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2024-10-09
Libano, operazione via terra dell’Idf. «Biden disse Netanyahu figlio di p...»
Carri armati israeliani al confine con il Libano (Getty Images)
L’Idf ha annunciato ieri l’allargamento dell’operazione militare terrestre limitata, localizzata e mirata nella parte Sud occidentale del Libano, dove ai soldati delle unità permanenti 36, 91 e 98, si sono uniti quelli della divisione di riserva, portando il contingente a oltre 15.000 uomini. Finora, infatti, da quando lo scorso 30 settembre le truppe dello Stato ebraico fecero ingresso nel Paese dei cedri, le battaglie si erano concentrate sul lato orientale del confine. Alcuni soldati sono stati ripresi mentre issavano una bandiera israeliana nel villaggio di Maroun al-Ras. La brigata Golani delle forze di difesa israeliane ha sfondato la resistenza dei miliziani di Hezbollah nel villaggio di Maroun al-Ras, dove è stato bloccato un lanciatore pronto a far partire razzi verso il Nord di Israele e sono stati distrutti tunnel e diverse armi tra cui missili anticarro.
Proprio qui ha sede la base delle forze di pace Onu Unifil, dove è in missione anche il contingente italiano. Al Jazeera ha pubblicato diverse immagini satellitari in cui si vedono circa 40 veicoli militari posizionati attorno al quartier generale della missione dei caschi blu. Un portavoce di Hezbollah ha riferito che i miliziani presenti in quella zona hanno aperto il fuoco per allontanare i militari israeliani dietro la striscia di confine. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha definito la situazione in Libano «molto preoccupante,» ha immediatamente sentito al telefono il suo omologo israeliano, Israel Katz, a cui ha chiesto di assicurare la massima tutela al contingente italiano Unifil e che venga tenuto fuori dagli scontri con Hezbollah.
In serata è giunta la notizia di un edificio colpito da Israele anche a Damasco, in Siria. Massima allerta e tensione si sono registrate anche a Beirut dove continuano i bombardamenti giorno e notte. Il media libanese Al Mayadeen ha riferito che nelle ultime 24 ore Israele ha sferrato 26 attacchi aerei nella periferia meridionale della Capitale. In uno di questi, a Dahiyeh, una delle roccheforti di Hezbollah, l’esercito israeliano ha confermato di aver colpito diversi obiettivi e di aver eliminato Suhail Hussein Husseini, comandante del quartier generale del Partito di Dio a Beirut e considerato colui che gestiva la distribuzione delle armi tra le varie unità della milizia sciita.
A essere coinvolta nei combattimenti è stata anche una troupe del Tg3, aggredita mentre viaggiava in auto nei pressi di Sidone: a testimoniare l’episodio in cui ha perso la vita l’autista locale, morto a causa di un infarto, è stata direttamente l’inviata Rai Lucia Goracci: «Eravamo in un villaggio a Nord di Sidone, sul luogo di un bombardamento. È spuntato un uomo che ha aggredito l’operatore Marco Nicois, tentando di strappargli la telecamera», ha raccontato la giornalista al telegiornale. «Siamo andati via veloci in auto, ma quest’uomo ci stava seguendo e quando l’autista si è fermato a un distributore, ormai eravamo fuori dal Paese, ci è venuto addosso, ha strappato le chiavi, ha tentato di distruggere la telecamera mentre nessuno ci veniva in aiuto. L’autista, che cercava di spiegare e convincere gli aggressori è mancato, caduto in terra. Siamo corsi in ospedale e ci hanno detto che era morto dopo lunghi tentativi di rianimarlo».
