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2020-03-31
Il 118 toscano denuncia il governatore Rossi
Enrico Rossi (Ansa)
L'emergenza Coronavirus inizia a scatenare denunce. La prima è stata depositata ieri alla Procura della Repubblica a Firenze. Chiede di accertare se sussistano gli estremi di una serie di gravi reati: istigazione a delinquere, lesioni colpose gravi, epidemia colposa, omissioni d'atti di ufficio. Tutti insieme, comportano pene tra uno e 12 anni di reclusione. Ad averli commessi sarebbero stati il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, il suo assessore alla Sanità, Stefania Saccardi, e il direttore del Dipartimento regionale per le maxi-urgenze, Piero Paolini. Una delle accuse non è nuova, in tempi di Covid-19, ed è quella di aver dotato di mascherine del tutto inadeguate i medici in prima linea contro il virus, a partire da quelli del 118. Ma c'è altro: la Regione Toscana, nelle procedure per il trattamento dei malati, avrebbe stabilito regole inaccettabili, deontologicamente scorrette.
Autori dell'esposto sono lo Snami, Sindacato nazionale autonomo dei medici, la Fismu, Federazione sindacale dei medici uniti, e il Cobas della Asl Toscana Centro, che rappresentano i sanitari dell'emergenza 118, quelli che operano sulle ambulanze. Nelle ultime settimane, la Regione li ha dotati di mascherine chirurgiche prodotte da imprese locali che un esame del laboratorio del Dipartimento di chimica dell'Università di Firenze ha ritenuto «soddisfacenti». Le organizzazioni sindacali, però, hanno fatto analizzare le protezioni da uno dei massimi esperti in materia: Alice Ravizza, del Politecnico di Torino. Secondo la sua perizia, scritta il 20 marzo, le mascherine «non possono essere definite “utilizzabili come dispositivi medici" secondo i contenuti della Circolare del ministero della Salute del 13 marzo», quella con le regole per i presidi medici nell'emergenza epidemiologica da Covid-19. L'ingegner Ravizza sostiene anche che il test dell'Università di Firenze «non appare fornire garanzie sulle principali caratteristiche tecniche delle mascherine», in quanto non ne valuta «né la filtrazione batterica, né la traspirabilità, né l'indossabilità o la sigillatura al viso».
Giovanni Belcari, vice responsabile nazionale 118 dello Snami, aggiunge che, dopo aver ottenuto il preoccupante responso, alla Regione sono stati dati due giorni per adeguarsi: «Abbiamo chiesto loro di cercare altri fornitori e mascherine più valide», dice il medico alla Verità. «Non ci hanno nemmeno risposto». In Toscana Fismu, Snami e Cobas osservano che l'ondata del coronavirus sta crescendo velocemente. «Siamo già con l'acqua alla gola», dice Belcari. Ieri sera i contagiati ufficiali nella Regione sono saliti a 4.050, i ricoverati a 1.116 e quelli in terapia intensiva a 279. «Ma se noi medici e infermieri del 118 dobbiamo intervenire su pazienti di Covid-19 con mascherine inadeguate», protesta, «non solo non ci proteggiamo dal contagio, e quindi molti di noi si ammalano, ma soprattutto rischiamo di esserne veicoli inconsapevoli». Quanti siano i sanitari contagiati in Toscana, oggi, non lo sa nessuno.
Il problema generale non è solo toscano: il 25 marzo il ministro della Salute Roberto Speranza ha diramato dopo un vertice con i sindacati l'ultimo aggiornamento delle «Linee d'indirizzo dei servizi ospedalieri», dove si prevede che «tutti gli operatori sanitari siano sottoposto al tampone rinofaringeo». Direttiva fin qui sospesa in un limbo di buon senso: i medici sanno benissimo di avere prevedibilmente molti casi di positivi asintomatici, e togliere dalle corsie tutti i positivi vorrebbe dire svuotare - se non chiudere, come qualche direttore generale lombardo si è visto costretto a minacciare - addirittura i reparti. Una situazione al limite, che rischia ora di trasformarsi in un fiume di denunce. Lo stesso potrebbe accadere per il continuo trasferimento alle terapie intensive di sanitari appartenenti ad altre specialità: questi ultimi chiedono ordini di servizio scritti, che però per contratto non possono essere diramati. Anche qui, che il tutto finisca a carte bollate non è un'opzione impossibile.
