2021-04-12
Giovanni Toti: «Il 3 maggio deve diventare la festa del ritorno al lavoro»
Il presidente della Liguria: «Il governo stili subito un calendario per ripartire con regole certe sulle vaccinazioni. A guidare le riaperture dev’essere il premier, non Speranza»«Subito dopo la festa del lavoro, sarebbe bello poter festeggiare, il 3 di maggio, la festa del ritorno al lavoro, il ritorno a una vita libera». Giovanni Toti, presidente della regione Liguria, dunque a maggio vede i presupposti per celebrare la vera riapertura del Paese?«Sì, però va programmata per tempo. Riaprire un Paese non è una cosa che si può fare dalla sera alla mattina: pensiamo agli alberghi che devono assumere il personale, alle agenzie di viaggio, alle compagnie aeree, pensiamo ai grandi eventi, al salone della nautica di Genova o a quello del mobile di Milano. Basti pensare che in Germania stanno già organizzando le fiere per ottobre. E noi?».Dunque? «Dunque dobbiamo assolutamente stilare un calendario con date certe. E poi riaprire servirà anche ad uscire, finalmente, dalla logica dannosa dei ristori». Cioè?«Abbiamo già indebitato il Paese oltre ogni limite. Dobbiamo metterci in testa una volta per tutte che nessun sostegno sarà mai sufficiente per un ristorante che non lavora da un anno o per un bar che paga 10.000 euro d’affitto al mese. L’unico ristoro vero è tornare a lavorare». Perché il concetto non passa? «Non vorrei che con il pretesto del Covid si passasse dall’Italia fondata sul lavoro all’Italia fondata sul sussidio». Il virus del Covid apre la strada al virus statalista? «L’idea del ristoro perpetuo si fonda su un’ideologia contraria all’impresa. Questo peraltro accade in un Paese già spaccato in due: da una parte chi accumula risparmi senza subire danni, dall’altra quelli che rischiano in prima persona, che qualcuno vorrebbe trasformare in sussidiati a zero diritti». Sarà difficile fissare una data per la ripartenza, senza il disco verde del Comitato tecnico scientifico…«Capisco l’ortodossia del Covid, in parte condivisibile: non abbiamo la certezza di essere salvi finché i numeri non lo certificano al cento per cento. Ma in economia, come nella vita, qualche previsione, qualche scelta coraggiosa bisogna pur farla. Poi, se sbaglieremo, anziché tornare ai ristori, che ormai hanno fatto il loro tempo, potremmo magari organizzare un sistema di garanzie».Garanzie?«Faccio un esempio: se una persona prenota il matrimonio a Portofino per il prossimo luglio, e il virus lo fa saltare, potremmo fornire un’assicurazione all’azienda che lo ha organizzato, perché possa restituire la caparra al cliente. Mi pare più ragionevole una soluzione del genere, piuttosto che sbarrare tutto e basta». Alcuni albergatori liguri avrebbero ricevuto offerte al ribasso da parte di grandi gruppi stranieri per cedere le proprie strutture. Se il turismo non riparte, l’Italia rischia di diventare una preda?«Sicuro, se non forniremo una prospettiva valida. Come tutti i mercati in pressione, rischiamo lo shopping dei grandi gruppi finanziari. È un male antico quello della sottocapitalizzazione delle imprese italiane di piccole dimensioni: da un lato fa parte della nostra identità unica, ma rispetto a Paesi che hanno strutture più solide siamo più fragili. Eppure sono ottimista». Ottimista? «I segnali sul turismo sono incoraggianti. La Liguria ripartirà bene, solo su Genova ci sono in cantiere cinque operazioni immobiliari gigantesche, tra pubblico e privato. C’è voglia di scommettere, e la storia ci insegna che dopo le grandi calamità arriva sempre il boom. Ma la voglia di ripartire bisogna saperla assecondare». Intanto da oggi l’Italia si tinge di arancione. «Quando i numeri mi hanno costretto, anche io ho dovuto chiudere, come a Sanremo durante il Festival, o come nelle province di Savona e Imperia. Adesso, d’accordo con i sindaci, abbiamo riaperto quelle zone, perché i numeri stanno migliorando. Con le chiusure mirate in Liguria abbiamo gestito la terza ondata con meno dolore degli altri, senza necessariamente sbarrare ovunque». Draghi ce l’ha con voi governatori quando in conferenza stampa impone di vaccinare gli over 80? «Io l’ho sempre fatto, attirandomi anche qualche critica da parte di alcune categorie. Per il resto, mi auguro che Draghi sappia che il piano vaccinale, quello che prevedeva la priorità anche per insegnanti e altre categorie, era stato firmato dall’attuale ministro della salute il 7 di febbraio, ai tempi di Conte. Poi è stato ripreso dal piano del governo Draghi, e comunque sempre avallato dal Parlamento».Quindi il premier ha sbagliato bersaglio?