboccavano aiutandosi con la lingua. Anche secondo Sigmund Freud attraverso il bacio si recupera il soddisfacimento dell’oralità dell’infanzia, un potere saziante per l’anima. Altri studi, come quello degli antropologi dell’Università texana di College Station, sostengono però che il bacio non sia manifestazione innata nella specie umana ma solo un’abitudine della civiltà occidentale. Gli Ainu del Giappone preferiscono mordicchiarsi, gli abitanti di Formosa strofinarsi le punte dei nasi e annusarsi. In India il bacio viene considerato un atto osceno tant’è che Richard Gere, che osò baciare l’attrice indiana Shilpa Shetty durante un festival a Bombay, fu messo alla pubblica gogna. I vietnamiti e alcune tribù africane poi, non lo conoscono affatto, così come gli abitanti delle isole Cook. L’antropologo Donald Marshall calcolò che questi ultimi avevano una media di mille orgasmi a testa l’anno, 21 a settimana, senza scambiarsi un solo bacio.L’espressione french kiss fu coniata dai soldati britannici dopo la prima guerra mondiale per definire le profonde effusioni dei vicini d’Oltremanica. Tuttavia sul finire del Seicento fu un francese, lo scrittore Abbé du Prat, a identificare per primo questo bacio come baiser à la florentine ovvero bacio alla fiorentina, termine usato ancora oggi dei tedeschi. Però nel 1866, un altro francese, Alfred Delvau, nel suo Dizionario della lingua erotica li distinse: se nel primo l’uso della lingua è essenziale, nel secondo il gesto di amore si concretizzerebbe con uno sfioramento ripetuto fra le labbra dei due amanti. Niente a che vedere però con i baci alla russa tanto amati da Leonid Breznev e compagni. Lui era solito accogliere i leader di tutti i paesi imprimendo le sue labbra prima sulla guancia sinistra, poi su quella destra e infine, serrandole, sulle labbra dell’ospite. È riuscito a stampare baci in bocca al leader palestinese Yasser Arafat, al presidente Usa Jimmy Carter, al dittatore jugoslavo Tito. Ma il suo bacio più famoso resterà quello al leader della Germania dell’Est Erich Honecker nel 1979, che fu anche ritratto sul muro di Berlino dall’artista Dmitri Vrubel (sulla scia di Vrubel sono comparsi poi il bacio tra Vladimir Putin e Donald Trump a Vilnius in Lituania e il bacio tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio a Roma). L’unico che riuscì a scampare al bacio di Breznev fu Fidel Castro: scese dall’aereo con il sigaro in bocca. Fumò la sua prima sigaretta lo stesso giorno in cui diede il suo primo bacio Arturo Toscanini e, da allora, «credete, non ho più perso tempo con il tabacco». In effetti gli italiani sono, o meglio erano, grandi baciatori. Stando a un sondaggio antecovid si baciavano 7 volte al giorno. Assieme ai francesi, avevano la media più alta d’Europa. Poi è arrivata la pandemia e l’effusione s’è trasformata in infezione. In Baciarsi, spiegano Elisabetta Moro e Marino Niola: «Senza labbra che si sfiorano, la comunità si disincarna e diventa pura astrazione». Così, in attesa del ritorno alla normalità, non resta che ricordare com’era bello baciarsi. Carlo Cracco diede il suo a 14 anni e nella sua mente è ancora oggi «un avvenimento mondiale», stessa sensazione per Carlo Verdone che scoprì «tutto un mondo meraviglioso». Per rubare un bacio alla sua Nicola, Pupi Avati dovette ricorrere a una piccola bugia: «Mancavano cinque minuti a mezzanotte. Le ho detto che quel giorno era il mio compleanno e che nessuno mi aveva dato ancora un bacio. Lo fece lei e tutto iniziò». Meno bene andò a Claudio Baglioni: «Io non sapevo come si baciava e lei ha tenuto i denti stretti tutto il tempo. Ho pensato: “Se questo è un bacio, allora non me ne frega niente”». L’ultimo posto in classifica spetta a Leonardo DiCaprio: «Fu la cosa più disgustosa di tutta la mia vita. Lei riuscì a inondarmi di saliva e io dovetti fuggire a gambe levate per non soffocare». Imbarazzante anche il primo bacio di Anjelica Huston che, sedicenne, lo dovette dare sul set di Sinful Davey, diretta dal suo papà: «Un’esperienza agghiacciante. Di solito già non vuoi che tuo padre assista al tuo primo bacio, figuriamoci che lo riprenda in un film». Anche il primo bacio di Silvana Pampanini fu su un set, era Il Segreto di Don Giovanni, e la giovane Silvana doveva baciare il cantante Gino Becchi. Al terzo «stop» il regista, Camillo Matrocinque, resosi conto che non aveva mai baciato, la portò dietro un paravento, con su una Madonnina e le spiegò come fare: «Poi mi ha spiegato: “Se qualcuno ci marcia, tu stringi i denti, adesso però ti prepari da sola”. Guardavo la Madonnina e le chiedevo aiuto, e facevo la prova sul dorso della mano. Così alla fine ero bella preparata: sono andata sul set, e al momento giusto con la mano ho afferrato lui alla nuca e l’ho baciato. Quello è rimasto rimbambito». Memorabile il primo bacio tra Liz Taylor e Richard Burton che si diedero sul set di Cleopatra, «un bacio di scena che non finiva mai», raccontarono i presenti. Anche Gian Maria Volonté e Carla Gravina si innamorarono con un bacio, quello che nei panni di Romeo diede alla sua Giulietta su un palco di Verona: «Alle prove lui doveva prendermi la mano, guardarmi negli occhi. Io mi sentivo rimestare dentro, lui diventava tutto rosso. Finché ci siamo baciati. È stato un precipizio d’amore, un anno dopo è nata Giovanna». Non resisté all’emozione Sandra Milo che, al primo bacio che le diede Federico Fellini, svenne. Se aveva ragione Maupassant quando diceva che è «il modo più sicuro di tacere dicendo tutto», torneremo a stare zitti?
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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Lo ha detto il vicepresidente esecutivo della Commissione europea per la Coesione e le Riforme Raffaele Fitto, a margine della conferenza stampa sul Transport Package, riguardo al piano di rinnovamento dei collegamenti ad alta velocità nell'Unione Europea.