In Toscana, però, Fismu, Snami e Cobas hanno deciso di denunciare la Regione anche per un altro aspetto, che dal punto di vista dei medici è il più grave. Tra il 13 e il 20 marzo, il Coordinamento regionale delle maxiemergenze ha stabilito e confermato regole draconiane per gli equipaggi delle ambulanze alle prese con pazienti anche solo sospetti di Covid-19. Vi si legge: «Dovrà essere, per quanto possibile, limitato l'utilizzo di aerosol terapia e C-pap (le maschere da applicare al volto dei malati, ndr)». Belcari è indignato: «Queste sono le tipiche misure salvavita», protesta, «io non posso negarle a un paziente. La Regione mi dice: se sei in situazione a rischio, stai fermo. Ma se il viaggio in ambulanza dura mezz'ora, il malato di Covid-19 muore». Il medico scuote la testa: «Sono norme inaccettabili, deontologicamente scorrette». Anche in questo caso, il 18 marzo Snami, Fismu e Cobas hanno chiesto alla Toscana di modificare le regole. Per questo se ieri le tre associazioni, «di fronte al silenzio assordante di tutte le autorità», sono passate alla denuncia. A scriverla è stato Corrado Canafoglia, avvocato dell'Unione nazionale consumatori ed esperto di diritti civili. Alla Verità dichiara: «La direttiva sull'ossigeno, in particolare, a me pare inaccettabile».
Francesco Esposito, medico a Catanzaro e segretario generale della Fismu, nega che si stia pensando a esposti contro altre Regioni: «Dove c'è clima di collaborazione», dice alla Verità, «ci asteniamo da iniziative. Serve responsabilità e noi facciamo la nostra parte. Dove troviamo controparti arroganti, agiamo. È accaduto con due Asl della Sicilia e per questa fuga in avanti della Toscana».
Associazioni a caccia di malati online per trascinare alla sbarra i medici
Quando gli eroi in camice bianco finiranno in tribunale allora sarà finita l'emergenza coronavirus. Appena scoperto il paziente uno i medici e gli infermieri si sono ritrovati in prima fila per combattere quasi a mani nude il Covid-19 e i cittadini si sono affacciati alle finestre per applaudire quegli stessi professionisti che prima meritavano insulti e botte. La legge antiviolenza dedicata agli operatori sanitari sembrava un ricordo, una cosa quasi inutile di fronte all'abnegazione degli angeli delle corsie.
Oggi, con oltre 60 medici uccisi dal virus e dopo 40 giorni di emergenza, sono finiti gli applausi e le lacrime lasciano il posto alla rabbia. Le domande sono inevitabili: il mio familiare è entrato per tempo in terapia intensiva? È stato intubato? E chi è rimasto a casa, curato dai medici di famiglia, perché non ha avuto una bombola d'ossigeno? Perché non gli hanno fatto un tampone? Perché non è stato ricoverato?
E così sono partite le prime denunce contro i medici. All'ospedale di Trieste, per esempio, nel reparto di medicina, un paziente ha denunciato l'intero nosocomio per aver contratto il virus durante il ricovero. Un caso isolato? Sicuramente no visto che ad aiutare pazienti e familiari, segregati in quarantena ci pensano studi legali «specializzati» che pubblicizzano sui social la loro attività. Fa così il gruppo Risarcimento e Consulenza che nel suo post scrive: «Le infezioni ospedaliere rientrano tra le complicanze più frequenti in ambito sanitario. Chi ne è vittima potrebbe aver diritto a un risarcimento. Contattaci per una consulenza gratuita, i nostri professionisti valuteranno se ci sono i presupposti per avviare una causa legale anche da parte dei familiari della vittima». Segue numero di telefono, mail, e cinque hashtag: #infezionesanitaria; #risarcimentoeconsulenza; #malattieprofessionali; #medicinalegale; #coronavirus. Per poi stupirsi delle critiche e rispondere: «Ci dispiace che il nostro intento sia stato frainteso, in quanto la nostra azione è dedicata esclusivamente alla tutela di quella classe di lavoratori che sta pagando sulla propria pelle il prezzo più alto di questa tragedia».
Filippo Anelli, presidente di Fnomceo, ha scritto al Consiglio nazionale forense per segnalare il diffondersi di queste comunicazioni pubblicitarie di studi di avvocati mentre Alberto Oliveti, presidente dell'Enpam, la cassa previdenziale dei medici, presenterà «un esposto urgente all'Autorità garante della concorrenza per pubblicità scorretta contro organizzazioni che intendono speculare sulla pelle dei malati e contro la categoria dei sanitari».
Offerte di consulenza mentre gli anestesisti della Siaarti, come scrive il prof Ivan Cavicchi, «sono a forte rischio contenzioso visto che si affidano al limite di età per i ricoveri», e i medici di famiglia, che senza protezione e bombole d'ossigeno sentono i propri pazienti al telefono. Come dice il loro presidente Silvestro Scotti: «Cosa andiamo a fare dai pazienti? Per vederli morire e infettarci anche noi?».