«Doveva prendersela con chi ha scritto le regole. Quando si dice che il coordinamento della pandemia spetta al governo nazionale, io sono completamente d’accordo. Il governo la prerogativa ce l’ha: però la deve esercitare. Adesso l’ultima ordinanza firmata dal generale Figliuolo mette finalmente ordine». È pur vero che in alcune regioni la faccenda delle precedenze vaccinali è stata gestita con una certa disinvoltura…«Che qualche regione possa avere esercitato un quid di fantasia in più è possibile. Ma lo ha potuto fare perché il piano nazionale lo prevedeva. E perché le regole erano talmente vaghe da lasciare ampio spazio di interpretazione». Sia Bonaccini che Zaia dicono che le scorte di vaccino stanno terminando. Le forniture sono in ritardo. Anche lei teme uno stop?«Governo e regioni non possono scontrarsi su questo come i manzoniani polli di Renzo. La verità è che sull’unico vaccino “made in Europe” ci troviamo di fronte al gigantesco fallimento della tecnocrazia europea e dell’agenzia di regolazione». Dunque non ci sono responsabilità della politica sulle forniture di fiale? «Non punto il dito contro nessuno, anche perché ricordiamoci da dove siamo partiti: dovevano esserci mirabolanti padiglioni a forma di primula. Poi abbiamo scoperto che non c’erano né padiglioni, né il personale né il vaccino stesso. Se non altro adesso stiamo procedendo nella direzione giusta». In Liguria quanto dureranno le scorte?«A questo ritmo la settimana prossima arriveremo al 92% del somministrato sul consegnato. Andare oltre questa soglia vuol dire rischiare grosso. A meno che non si facciano scelte politiche diverse». Si riferisce all’idea di allungare i tempi tra la prima e la seconda dose di Pfizer e di Moderna? «Anche su questo però servono indicazioni precise. Se il governo ha il compito di coordinare la pandemia non può limitarsi a fare ipotesi su temi così delicati. Occorrono regole certe». La Liguria ha un buon piazzamento sulla percentuale di vaccinati. Mentre sugli over 80 con almeno una dose siamo al 57,9%. Si poteva fare di più? «Dopo un primo momento di confusione, i dati dicono che nell’ultima settimana siamo la regione che ha accelerato di più nella campagna vaccinale. Questo ci conforta. Per fare ancora meglio, probabilmente potevamo puntare da subito sui grandi hub centralizzati, anziché portare il vaccino sul territorio più vicino possibile alle famiglie». Il premier rinnova la stima al ministro Speranza. Lei? «Su molte cose io e il ministro non siamo d’accordo, ma quando l’ho cercato non si è mai sottratto al confronto. Detto questo, dal governo Draghi ci si aspettava un cambiamento sulle politiche sanitarie che non c’è stato. L’impianto è quello del precedente governo». Però aprile è un mese decisivo per l’esecutivo. L’eredità del Conte bis ormai fa parte del passato, e il governo verrà giudicato sulla base dei primi risultati concreti. Si rischia di passare dalla luna di miele con il Paese direttamente al divorzio?«Gli italiani sono esasperati. Per questo mi aspetto che sia la presidenza del Consiglio a guidare le riaperture, e non il ministero della Salute. Tenendo presente che se metteremo in sicurezza da qui a maggio i cittadini con più di 70 anni avremo il 70% in meno di terapie intensive occupate, e l’80% in meno di morti. E quando l’emergenza sarà disinnescata, non potremo che resuscitare le libertà supreme: movimento, impresa, manifestazione. Detto questo, ricordo a tutti che in Italia vige il diritto alla salute, non certo il dovere alla salute». In altre parole?«Il diritto alla salute significa che se sono malato, lo Stato mi assicura cure appropriate in un ospedale che abbia posti liberi. Il dovere alla salute significa costringermi a dimagrire dieci chili camminando dieci ore al giorno». Chiaro: e in termini pandemici? «Una volta che riusciremo a liberare gli ospedali, garantendo a ogni cittadino l’accesso al vaccino, è giusto che un trentenne abbia il diritto di fare l’aperitivo con lo spritz in piazza, anche rischiando il contagio. È un diritto che nessuno può togliergli». Altrimenti?«Sarebbe un golpe».
Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (Getty Images)
Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Ursula von der Leyen (Ansa)