Nel frattempo, la popolazione civile libanese prosegue nel suo esodo: da quando sono iniziati i combattimenti, fa sapere il governo, oltre 400.000 persone sono fuggite in Siria e 1,2 milioni sono state sfollate. Ai civili libanesi si è rivolto Benjamin Netanyahu, il quale ha confermato la morte di Hashem Safieddine e ha invitato i cittadini a liberarsi da Hezbollah per porre fine alla guerra. Il premier israeliano ha anche messo in stand by la visita negli Usa del ministro della Difesa. Yoav Gallant. Prima vuole parlare con Joe Biden, che però è al centro di un caso, visto che il famoso giornalista del Watergate, Bob Woodward, ha rivelato nel suo ultimo libro: «Il presidente ha definito Netanyahu un figlio di p... e un cattivo fottuto re».
Nel frattempo i vertici di Hezbollah hanno affermato che l’elezione del successore di Hassan Nasrallah avverrà il prima possibile, rivendicando l’ennesimo lancio di razzi verso il Nord di Israele. Il Comando del fronte interno delle forze israeliane ha rafforzato le misure di sicurezza chiudendo tutte le scuole, eccetto quelle che dispongono di rifugi che possono essere raggiunti velocemente in caso di attacco annunciato dalle sirene antiaereo. «Il nemico mente sulle nostre capacità e sulle perdite che dice di infliggerci. Stiamo bene e siamo capaci di rispondere», ha detto l’attuale numero due di Hezbollah Naim Qassem. «Guardate quel che succede lungo la linea frontaliera, siamo sul terreno e i nostri combattenti dimostrano la loro bravura. Noi siamo qui e rimaniamo qui. Li aspettiamo corpo a corpo».
Per quanto riguarda invece l’attesa risposta di Israele all’Iran, dagli Stati Uniti è filtrata diffidenza nei confronti della strategia israeliana, con il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, che ha chiesto al ministro per gli Affari strategici israeliano, Ron Dermer, chiarezza e trasparenza sull’operazione. Intanto da Teheran avvisano: «La Repubblica islamica raderebbe al suolo in meno di 10 minuti le città israeliane di Tel Aviv e Haifa se Israele dovesse reagire ai recenti attacchi missilistici».
«No armi». E il Qatar premia Macron
Dopo aver dichiarato «Basta armi», invitando l’Occidente a non sostenere le operazioni di Israele, il presidente francese, Emmanuel Macron, in occasione dell’anniversario del 7 ottobre, ha dovuto abbassare i toni e fare un gesto di distensione verso il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, anche se le reali intenzioni di Parigi sembrano aver poco a che fare con la pace e molto con precisi interessi geopolitici.
Riavvolgendo il nastro, i bombardamenti israeliani in Libano avevano colpito degli impianti petroliferi francesi proprio dopo che Bibi non aveva preso bene le dichiarazioni del capo dell’Eliseo. Non solo, dopo lo sgambetto francese, il premier israeliano aveva replicato senza mezzi termini: «Il presidente Macron e altri leader occidentali stanno richiedendo l’embargo di armi contro Israele. Si devono vergognare».
Ne è seguita una telefonata, la scorsa domenica, con toni di apparente cautela, in cui il capo dell’Eliseo ha voluto sbandierare «l’incrollabile impegno» di Parigi alla sicurezza di Gerusalemme, pur riconoscendo che ora i tempi sono maturi per un cessate il fuoco a Gaza e in Libano. Dichiarazioni a cui Netanyahu avrebbe risposto un po’ piccato: «Ci si aspetta che gli amici d’Israele lo sostengano e non che gli impongano restrizioni che rafforzerebbero solamente l’asse del male iraniano», concludendo che la lotta a Hezbollah è necessaria per «cambiare la realtà» in Libano. In occasione delle commemorazioni del 7 ottobre, il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, era stato in visita proprio in Israele, per rendere omaggio alle vittime del massacro di Hamas, tra cui 65 cittadini transalpini. Durante la cerimonia ha depositato un mazzo di rose bianche, dichiarando che «la Francia non abbandonerà mai i suoi compatrioti e non smetterà mai di chiedere ad Hamas il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi».