«Da eroi a denunciati il passo è breve» dice il cardiologo monzese Stefano Carugo: «Vediamo il pericolo di conseguenze isteriche e di una guerra legale, fioccheranno denunce, temo. La mia idea, oltre ai balconi che vanno bene, è che si preveda per gli operatori sanitari in situazione di guerra una sorta di amnistia». Intanto la Fiaso, Federazione di Asl e ospedali, dice: «No a sanzioni penali a medici e manager sanitari che agiscono nell'emergenza», mentre I chirurghi italiani scrivono a Giuseppe Conte e Roberto Speranza: «Intervenire immediatamente sul tema della responsabilità civile e penale dei medici».
Questa prassi è condannata senza se e senza ma da Antonio Chiàntera, presidente Sig (Società italiana di ginecologia e ostetricia): «Una condotta inaccettabile, quella di alcuni studi legali che continuano a pubblicizzare in maniera deplorevole le azioni legali nei confronti di medici e personale sanitario, promuovendo il versamento dei compensi solo in caso di effettivo risarcimento». Amareggiato anche Luciano Cifaldi, oncologo e segretario generale Cisl medici del Lazio: «Sono partite le prime denunce contro noi medici, siamo consapevoli che finiremo presto vittime di paradossali ripercussioni giudiziarie e poco ci manca che passeremo per sodali e complici del virus». Nel frattempo, sottolinea il sindacalista, oltre all'aumento delle tariffe assicurative per il rischio professionale proliferano le «sedicenti associazioni di benefattori» che si offrono di far ottenere i risarcimenti.
Censura dei «sedicenti studi legali» dall'Ordine degli avvocati di Napoli che definisce tali «campagne pubblicitarie inappropriate e denigratorie della serietà, correttezza e dello spirito solidale e umanitario della classe forense» e propone un emendamento alla legge 8 marzo 2017 che prevede la responsabilità dei sanitari limitandola «alle sole condotte dolose» per tutta la durata dello stato di emergenza.
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Esposto in Procura degli operatori delle ambulanze per le condizioni in cui operano: «Non c'è sicurezza né per noi né per i malati». Tensione negli ospedali: il ministero prevede tamponi per i medici, ma se si fermano gli asintomatici si rischia la chiusura dei reparti.Sono già arrivate le prime denunce e c'è chi, come Risarcimento e consulenza, offre consulti gratis per le cause I dottori: «È una speculazione». L'Ordine degli avvocati di Napoli sta con loro: «I processi siano solo per dolo».Lo speciale contiene due articoliL'emergenza Coronavirus inizia a scatenare denunce. La prima è stata depositata ieri alla Procura della Repubblica a Firenze. Chiede di accertare se sussistano gli estremi di una serie di gravi reati: istigazione a delinquere, lesioni colpose gravi, epidemia colposa, omissioni d'atti di ufficio. Tutti insieme, comportano pene tra uno e 12 anni di reclusione. Ad averli commessi sarebbero stati il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, il suo assessore alla Sanità, Stefania Saccardi, e il direttore del Dipartimento regionale per le maxi-urgenze, Piero Paolini. Una delle accuse non è nuova, in tempi di Covid-19, ed è quella di aver dotato di mascherine del tutto inadeguate i medici in prima linea contro il virus, a partire da quelli del 118. Ma c'è altro: la Regione Toscana, nelle procedure per il trattamento dei malati, avrebbe stabilito regole inaccettabili, deontologicamente scorrette.Autori dell'esposto sono lo Snami, Sindacato nazionale autonomo dei medici, la Fismu, Federazione sindacale dei medici uniti, e il Cobas della Asl Toscana Centro, che rappresentano i sanitari dell'emergenza 118, quelli che operano sulle ambulanze. Nelle ultime settimane, la Regione li ha dotati di mascherine chirurgiche prodotte da imprese locali che un esame del laboratorio del Dipartimento di chimica dell'Università di Firenze ha ritenuto «soddisfacenti». Le organizzazioni sindacali, però, hanno fatto analizzare le protezioni da uno dei massimi esperti in materia: Alice Ravizza, del Politecnico di Torino. Secondo la sua perizia, scritta il 20 marzo, le mascherine «non possono essere definite “utilizzabili come dispositivi medici" secondo i contenuti della Circolare del ministero della Salute del 13 marzo», quella con le regole per i presidi medici nell'emergenza epidemiologica da Covid-19. L'ingegner Ravizza sostiene anche che il test dell'Università di Firenze «non appare fornire garanzie sulle principali caratteristiche tecniche delle mascherine», in quanto non ne valuta «né la filtrazione batterica, né la traspirabilità, né l'indossabilità o la sigillatura al viso».Giovanni Belcari, vice responsabile nazionale 118 dello Snami, aggiunge che, dopo aver ottenuto il preoccupante responso, alla Regione sono stati dati due giorni per adeguarsi: «Abbiamo chiesto loro di cercare altri