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2024-10-09
Libano, operazione via terra dell’Idf. «Biden disse Netanyahu figlio di p...»
Carri armati israeliani al confine con il Libano (Getty Images)
L’Idf ha annunciato ieri l’allargamento dell’operazione militare terrestre limitata, localizzata e mirata nella parte Sud occidentale del Libano, dove ai soldati delle unità permanenti 36, 91 e 98, si sono uniti quelli della divisione di riserva, portando il contingente a oltre 15.000 uomini. Finora, infatti, da quando lo scorso 30 settembre le truppe dello Stato ebraico fecero ingresso nel Paese dei cedri, le battaglie si erano concentrate sul lato orientale del confine. Alcuni soldati sono stati ripresi mentre issavano una bandiera israeliana nel villaggio di Maroun al-Ras. La brigata Golani delle forze di difesa israeliane ha sfondato la resistenza dei miliziani di Hezbollah nel villaggio di Maroun al-Ras, dove è stato bloccato un lanciatore pronto a far partire razzi verso il Nord di Israele e sono stati distrutti tunnel e diverse armi tra cui missili anticarro.
Proprio qui ha sede la base delle forze di pace Onu Unifil, dove è in missione anche il contingente italiano. Al Jazeera ha pubblicato diverse immagini satellitari in cui si vedono circa 40 veicoli militari posizionati attorno al quartier generale della missione dei caschi blu. Un portavoce di Hezbollah ha riferito che i miliziani presenti in quella zona hanno aperto il fuoco per allontanare i militari israeliani dietro la striscia di confine. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha definito la situazione in Libano «molto preoccupante,» ha immediatamente sentito al telefono il suo omologo israeliano, Israel Katz, a cui ha chiesto di assicurare la massima tutela al contingente italiano Unifil e che venga tenuto fuori dagli scontri con Hezbollah.
In serata è giunta la notizia di un edificio colpito da Israele anche a Damasco, in Siria. Massima allerta e tensione si sono registrate anche a Beirut dove continuano i bombardamenti giorno e notte. Il media libanese Al Mayadeen ha riferito che nelle ultime 24 ore Israele ha sferrato 26 attacchi aerei nella periferia meridionale della Capitale. In uno di questi, a Dahiyeh, una delle roccheforti di Hezbollah, l’esercito israeliano ha confermato di aver colpito diversi obiettivi e di aver eliminato Suhail Hussein Husseini, comandante del quartier generale del Partito di Dio a Beirut e considerato colui che gestiva la distribuzione delle armi tra le varie unità della milizia sciita.
A essere coinvolta nei combattimenti è stata anche una troupe del Tg3, aggredita mentre viaggiava in auto nei pressi di Sidone: a testimoniare l’episodio in cui ha perso la vita l’autista locale, morto a causa di un infarto, è stata direttamente l’inviata Rai Lucia Goracci: «Eravamo in un villaggio a Nord di Sidone, sul luogo di un bombardamento. È spuntato un uomo che ha aggredito l’operatore Marco Nicois, tentando di strappargli la telecamera», ha raccontato la giornalista al telegiornale. «Siamo andati via veloci in auto, ma quest’uomo ci stava seguendo e quando l’autista si è fermato a un distributore, ormai eravamo fuori dal Paese, ci è venuto addosso, ha strappato le chiavi, ha tentato di distruggere la telecamera mentre nessuno ci veniva in aiuto. L’autista, che cercava di spiegare e convincere gli aggressori è mancato, caduto in terra. Siamo corsi in ospedale e ci hanno detto che era morto dopo lunghi tentativi di rianimarlo».
Nel frattempo, la popolazione civile libanese prosegue nel suo esodo: da quando sono iniziati i combattimenti, fa sapere il governo, oltre 400.000 persone sono fuggite in Siria e 1,2 milioni sono state sfollate. Ai civili libanesi si è rivolto Benjamin Netanyahu, il quale ha confermato la morte di Hashem Safieddine e ha invitato i cittadini a liberarsi da Hezbollah per porre fine alla guerra. Il premier israeliano ha anche messo in stand by la visita negli Usa del ministro della Difesa. Yoav Gallant. Prima vuole parlare con Joe Biden, che però è al centro di un caso, visto che il famoso giornalista del Watergate, Bob Woodward, ha rivelato nel suo ultimo libro: «Il presidente ha definito Netanyahu un figlio di p... e un cattivo fottuto re».