In realtà dietro le dichiarazioni di Macron sullo stop alla fornitura di armi a Israele si intravede una contropartita che riguarda il Qatar. Doha si è infatti impegnata, tramite un accordo di partnership strategica, a fornire 10 miliardi di euro a Parigi che saranno incanalati in startup e in fondi di investimento francesi tra il 2024 e il 2030. Già a febbraio di quest’anno, l’emiro qatarino Tamim bin Hamad Al Thani aveva incontrato Macron in Francia: non si trattava solo della prima visita dell’emiro ma della prima visita di Stato a Parigi dopo 15 anni. In occasione dell’incontro, il primo ministro francese di allora, Gabriel Attal, insieme al suo omologo del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, avevano presieduto un forum economico sulle opportunità di investimento tra i due Paesi in materia di decarbonizzazione, Intelligenza artificiale, semiconduttori, sanità e biotecnologie.
Si tratta quindi di un’occasione che la fornitura di armi a Israele avrebbe potuto ostacolare, dato che l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani è all’opposto della posizione israeliana sul conflitto. Ed è stato proprio lui, la scorsa settimana, ad aver ospitato a Doha il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, e ad aver accusato Israele di compiere un «genocidio collettivo». Doha ha dunque accolto favorevolmente la decisione di Macron e infatti, nella pagina X del ministero degli Esteri del Qatar, è comparsa subito una nota in cui si afferma: «Lo Stato del Qatar accoglie la richiesta del presidente francese, Emmanuel Macron, di fermare la consegna di armi all’occupazione israeliana per combattere a Gaza e lo considera un passo importante e gradito per fermare la guerra». Un passo gradito anche per gli interessi dei transalpini.
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La rivelazione del giornalista del Watergate, Woodward, inguaia il presidente Usa. Fermata la missione di Gallant a Washington. Troupe del «Tg3» aggredita, l’autista muore d’infarto. Edificio colpito a Damasco.Dopo l’apprezzamento di Doha per l’invito dell’Eliseo a non sostenere più le azioni di Gerusalemme, arriva un accordo: 10 miliardi per startup e fondi d’investimento.Lo speciale contiene due articoli.L’Idf ha annunciato ieri l’allargamento dell’operazione militare terrestre limitata, localizzata e mirata nella parte Sud occidentale del Libano, dove ai soldati delle unità permanenti 36, 91 e 98, si sono uniti quelli della divisione di riserva, portando il contingente a oltre 15.000 uomini. Finora, infatti, da quando lo scorso 30 settembre le truppe dello Stato ebraico fecero ingresso nel Paese dei cedri, le battaglie si erano concentrate sul lato orientale del confine. Alcuni soldati sono stati ripresi mentre issavano una bandiera israeliana nel villaggio di Maroun al-Ras. La brigata Golani delle forze di difesa israeliane ha sfondato la resistenza dei miliziani di Hezbollah nel villaggio di Maroun al-Ras, dove è stato bloccato un lanciatore pronto a far partire razzi verso il Nord di Israele e sono stati distrutti tunnel e diverse armi tra cui missili anticarro.Proprio qui ha sede la base delle forze di pace Onu Unifil, dove è in missione anche il contingente italiano. Al Jazeera ha pubblicato diverse immagini satellitari in cui si vedono circa 40 veicoli militari posizionati attorno al quartier generale della missione dei caschi blu. Un portavoce di Hezbollah ha riferito che i miliziani presenti in quella zona hanno aperto il fuoco per allontanare i militari israeliani dietro la striscia di confine. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha definito la situazione in Libano «molto preoccupante,» ha immediatamente sentito al telefono il suo omologo israeliano, Israel Katz, a cui ha chiesto di assicurare la massima tutela al contingente italiano Unifil e che venga tenuto fuori dagli scontri con Hezbollah.In serata è giunta la notizia di un edificio colpito da Israele anche a Damasco, in Siria. Massima allerta e tensione si sono registrate anche a Beirut dove continuano i bombardamenti giorno e notte. Il media libanese Al Mayadeen ha riferito che nelle ultime 24 ore Israele ha sferrato 26 attacchi aerei nella periferia meridionale della Capitale. In uno di questi, a Dahiyeh, una delle roccheforti di Hezbollah, l’esercito israeliano ha confermato di aver colpito diversi obiettivi e di aver eliminato Suhail Hussein Husseini, comandante del quartier generale del Partito di Dio a Beirut e considerato colui che gestiva la distribuzione delle armi tra le varie unità della milizia sciita. A essere coinvolta nei combattimenti è stata anche una troupe del Tg3, aggredita mentre viaggiava in auto nei pressi di Sidone: a testimoniare l’episodio in cui ha perso la vita l’autista locale, morto a causa di un infarto, è stata direttamente l’inviata Rai Lucia Goracci: «Eravamo in un villaggio a Nord di Sidone, sul luogo di un bombardamento. È spuntato un uomo che ha aggredito l’operatore Marco Nicois, tentando di strappargli la telecamera», ha raccontato la giornalista al telegiornale. «Siamo andati via veloci in auto, ma quest’uomo ci stava seguendo e quando l’autista si è fermato a un distributore, ormai eravamo fuori dal Paese, ci è venuto addosso, ha strappato le chiavi, ha tentato di distruggere la telecamera mentre nessuno ci veniva in aiuto. L’autista, che cercava di spiegare e convincere gli aggressori è mancato, caduto in terra. Siamo corsi in ospedale e ci hanno detto che era morto dopo lunghi tentativi di rianimarlo». Nel frattempo, la popolazione civile libanese prosegue nel suo esodo: da quando sono iniziati i combattimenti, fa sapere il governo, oltre 400.000 persone sono fuggite in Siria e 1,2 milioni sono state sfollate. Ai civili libanesi si è rivolto Benjamin Netanyahu, il quale ha confermato la morte di Hashem Safieddine e ha invitato i cittadini a liberarsi da Hezbollah per porre fine alla guerra. Il premier israeliano ha anche messo in stand by la visita negli Usa del ministro della Difesa. Yoav Gallant. Prima vuole parlare con Joe Biden, che però è al centro di un caso, visto che il famoso giornalista del Watergate, Bob Woodward, ha rivelato nel suo ultimo libro: «Il presidente ha definito Netanyahu un figlio di p... e un cattivo fottuto re». Nel frattempo i vertici di Hezbollah hanno affermato che l’elezione del successore di Hassan Nasrallah avverrà il prima possibile, rivendicando l’ennesimo lancio di razzi verso il Nord di Israele. Il Comando del fronte interno delle forze israeliane ha rafforzato le misure di sicurezza chiudendo tutte le scuole, eccetto quelle che dispongono di rifugi che possono essere raggiunti velocemente in caso di attacco annunciato dalle sirene antiaereo. «Il nemico mente sulle nostre capacità e sulle perdite che dice di infliggerci. Stiamo bene e siamo capaci di rispondere», ha detto l’attuale numero due di Hezbollah Naim Qassem. «Guardate quel che succede lungo la linea frontaliera, siamo sul terreno e i nostri combattenti dimostrano la loro bravura. Noi siamo qui e rimaniamo qui. Li aspettiamo corpo a corpo».Per quanto riguarda invece l’attesa risposta di Israele all’Iran, dagli Stati Uniti è filtrata diffidenza nei confronti della strategia israeliana, con il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, che ha chiesto al ministro per gli Affari strategici israeliano, Ron Dermer, chiarezza e trasparenza sull’operazione. Intanto da Teheran avvisano: «La Repubblica islamica raderebbe al suolo in meno di 10 minuti le città israeliane di Tel Aviv e Haifa se Israele dovesse reagire ai recenti attacchi missilistici».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/idf-offensiva-libano-2669365521.