fornitori e mascherine più valide», dice il medico alla Verità. «Non ci hanno nemmeno risposto». In Toscana Fismu, Snami e Cobas osservano che l'ondata del coronavirus sta crescendo velocemente. «Siamo già con l'acqua alla gola», dice Belcari. Ieri sera i contagiati ufficiali nella Regione sono saliti a 4.050, i ricoverati a 1.116 e quelli in terapia intensiva a 279. «Ma se noi medici e infermieri del 118 dobbiamo intervenire su pazienti di Covid-19 con mascherine inadeguate», protesta, «non solo non ci proteggiamo dal contagio, e quindi molti di noi si ammalano, ma soprattutto rischiamo di esserne veicoli inconsapevoli». Quanti siano i sanitari contagiati in Toscana, oggi, non lo sa nessuno. Il problema generale non è solo toscano: il 25 marzo il ministro della Salute Roberto Speranza ha diramato dopo un vertice con i sindacati l'ultimo aggiornamento delle «Linee d'indirizzo dei servizi ospedalieri», dove si prevede che «tutti gli operatori sanitari siano sottoposto al tampone rinofaringeo». Direttiva fin qui sospesa in un limbo di buon senso: i medici sanno benissimo di avere prevedibilmente molti casi di positivi asintomatici, e togliere dalle corsie tutti i positivi vorrebbe dire svuotare - se non chiudere, come qualche direttore generale lombardo si è visto costretto a minacciare - addirittura i reparti. Una situazione al limite, che rischia ora di trasformarsi in un fiume di denunce. Lo stesso potrebbe accadere per il continuo trasferimento alle terapie intensive di sanitari appartenenti ad altre specialità: questi ultimi chiedono ordini di servizio scritti, che però per contratto non possono essere diramati. Anche qui, che il tutto finisca a carte bollate non è un'opzione impossibile.In Toscana, però, Fismu, Snami e Cobas hanno deciso di denunciare la Regione anche per un altro aspetto, che dal punto di vista dei medici è il più grave. Tra il 13 e il 20 marzo, il Coordinamento regionale delle maxiemergenze ha stabilito e confermato regole draconiane per gli equipaggi delle ambulanze alle prese con pazienti anche solo sospetti di Covid-19. Vi si legge: «Dovrà essere, per quanto possibile, limitato l'utilizzo di aerosol terapia e C-pap (le maschere da applicare al volto dei malati, ndr)». Belcari è indignato: «Queste sono le tipiche misure salvavita», protesta, «io non posso negarle a un paziente. La Regione mi dice: se sei in situazione a rischio, stai fermo. Ma se il viaggio in ambulanza dura mezz'ora, il malato di Covid-19 muore». Il medico scuote la testa: «Sono norme inaccettabili, deontologicamente scorrette». Anche in questo caso, il 18 marzo Snami, Fismu e Cobas hanno chiesto alla Toscana di modificare le regole. Per questo se ieri le tre associazioni, «di fronte al silenzio assordante di tutte le autorità», sono passate alla denuncia. A scriverla è stato Corrado Canafoglia, avvocato dell'Unione nazionale consumatori ed esperto di diritti civili. Alla Verità dichiara: «La direttiva sull'ossigeno, in particolare, a me pare inaccettabile».Francesco Esposito, medico a Catanzaro e segretario generale della Fismu, nega che si stia pensando a esposti contro altre Regioni: «Dove c'è clima di collaborazione», dice alla Verità, «ci asteniamo da iniziative. Serve responsabilità e noi facciamo la nostra parte. Dove troviamo controparti arroganti, agiamo. È accaduto con due Asl della Sicilia e per questa fuga in avanti della Toscana».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-118-toscano-denuncia-il-governatore-rossi-2645590733.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="associazioni-a-caccia-di-malati-online-per-trascinare-alla-sbarra-i-medici" data-post-id="2645590733" data-published-at="1765610787" data-use-pagination="False"> Associazioni a caccia di malati online per trascinare alla sbarra i medici Quando gli eroi in camice bianco finiranno in tribunale allora sarà finita l'emergenza coronavirus. Appena scoperto il paziente uno i medici e gli infermieri si sono ritrovati in prima fila per combattere quasi a mani nude il Covid-19 e i cittadini si sono affacciati alle finestre per applaudire quegli stessi professionisti che prima meritavano insulti e botte. La legge antiviolenza dedicata agli operatori sanitari sembrava un ricordo, una cosa quasi inutile di fronte all'abnegazione degli angeli delle corsie. Oggi, con oltre 60 medici uccisi dal virus e dopo 40 giorni di emergenza, sono finiti gli applausi e le lacrime lasciano il posto alla rabbia. Le domande sono inevitabili: il mio familiare è entrato per tempo in terapia intensiva? È stato intubato? E chi è rimasto a casa, curato dai medici di famiglia, perché non ha avuto una bombola d'ossigeno? Perché non gli hanno fatto un tampone? Perché non è stato ricoverato? E così sono partite le prime denunce contro i medici. All'ospedale di Trieste, per esempio, nel