Nel frattempo i vertici di Hezbollah hanno affermato che l’elezione del successore di Hassan Nasrallah avverrà il prima possibile, rivendicando l’ennesimo lancio di razzi verso il Nord di Israele. Il Comando del fronte interno delle forze israeliane ha rafforzato le misure di sicurezza chiudendo tutte le scuole, eccetto quelle che dispongono di rifugi che possono essere raggiunti velocemente in caso di attacco annunciato dalle sirene antiaereo. «Il nemico mente sulle nostre capacità e sulle perdite che dice di infliggerci. Stiamo bene e siamo capaci di rispondere», ha detto l’attuale numero due di Hezbollah Naim Qassem. «Guardate quel che succede lungo la linea frontaliera, siamo sul terreno e i nostri combattenti dimostrano la loro bravura. Noi siamo qui e rimaniamo qui. Li aspettiamo corpo a corpo».
Per quanto riguarda invece l’attesa risposta di Israele all’Iran, dagli Stati Uniti è filtrata diffidenza nei confronti della strategia israeliana, con il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, che ha chiesto al ministro per gli Affari strategici israeliano, Ron Dermer, chiarezza e trasparenza sull’operazione. Intanto da Teheran avvisano: «La Repubblica islamica raderebbe al suolo in meno di 10 minuti le città israeliane di Tel Aviv e Haifa se Israele dovesse reagire ai recenti attacchi missilistici».
«No armi». E il Qatar premia Macron
Dopo aver dichiarato «Basta armi», invitando l’Occidente a non sostenere le operazioni di Israele, il presidente francese, Emmanuel Macron, in occasione dell’anniversario del 7 ottobre, ha dovuto abbassare i toni e fare un gesto di distensione verso il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, anche se le reali intenzioni di Parigi sembrano aver poco a che fare con la pace e molto con precisi interessi geopolitici.
Riavvolgendo il nastro, i bombardamenti israeliani in Libano avevano colpito degli impianti petroliferi francesi proprio dopo che Bibi non aveva preso bene le dichiarazioni del capo dell’Eliseo. Non solo, dopo lo sgambetto francese, il premier israeliano aveva replicato senza mezzi termini: «Il presidente Macron e altri leader occidentali stanno richiedendo l’embargo di armi contro Israele. Si devono vergognare».
Ne è seguita una telefonata, la scorsa domenica, con toni di apparente cautela, in cui il capo dell’Eliseo ha voluto sbandierare «l’incrollabile impegno» di Parigi alla sicurezza di Gerusalemme, pur riconoscendo che ora i tempi sono maturi per un cessate il fuoco a Gaza e in Libano. Dichiarazioni a cui Netanyahu avrebbe risposto un po’ piccato: «Ci si aspetta che gli amici d’Israele lo sostengano e non che gli impongano restrizioni che rafforzerebbero solamente l’asse del male iraniano», concludendo che la lotta a Hezbollah è necessaria per «cambiare la realtà» in Libano. In occasione delle commemorazioni del 7 ottobre, il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, era stato in visita proprio in Israele, per rendere omaggio alle vittime del massacro di Hamas, tra cui 65 cittadini transalpini. Durante la cerimonia ha depositato un mazzo di rose bianche, dichiarando che «la Francia non abbandonerà mai i suoi compatrioti e non smetterà mai di chiedere ad Hamas il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi».
In realtà dietro le dichiarazioni di Macron sullo stop alla fornitura di armi a Israele si intravede una contropartita che riguarda il Qatar. Doha si è infatti impegnata, tramite un accordo di partnership strategica, a fornire 10 miliardi di euro a Parigi che saranno incanalati in startup e in fondi di investimento francesi tra il 2024 e il 2030. Già a febbraio di quest’anno, l’emiro qatarino Tamim bin Hamad Al Thani aveva incontrato Macron in Francia: non si trattava solo della prima visita dell’emiro ma della prima visita di Stato a Parigi dopo 15 anni. In occasione dell’incontro, il primo ministro francese di allora, Gabriel Attal, insieme al suo omologo del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, avevano presieduto un forum economico sulle opportunità di investimento tra i due Paesi in materia di decarbonizzazione, Intelligenza artificiale, semiconduttori, sanità e biotecnologie.
Si tratta quindi di un’occasione che la fornitura di armi a Israele avrebbe potuto ostacolare, dato che l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani è all’opposto della posizione israeliana sul conflitto. Ed è stato proprio lui, la scorsa settimana, ad aver ospitato a Doha il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, e ad aver accusato Israele di compiere un «genocidio collettivo». Doha ha dunque accolto favorevolmente la decisione di Macron e infatti, nella pagina X del ministero degli Esteri del Qatar, è comparsa subito una nota in cui si afferma: «Lo Stato del Qatar accoglie la richiesta del presidente francese, Emmanuel Macron, di fermare la consegna di armi all’occupazione israeliana per combattere a Gaza e lo considera un passo importante e gradito per fermare la guerra». Un passo gradito anche per gli interessi dei transalpini.