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="no-armi-e-il-qatar-premia-macron" data-post-id="2669365521" data-published-at="1728470319" data-use-pagination="False"> «No armi». E il Qatar premia Macron Dopo aver dichiarato «Basta armi», invitando l’Occidente a non sostenere le operazioni di Israele, il presidente francese, Emmanuel Macron, in occasione dell’anniversario del 7 ottobre, ha dovuto abbassare i toni e fare un gesto di distensione verso il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, anche se le reali intenzioni di Parigi sembrano aver poco a che fare con la pace e molto con precisi interessi geopolitici. Riavvolgendo il nastro, i bombardamenti israeliani in Libano avevano colpito degli impianti petroliferi francesi proprio dopo che Bibi non aveva preso bene le dichiarazioni del capo dell’Eliseo. Non solo, dopo lo sgambetto francese, il premier israeliano aveva replicato senza mezzi termini: «Il presidente Macron e altri leader occidentali stanno richiedendo l’embargo di armi contro Israele. Si devono vergognare». Ne è seguita una telefonata, la scorsa domenica, con toni di apparente cautela, in cui il capo dell’Eliseo ha voluto sbandierare «l’incrollabile impegno» di Parigi alla sicurezza di Gerusalemme, pur riconoscendo che ora i tempi sono maturi per un cessate il fuoco a Gaza e in Libano. Dichiarazioni a cui Netanyahu avrebbe risposto un po’ piccato: «Ci si aspetta che gli amici d’Israele lo sostengano e non che gli impongano restrizioni che rafforzerebbero solamente l’asse del male iraniano», concludendo che la lotta a Hezbollah è necessaria per «cambiare la realtà» in Libano. In occasione delle commemorazioni del 7 ottobre, il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, era stato in visita proprio in Israele, per rendere omaggio alle vittime del massacro di Hamas, tra cui 65 cittadini transalpini. Durante la cerimonia ha depositato un mazzo di rose bianche, dichiarando che «la Francia non abbandonerà mai i suoi compatrioti e non smetterà mai di chiedere ad Hamas il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi». In realtà dietro le dichiarazioni di Macron sullo stop alla fornitura di armi a Israele si intravede una contropartita che riguarda il Qatar. Doha si è infatti impegnata, tramite un accordo di partnership strategica, a fornire 10 miliardi di euro a Parigi che saranno incanalati in startup e in fondi di investimento francesi tra il 2024 e il 2030. Già a febbraio di quest’anno, l’emiro qatarino Tamim bin Hamad Al Thani aveva incontrato Macron in Francia: non si trattava solo della prima visita dell’emiro ma della prima visita di Stato a Parigi dopo 15 anni. In occasione dell’incontro, il primo ministro francese di allora, Gabriel Attal, insieme al suo omologo del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, avevano presieduto un forum economico sulle opportunità di investimento tra i due Paesi in materia di decarbonizzazione, Intelligenza artificiale, semiconduttori, sanità e biotecnologie. Si tratta quindi di un’occasione che la fornitura di armi a Israele avrebbe potuto ostacolare, dato che l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani è all’opposto della posizione israeliana sul conflitto. Ed è stato proprio lui, la scorsa settimana, ad aver ospitato a Doha il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, e ad aver accusato Israele di compiere un «genocidio collettivo». Doha ha dunque accolto favorevolmente la decisione di Macron e infatti, nella pagina X del ministero degli Esteri del Qatar, è comparsa subito una nota in cui si afferma: «Lo Stato del Qatar accoglie la richiesta del presidente francese, Emmanuel Macron, di fermare la consegna di armi all’occupazione israeliana per combattere a Gaza e lo considera un passo importante e gradito per fermare la guerra». Un passo gradito anche per gli interessi dei transalpini.