reparto di medicina, un paziente ha denunciato l'intero nosocomio per aver contratto il virus durante il ricovero. Un caso isolato? Sicuramente no visto che ad aiutare pazienti e familiari, segregati in quarantena ci pensano studi legali «specializzati» che pubblicizzano sui social la loro attività. Fa così il gruppo Risarcimento e Consulenza che nel suo post scrive: «Le infezioni ospedaliere rientrano tra le complicanze più frequenti in ambito sanitario. Chi ne è vittima potrebbe aver diritto a un risarcimento. Contattaci per una consulenza gratuita, i nostri professionisti valuteranno se ci sono i presupposti per avviare una causa legale anche da parte dei familiari della vittima». Segue numero di telefono, mail, e cinque hashtag: #infezionesanitaria; #risarcimentoeconsulenza; #malattieprofessionali; #medicinalegale; #coronavirus. Per poi stupirsi delle critiche e rispondere: «Ci dispiace che il nostro intento sia stato frainteso, in quanto la nostra azione è dedicata esclusivamente alla tutela di quella classe di lavoratori che sta pagando sulla propria pelle il prezzo più alto di questa tragedia». Filippo Anelli, presidente di Fnomceo, ha scritto al Consiglio nazionale forense per segnalare il diffondersi di queste comunicazioni pubblicitarie di studi di avvocati mentre Alberto Oliveti, presidente dell'Enpam, la cassa previdenziale dei medici, presenterà «un esposto urgente all'Autorità garante della concorrenza per pubblicità scorretta contro organizzazioni che intendono speculare sulla pelle dei malati e contro la categoria dei sanitari». Offerte di consulenza mentre gli anestesisti della Siaarti, come scrive il prof Ivan Cavicchi, «sono a forte rischio contenzioso visto che si affidano al limite di età per i ricoveri», e i medici di famiglia, che senza protezione e bombole d'ossigeno sentono i propri pazienti al telefono. Come dice il loro presidente Silvestro Scotti: «Cosa andiamo a fare dai pazienti? Per vederli morire e infettarci anche noi?». «Da eroi a denunciati il passo è breve» dice il cardiologo monzese Stefano Carugo: «Vediamo il pericolo di conseguenze isteriche e di una guerra legale, fioccheranno denunce, temo. La mia idea, oltre ai balconi che vanno bene, è che si preveda per gli operatori sanitari in situazione di guerra una sorta di amnistia». Intanto la Fiaso, Federazione di Asl e ospedali, dice: «No a sanzioni penali a medici e manager sanitari che agiscono nell'emergenza», mentre I chirurghi italiani scrivono a Giuseppe Conte e Roberto Speranza: «Intervenire immediatamente sul tema della responsabilità civile e penale dei medici». Questa prassi è condannata senza se e senza ma da Antonio Chiàntera, presidente Sig (Società italiana di ginecologia e ostetricia): «Una condotta inaccettabile, quella di alcuni studi legali che continuano a pubblicizzare in maniera deplorevole le azioni legali nei confronti di medici e personale sanitario, promuovendo il versamento dei compensi solo in caso di effettivo risarcimento». Amareggiato anche Luciano Cifaldi, oncologo e segretario generale Cisl medici del Lazio: «Sono partite le prime denunce contro noi medici, siamo consapevoli che finiremo presto vittime di paradossali ripercussioni giudiziarie e poco ci manca che passeremo per sodali e complici del virus». Nel frattempo, sottolinea il sindacalista, oltre all'aumento delle tariffe assicurative per il rischio professionale proliferano le «sedicenti associazioni di benefattori» che si offrono di far ottenere i risarcimenti. Censura dei «sedicenti studi legali» dall'Ordine degli avvocati di Napoli che definisce tali «campagne pubblicitarie inappropriate e denigratorie della serietà, correttezza e dello spirito solidale e umanitario della classe forense» e propone un emendamento alla legge 8 marzo 2017 che prevede la responsabilità dei sanitari limitandola «alle sole condotte dolose» per tutta la durata dello stato di emergenza.
Il grande direttore d'orchestra rilancia l'appello alla politica affinché trovi una via diplomatica per convincere la Francia a far tornare nella sua città natale il compositore fiorentino, che ora riposa al cimitero di Père-Lachaise. Il sogno? Dirigere il Requiem del genio toscano nella Basilica di Santa Croce, dove è già pronto il suo cenotafio.
Maurizio Landini (Ansa)
Nessun sindacalista lo ammetterà mai, ma c’è un dato che più di ogni altro fa da spartiacque tra uno sciopero riuscito e un flop. Una percentuale minima al di sotto della quale è davvero difficile cantare vittoria: l’adesione almeno degli iscritti. Insomma, se sostieni, come fa ripetutamente Maurizio Landini di essere il portavoce di un sedicente malcontento montante che sarebbe addirittura maggioranza nel Paese e ti intesti una battaglia in solitaria lasciando alle spalle Cisl e Uil e poi non ti seguono neanche i tuoi, c’è un problema.