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La rivelazione del giornalista del Watergate, Woodward, inguaia il presidente Usa. Fermata la missione di Gallant a Washington. Troupe del «Tg3» aggredita, l’autista muore d’infarto. Edificio colpito a Damasco.Dopo l’apprezzamento di Doha per l’invito dell’Eliseo a non sostenere più le azioni di Gerusalemme, arriva un accordo: 10 miliardi per startup e fondi d’investimento.Lo speciale contiene due articoli.L’Idf ha annunciato ieri l’allargamento dell’operazione militare terrestre limitata, localizzata e mirata nella parte Sud occidentale del Libano, dove ai soldati delle unità permanenti 36, 91 e 98, si sono uniti quelli della divisione di riserva, portando il contingente a oltre 15.000 uomini. Finora, infatti, da quando lo scorso 30 settembre le truppe dello Stato ebraico fecero ingresso nel Paese dei cedri, le battaglie si erano concentrate sul lato orientale del confine. Alcuni soldati sono stati ripresi mentre issavano una bandiera israeliana nel villaggio di Maroun al-Ras. La brigata Golani delle forze di difesa israeliane ha sfondato la resistenza dei miliziani di Hezbollah nel villaggio di Maroun al-Ras, dove è stato bloccato un lanciatore pronto a far partire razzi verso il Nord di Israele e sono stati distrutti tunnel e diverse armi tra cui missili anticarro.Proprio qui ha sede la base delle forze di pace Onu Unifil, dove è in missione anche il contingente italiano. Al Jazeera ha pubblicato diverse immagini satellitari in cui si vedono circa 40 veicoli militari posizionati attorno al quartier generale della missione dei caschi blu. Un portavoce di Hezbollah ha riferito che i miliziani presenti in quella zona hanno aperto il fuoco per allontanare i militari israeliani dietro la striscia di confine. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha definito la situazione in Libano «molto preoccupante,» ha immediatamente sentito al telefono il suo omologo israeliano, Israel Katz, a cui ha chiesto di assicurare la massima tutela al contingente italiano Unifil e che venga tenuto fuori dagli scontri con Hezbollah.In serata è giunta la notizia di un edificio colpito da Israele anche a Damasco, in Siria. Massima allerta e tensione si sono registrate anche a Beirut dove continuano i bombardamenti giorno e notte. Il media libanese Al Mayadeen ha riferito che nelle ultime 24 ore Israele ha sferrato 26 attacchi aerei nella periferia meridionale della Capitale. In uno di questi, a Dahiyeh, una delle roccheforti di Hezbollah, l’esercito israeliano ha confermato di aver colpito diversi obiettivi e di aver eliminato Suhail Hussein Husseini, comandante del quartier generale del Partito di Dio a Beirut e considerato colui che gestiva la distribuzione delle armi tra le varie unità della milizia sciita. A essere coinvolta nei combattimenti è stata anche una troupe del Tg3, aggredita mentre viaggiava in auto nei pressi di Sidone: a testimoniare l’episodio in cui ha perso la vita l’autista locale, morto a causa di un infarto, è stata direttamente l’inviata Rai Lucia Goracci: «Eravamo in un villaggio a Nord di Sidone, sul luogo di un bombardamento. È spuntato un uomo che ha aggredito l’operatore Marco Nicois, tentando di strappargli la telecamera», ha raccontato la giornalista al telegiornale. «Siamo andati via veloci in auto, ma quest’uomo ci stava seguendo e quando l’autista si è fermato a un distributore, ormai eravamo fuori dal Paese, ci è venuto addosso, ha strappato le chiavi, ha tentato di distruggere la telecamera mentre nessuno ci veniva in aiuto. L’autista, che cercava di spiegare e convincere gli aggressori è mancato, caduto in terra. Siamo corsi in ospedale e ci hanno detto che era morto dopo lunghi tentativi di rianimarlo». Nel frattempo, la popolazione civile libanese prosegue nel suo esodo: da quando sono iniziati i combattimenti, fa sapere il governo, oltre 400.000 persone sono fuggite in Siria e 1,2 milioni sono state sfollate. Ai civili libanesi si è rivolto Benjamin Netanyahu, il quale ha confermato la morte di Hashem Safieddine e ha invitato i cittadini a liberarsi da Hezbollah per porre fine alla guerra. Il premier israeliano ha anche messo in stand by la visita negli Usa del ministro della Difesa. Yoav Gallant. Prima vuole parlare con Joe Biden, che però è al centro di un caso, visto che il famoso giornalista del Watergate, Bob Woodward, ha rivelato nel suo ultimo libro: «Il presidente ha definito Netanyahu un figlio di p... e un cattivo fottuto re». Nel frattempo i vertici di Hezbollah hanno affermato che l’elezione del successore di Hassan Nasrallah avverrà il prima possibile, rivendicando l’ennesimo lancio di razzi verso il Nord di Israele. Il Comando del fronte interno delle forze israeliane ha rafforzato le misure di sicurezza chiudendo tutte le scuole, eccetto quelle che dispongono di rifugi che possono essere raggiunti velocemente in caso di attacco annunciato dalle sirene antiaereo. «Il