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Di fronte a questa ondata di insicurezza, i labour propongono più telecamere nelle città più importanti del Paese, applicando così, in modo massiccio, il riconoscimento facciale dei criminali. Oltre 45 milioni di cittadini verranno riconosciuti attraverso la videosorveglianza. Secondo la proposta avanzata dai labour, la polizia potrà infatti utilizzare ogni tipo di videocamera. Non solo quelle pubbliche, ma anche quelle presenti sulle auto, le cosiddette dashcam, e pure quelle dei campanelli dei privati cittadini. Come riporta il Telegraph, «le proposte sono accompagnate da un’iniziativa volta a far sì che la polizia installi telecamere di riconoscimento facciale “live” che scansionino i sospetti ricercati nei punti caldi della criminalità in Inghilterra e in Galles. Anche altri enti pubblici, oltre alla polizia, e aziende private, come i rivenditori, potrebbero essere autorizzati a utilizzare la tecnologia di riconoscimento facciale nell’ambito del nuovo quadro giuridico».
Il motivo, almeno nelle intenzioni, è certamente nobile, come sempre in questi casi. E la paura è tanta. Eppure questa soluzione pone importanti interrogativi legati alla libertà della persone e, soprattutto, alla loro privacy. C’è infatti già un modello simile ed è quello applicato in Cina. Da tempo infatti Pechino utilizza le videocamere per controllare la popolazione in ogni suo minimo gesto. Dagli attraversamenti pedonali ai comportamenti più privati. E premia (oppure punisce) il singolo cittadino in base ad ogni sua singola azione. Si tratta del cosiddetto credito sociale, che non ha a che fare unicamente con la liquidità dei cittadini, ma anche con i loro comportamenti, le loro condanne giudiziarie, le violazioni amministrative gravi e i loro comportamenti più o meno affidabili.
Quella che sembrava una distopia lì è diventata una realtà. Del resto anche in Italia, durante il Covid, è stato applicato qualcosa di simile con il Green Pass. Eri un bravo cittadino - e quindi potevi accedere a tutti i servizi - solamente se ti vaccinavi, altrimenti venivi punito: non potevi mangiare al chiuso, anche se era inverno, oppure prendere i mezzi pubblici.
Per l’avvocato Silkie Carlo, a capo dell’organizzazione non governativa per i diritti civili Big Brother, «ogni ricerca in questa raccolta di nostre foto personali sottopone milioni di cittadini innocenti a un controllo di polizia senza la nostra conoscenza o il nostro consenso. Il governo di Sir Keir Starmer si sta impegnando in violazioni storiche della privacy dei britannici, che ci si aspetterebbe di vedere in Cina, ma non in una democrazia». Ed è proprio quello che sta accadendo nel Regno Unito e che può accadere anche da noi. Il sistema cinese, poi, sta potenziando ulteriormente le proprie capacità. Secondo uno studio pubblicato dall’Australian strategic policy institute, Pechino sta potenziando ulteriormente la sua rete di controllo sulla cittadinanza sfruttando l’intelligenza artificiale, soprattutto per quanto riguarda la censura online. Un pericolo non solo per i cinesi, ma anche per i Paesi occidentali visto che Pechino «è già il maggiore esportatore mondiale di tecnologie di sorveglianza basate sull’intelligenza artificiale». Come a dire: ciò che stanno sviluppando lì, arriverà anche da noi. E allora non saranno solamente i nostri Paesi a controllare le nostre azioni ma, in modo indiretto, anche Pechino.
C’è una frase di Benjamin Franklin che viene ripresa in Captain America e che racconta bene quest’ansia da controllo. Un’ansia che nasce dalla paura, spesso provocata da politiche fallaci. «Baratteranno la loro libertà per un po’ di sicurezza». Come sta succedendo nel Regno Unito, dopo anni di accoglienza indiscriminata. O come è successo anhe in Italia durante il Covid. Per anni, ci siamo lasciati intimorire, cedendo libertà e vita. Oggi lo scenario è peggiore, visto l’uso massiccio della tecnologia, che rende i Paesi occidentali sempre più simili alla Cina. E non è una bella notizia.
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Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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