E il problema, numeri alla mano, esiste. Ed è pure grosso. Basta vedere le percentuali dei lavoratori che hanno deciso di spalleggiare l’ennesima rivolta politica e tutta improntata ad attaccare il governo Meloni del leader della Cgil. Innanzitutto nel pubblico impiego. Tra gli statali (scuola, sanità, dipendenti di ministeri, enti locali ecc.) ci sono circa 2,7 milioni di dipendenti contrattualizzati. E tra questi il 12% ha in tasca la tessera della Cgil. Bene, a fine giornata i dati ufficiali parlavano di circa il 4,4% complessivo di adesione all’ennesimo logoro show di Landini. Messa in soldoni: ormai anche la Cgil si è stancata del suo segretario che combatte una battaglia personale e quasi sempre sulle spalle dei lavoratori.
Che in corso d’Italia monti il malcontento, La Verità lo evidenzia da un po’ di tempo, ma il dato degli impiegati dello Stato è particolarmente significativo. Perché è intorno agli statali che l’ex leader della Fiom ha combattuto e poi perso la sua battaglia più significativa. Per mesi e mesi, infatti, spalleggiato dalla Uil e dall’ex alleato Pierpaolo Bombardieri, Landini ha bloccato il rinnovo dei contratti della Pa.
Circa 20 miliardi, già stanziati dal governo, fermi. E aumenti tra i 150 e i 170 euro lordi al mese, con istituti di favore come la settimana cortissima e il ticket anche in smart working, preclusi ai lavoratori per l’opposizione a prescindere del compagno Maurizio. Certo, lui l’ha spiegata come una lotta di giustizia sociale che aveva l’obiettivo di recuperare tutta l’inflazione del periodo (2022-2024). Ma si trattava di un bluff. Perché la Cgil con governi di un colore diverso ha rinnovato contratti decisamente meno convenienti e che comunque non coprivano il carovita.
Insomma, quella sugli accordi della pubblica amministrazione è diventata l’ultima frontiera dell’opposizione a prescindere. E su quella battaglia Landini si è schiantato. Prima nel merito, perché alla fine la Uil l’ha mollato e i contratti sono stati firmati. E poi sul campo: perché se almeno la metà degli iscritti diserta sciopero (e siamo benevoli), vuol dire che i tuoi stanno bocciando una linea che porta nelle piazza, sulle barricate e sui giornali, ma lascia i lavoratori con le tasche sempre più vuote.
«Il dato», spiega alla Verità il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, «certifica l’ennesimo flop degli scioperi generali, un fallimento che finisce tutto sulle spalle della Cgil che nel pubblico impiego può contare su circa 300.000 iscritti. Pur ammettendo che tutti gli aderenti siano tesserati di Landini e che le proiezioni del pomeriggio vengano confermate, la bocciatura interna per la linea del segretario sarebbe evidente. E, del resto, questo disagio era palese anche sul tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto. È arrivato il momento che anche all’interno del sindacato si apra una riflessione sincera».
E se tra gli statali la sconfitta è stata cocente, non meglio è andata nel privato. Dove, però, i dati sono più frammentati. Secondo le rilevazioni degli altri sindacati, ci sono alcune situazioni clamorose e altri meno, ma sempre di batoste si tratta.
Appartengono al primo caso le adesioni ferme a quota 1% nei cantieri delle grandi opere: dal Brennero fino al Terzo valico e alla Tav. Si risale al 5% negli stabilimenti di produzione e lavorazione di cemento, legno e laterizi, ma in generale la partecipazione nell’edilizia è stata bassissima.
Come nell’agroalimentare, dove, se si fa eccezioni per la rossa Emilia-Romagna (ai reparti produttivi della Granarolo si è arrivati a sfiorare il 50%), i risultati nelle piccole e medie imprese sono quasi tutti sotto il 5%. La media tra le aziende elettriche è del 5%, nelle Poste siamo fermi al 2,5% e nelle banche si sfiora l’1%. Leggermente meglio nel terziario e nel commercio (dove viene toccato il 10%), così come si contano sulle punte delle dita i siti delle realtà industriali in doppia cifra (Ex Ilva a Novi, Marcegaglia di Dusino San Michele in Piemonte e alcuni siti di Leonardo).
Insomma, al balletto delle cifre nelle manifestazioni siamo abituati e che ci siano delle enormi differenze numeriche tra promotori dello sciopero e controparte sta nelle regole del gioco, eppure si fa davvero fatica a capire da dove il sindacato rosso abbia tirato fuori il dato del 68% delle adesioni. Se 7 lavoratori su 10 si fermano, l’Italia si blocca. Non solo i trasporti, ma tutto il sistema finisce in una sorta di pericoloso stand by collettivo. Nulla a che vedere con quello che è successo sul territorio che ieri ha subito qualche prevedibile disagio da effetto-annuncio, ma poco più. Ma, del resto, nel Paese immaginario che sta raccontando Landini può succedere questo e altro.