nemico mente sulle nostre capacità e sulle perdite che dice di infliggerci. Stiamo bene e siamo capaci di rispondere», ha detto l’attuale numero due di Hezbollah Naim Qassem. «Guardate quel che succede lungo la linea frontaliera, siamo sul terreno e i nostri combattenti dimostrano la loro bravura. Noi siamo qui e rimaniamo qui. Li aspettiamo corpo a corpo».Per quanto riguarda invece l’attesa risposta di Israele all’Iran, dagli Stati Uniti è filtrata diffidenza nei confronti della strategia israeliana, con il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, che ha chiesto al ministro per gli Affari strategici israeliano, Ron Dermer, chiarezza e trasparenza sull’operazione. Intanto da Teheran avvisano: «La Repubblica islamica raderebbe al suolo in meno di 10 minuti le città israeliane di Tel Aviv e Haifa se Israele dovesse reagire ai recenti attacchi missilistici».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/idf-offensiva-libano-2669365521.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="no-armi-e-il-qatar-premia-macron" data-post-id="2669365521" data-published-at="1728470319" data-use-pagination="False"> «No armi». E il Qatar premia Macron Dopo aver dichiarato «Basta armi», invitando l’Occidente a non sostenere le operazioni di Israele, il presidente francese, Emmanuel Macron, in occasione dell’anniversario del 7 ottobre, ha dovuto abbassare i toni e fare un gesto di distensione verso il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, anche se le reali intenzioni di Parigi sembrano aver poco a che fare con la pace e molto con precisi interessi geopolitici. Riavvolgendo il nastro, i bombardamenti israeliani in Libano avevano colpito degli impianti petroliferi francesi proprio dopo che Bibi non aveva preso bene le dichiarazioni del capo dell’Eliseo. Non solo, dopo lo sgambetto francese, il premier israeliano aveva replicato senza mezzi termini: «Il presidente Macron e altri leader occidentali stanno richiedendo l’embargo di armi contro Israele. Si devono vergognare». Ne è seguita una telefonata, la scorsa domenica, con toni di apparente cautela, in cui il capo dell’Eliseo ha voluto sbandierare «l’incrollabile impegno» di Parigi alla sicurezza di Gerusalemme, pur riconoscendo che ora i tempi sono maturi per un cessate il fuoco a Gaza e in Libano. Dichiarazioni a cui Netanyahu avrebbe risposto un po’ piccato: «Ci si aspetta che gli amici d’Israele lo sostengano e non che gli impongano restrizioni che rafforzerebbero solamente l’asse del male iraniano», concludendo che la lotta a Hezbollah è necessaria per «cambiare la realtà» in Libano. In occasione delle commemorazioni del 7 ottobre, il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, era stato in visita proprio in Israele, per rendere omaggio alle vittime del massacro di Hamas, tra cui 65 cittadini transalpini. Durante la cerimonia ha depositato un mazzo di rose bianche, dichiarando che «la Francia non abbandonerà mai i suoi compatrioti e non smetterà mai di chiedere ad Hamas il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi». In realtà dietro le dichiarazioni di Macron sullo stop alla fornitura di armi a Israele si intravede una contropartita che riguarda il Qatar. Doha si è infatti impegnata, tramite un accordo di partnership strategica, a fornire 10 miliardi di euro a Parigi che saranno incanalati in startup e in fondi di investimento francesi tra il 2024 e il 2030. Già a febbraio di quest’anno, l’emiro qatarino Tamim bin Hamad Al Thani aveva incontrato Macron in Francia: non si trattava solo della prima visita dell’emiro ma della prima visita di Stato a Parigi dopo 15 anni. In occasione dell’incontro, il primo ministro francese di allora, Gabriel Attal, insieme al suo omologo del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, avevano presieduto un forum economico sulle opportunità di investimento tra i due Paesi in materia di decarbonizzazione, Intelligenza artificiale, semiconduttori, sanità e biotecnologie. Si tratta quindi di un’occasione che la fornitura di armi a Israele avrebbe potuto ostacolare, dato che l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani è all’opposto della posizione israeliana sul conflitto. Ed è stato proprio lui, la scorsa settimana, ad aver ospitato a Doha il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, e ad aver accusato Israele di compiere un «genocidio collettivo». Doha ha dunque accolto favorevolmente la decisione di Macron e infatti, nella pagina X del ministero degli Esteri del Qatar, è comparsa subito una nota in cui si afferma: «Lo Stato del Qatar accoglie la richiesta del presidente francese, Emmanuel Macron, di fermare la consegna di armi all’occupazione israeliana per combattere a Gaza e lo considera un passo importante e gradito per fermare la guerra». Un passo gradito anche per gli interessi dei transalpini.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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