Landini straparla di regime e agita lo sciopero infinito
«Fanno bene ad avere qualche timore, avere qualche paura, perché non ci fermano. Non so come dirlo, non ci fermano e, siccome siamo convinti di rappresentare la maggioranza del Paese, andremo avanti fino a quando questa battaglia l’abbiamo vinta». È stato questo il grido di battaglia, ieri, del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, a Firenze dove ha partecipato al corteo nel giorno dello sciopero generale contro la legge di bilancio, salari bassi, precarietà e caro-vita.
Una protesta «per cambiare la manovra 2026, considerata del tutto inadeguata a risolvere i problemi del Paese, malgrado le modifiche appena approvate, per sostenere investimenti in sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali, per fermare l’innalzamento dell’età pensionabile, per contrastare la precarietà». Insomma, i temi sul tavolo di ogni governo degli ultimi 30 anni, basti pensare alla sanità da sempre gestita dalla sinistra da Rosy Bondi in poi, ma che, per Landini e sinistra, sembrano esplosi con l’arrivo del governo Meloni. E, ignorando totalmente i dati dell’occupazione che cresce in maniera costante, arriva a sostenere che «La precarietà non è un problema dei giovani: se vogliamo combattere e contrastare la precarietà, sono quelli che non sono precari che, innanzitutto, si devono battere e scioperare per cancellare la precarietà. Questa è la solidarietà, questo è il sindacato».
«Quando ho lavorato», ha ricordato Landini, «io la precarietà non l’ho conosciuta. E vorrei che fosse chiaro, non è merito mio, eh, io non avevo fatto niente, ero andato semplicemente a lavorare. Ma mi sono trovato dei diritti, perché quelli prima di me, che quei diritti lì non ce ne avevano, si erano battuti per ottenerli. Non per loro, ma per tutti. Tre mesi dopo che ero assunto come apprendista, ho potuto operare e partecipare a una manifestazione senza essere licenziato. Non m’hanno fatto prove del carrello», ha detto riferendosi ai tre lavoratori della catena Pam allontanati dopo un controllo a sorpresa che ha simulato un furto. «Dobbiamo far parlare il Paese reale, perché dobbiamo raccontare quel che succede: qui siamo, ormai, a un regime, ci raccontano un Paese che non c’è, ci raccontano una quantità di balle, che tutto va bene, tutto sta funzionando. Non è così».
Il leader della Cgil ha, poi, sottolineato che oggi c’è «un obiettivo esplicito della politica e del governo: mettere in discussione l’esistenza stessa del sindacato confederale come soggetto che ha diritto di negoziare alla pari col governo». Al segretario che un anno fa voleva «rivoltare il Paese come un guanto», lo sciopero politico di ieri gli è comunque costato la mancata unità sindacale con Cisl, Uil e Ugl ormai fuori sintonia. Landini ha chiarito che «il diritto di sciopero è un diritto costituzionale e non accetteremo alcun tentativo di metterlo in discussione o di limitarlo. Oggi siamo in piazza non contro altri lavoratori o altri sindacati, ma per estendere questi diritti a tutti. Quando un governo prova a delegittimare chi protesta o a ridurre gli spazi di partecipazione democratica, significa che non vuole ascoltare il disagio reale che attraversa il Paese. Lo sciopero è per cambiare politiche sbagliate. E la grande partecipazione che vediamo oggi dimostra che c’è un Paese che chiede un cambio di rotta».
«Il Paese non è più disponibile a un’altra legge di bilancio di austerità e di tagli», ha affermato il leader di Avs, Nicola Fratoianni, presente alla manifestazione con Angelo Bonelli. Sul palco in piazza del Carmine ha trovato posto anche la protesta dei giornalisti de La Stampa e Repubblica, in sciopero dopo l’annuncio di Exor della cessione del gruppo editoriale Gedi al magnate greco Theodore Kyriakou. Mai così in prima fila nella solidarietà ad altre crisi di giornali meno «amici», Landini ha spiegato il perché: «Pensiamo che quello che sta succedendo sia un tentativo esplicito di mettere in discussione la libertà di stampa e la possibilità concreta di proseguire e di fare serie politiche industriali. Mi sembra evidente quello che sta succedendo: abbiamo imprese e imprenditori che, dopo aver fatto i profitti, chiudono le imprese, se ne vogliono andare dal nostro Paese per usare i soldi e quella ricchezza che è stata prodotta da chi lavora, da altre parti. Ecco, quelli che fanno i patrioti dove sono? Stanno difendendo chi? Difendono quelli che pagano le tasse che tengono in piedi questo Paese o difendono quelli che chiudono le aziende che investono da un’altra parte?». C’è voluta la vendita di Repubblica perché Landini attaccasse Elkann visto che dalla nascita di Stellantis, nel gennaio 2021, l’azienda ha licenziato solo in Italia attraverso esodi incentivati 7.500 lavoratori. Del restom lo ha detto chiaramente Carlo Calenda di Azione: «Da quando la Repubblica è stata comprata da Elkann, Fiom e Cgil hanno smesso di dare battaglia che prima facevano con Sergio Marchionne quando la produzione aumentava, adesso che è crollata non li senti più dire nulla».
Intanto ieri Landini non ha nascosto la sua soddisfazione per la risposta allo sciopero, «le piazze si sono riempite e le fabbriche svuotate», rinfocolando la polemica a distanza con il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, che aveva definito «irresponsabile» bloccare il Paese. «Noi stiamo facendo il nostro mestiere, quello che non fa Salvini», la replica del segretario della Cgil. Il vicepremier leghista ieri ha visitato la centrale operativa delle Ferrovie dello Stato per verificare le ricadute dello sciopero, ed ha definito «incoraggianti» i dati sull’adesione, «con disagi limitati» dovuti soprattutto all’effetto «annuncio».
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John Elkann (Getty Images)
Eppure, mentre assiste impassibile alla disfatta dell’industria automobilistica italiana, la sinistra si agita per la vendita di Gedi, ovvero di ciò che resta del gruppo editoriale che un tempo faceva capo alla famiglia De Benedetti. Nel corso degli anni, dopo aver comprato dai figli dell’Ingegnere decine di testate, tra cui Repubblica, l’Espresso e un pacchetto di giornali locali, Elkann ha provveduto a smembrare e cedere quasi tutto. Venduto lo storico settimanale che all’inizio dava il nome al gruppo e il cui titolo era quotato in Borsa. Via il Secolo XIX, quotidiano con forti radici in tutta la Liguria. Passati di mano il Tirreno a Livorno, la Nuova Sardegna a Sassari, il Piccolo a Udine, il Messaggero Veneto a Pordenone. Mollati a imprenditori locali la Gazzetta di Mantova e pure quella di Reggio Emilia e Modena, la Nuova Ferrara, la Provincia Pavese, il Mattino di Padova, la Tribuna di Treviso, la Nuova di Venezia e perfino la Sentinella del Canavese, tra Ivrea e Val d’Aosta. Insomma, un impero di carta fatto a pezzi minuti, che alla fine è rimasto con sole due testate, ovvero Repubblica (con propaggini come Huffington Post, Limes e National Geographic) e La Stampa, oltre a tre radio, la più importante delle quali è Radio Deejay. I giornali ancora nelle mani del nipote dell’Avvocato sono un buco nero, anzi rosso, di perdite. Dopo svalutazioni da centinaia di milioni, continuano a perdere soldi, oltre che copie. Le sole soddisfazioni arrivano dalle emittenti: per il resto solo dolori e niente gioie.
Si sapeva che Elkann volesse disfarsi di tutto, anche perché vorrebbe disfarsi pure degli stabilimenti e trasferirsi felice a Parigi o in America, dove peraltro studiano i figli. Si sapeva anche che il suo interesse nei confronti dei giornali fosse pari a zero. La Stampa se l’era ritrovata sulle spalle insieme con una montagna di miliardi, ma l’amore per la testata non era proprio fortissimo. Repubblica e il resto se li era comprati all’improvviso dai De Benedetti per fare quello che De Benedetti, Carlo, aveva fatto per anni benissimo, ossia accreditarsi con la politica. I giornali della sinistra dovevano coprire la ritirata dall’Italia, l’addio all’industria automobilistica. E forse sono serviti a limitare le polemiche, visto che Landini a lungo ha concesso interviste a Repubblica e Stampa senza mai lamentarsi troppo di quello che stava accadendo nelle fabbriche del gruppo.
Certo, fa un po’ impressione vedere la Bibbia di generazioni di compagni, che dopo aver soppiantato perfino l’Unità viene venduta come se fosse una Magneti Marelli qualsiasi. Una cessione nel cinquantesimo esatto della fondazione, per di più a un imprenditore straniero che pare essere in affari con quel «principe rinascimentale» (copyright Renzi) di Bin Salman, uno che i giornalisti di solito li fa a pezzi. Ma soprattutto, una vendita contro cui sindacato e sinistra chiedono l’intervento di quella Giorgia Meloni che fino a ieri era considerata una minaccia per la libertà di stampa. Tuttavia, impressiona di più la levata di scudi della sinistra per una Casta di colleghi che a lungo ha guardato con sufficienza il mondo, ritenendosi intoccabile. Poi qualcuno si chiede perché gli operai non votino più né il Pd né i cespugli che gli ruotano attorno, mentre alla Cgil siano rimasti solo i pensionati.
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