
Condannati in Appello i capi di una rivolta scatenata per dirottare una nave. L'assoluzione era viziata da una interpretazione «criminogena» della legittima difesa. Le toghe smontano tutte le teorie sui profughi bisognosi: «Sono clandestini, non naufraghi». All'inizio di luglio del 2018, la nave Vos Thalassa, gestita dalla Vroon Offshore services srl di Genova e in servizio presso una piattaforma petrolifera della compagnia francese Total, si trovò a recuperare 67 migranti all'interno della zona Sar libica. Coordinandosi con la Guardia costiera italiana, la nave si avviò verso la Libia, per riportare gli aspiranti profughi al punto di partenza. Ma ben presto iniziarono i problemi. Era una domenica sera, e i responsabili della nave comunicarono alle autorità italiane che i migranti a bordo avevano «mostrato segni di rivolta». Quando la Vos Thalassa si mosse in direzione delle coste libiche, dissero gli armatori, «qualcuno dei migranti in possesso di telefoni e Gps ha accertato che la nave dirigeva verso Sud. È iniziato così uno stato di agitazione. I migranti in gran numero dirigevano verso il marinaio di guardia chiedendo spiegazioni in modo molto agitato e chiedendo di poter parlare con qualche ufficiale o comandante». Sulle prime sembrò che a dare fuoco alle polveri fossero stati in 60 e che a bordo ci fosse stata una rivolta di grandi proporzioni. Parlando con La Verità, però, un responsabile della Vroon Offshore spiegò che la situazione era stata «pesantemente ingigantita» e che non c'erano «state insurrezioni né pestaggi». Alla fine si scoprì che i «ribelli» erano una decina, e che a dare il via a tutto erano stati in due: un sudanese e un ghanese. In ogni caso, i 67 migranti in Libia non ci tornarono mai. Dalla Vos Thalassa furono trasferiti sulla nave Diciotti e portati in Italia, dove i due facinorosi furono arrestati e condotti in carcere, per essere poi mandati a processo con l'accusa di violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Circa un anno dopo, nel giugno del 2019, accadde qualcosa di incredibile. Il giudice di Trapani mandò assolti entrambi gli stranieri. A suo dire, infatti, la ribellione di costoro era da considerarsi legittima difesa. Scrisse il giudice: «Erano in gioco, da una parte, il diritto alla vita e a non essere sottoposti a trattamenti disumani o di tortura, dall'altra il diritto alla autodeterminazione dell'equipaggio sicuramente sacrificabile». Di fronte a questa decisione, i tifosi delle frontiere aperte andarono in estasi. Il giudice stabiliva che gli stranieri avessero il diritto di ricorrere alle maniere forti qualora le autorità italiane tentassero di rispedirli in Libia. In pratica ogni tentativo di fermare gli sbarchi veniva vanificato con un tratto di penna. Qualche giorno fa, però, a questa surreale vicenda si è aggiunto un altro capitolo. La Corte d'appello di Palermo ha ribaltato la sentenza del giudice trapanese. La notizia è passata praticamente sotto silenzio, se si esclude un trafiletto del Corriere della Sera. Tuttavia Paolo Padoin, ex prefetto di Firenze, ne ha colto l'enorme importanza e l'ha ampiamente commentata su Firenze Post. A suo dire, l'assoluzione in primo grado è stata «l'ennesima prova della benevolenza della magistratura siciliana nei confronti dei clandestini». L'appello invece dimostra che «ogni tanto si trovano giudici che [...] giudicano senza farsi condizionare e sviare da concezioni politiche personali o interpretazioni sociologiche con pulsioni terzomondiste». I giudici di Palermo in effetti ci vanno pesanti. Definiscono i migranti «clandestini», poi spiegano che la sentenza di assoluzione è stata caratterizzata da un «approccio ideologico» e da una interpretazione «criminogena» della «legittima difesa applicata al diritto del mare». Di più: per i giudici della Corte d'appello, assolvere gli stranieri rivoltosi potrebbe «creare pericolose scorciatoie» e giustificare «condotte dotate di grande disvalore penale ai limiti dell'ammutinamento». Il ragionamento è cristallino: se si stabilisce che è «legittima difesa» ricorrere alla forza per non farsi riportare in Libia, allora «chiunque potrebbe partire dalle coste libiche con un barcone e farsi trasbordare da una unità italiana, sicuro di potere minacciare impunemente l'equipaggio qualora esso dovesse disobbedire a un ordine impartito dalla Guardia costiera di uno Stato (la Libia, ndr) che, piaccia o no, è riconosciuto internazionalmente». I giudici palermitani aggiungono altre considerazioni ancora più clamorose. Scrivono che «i migranti si posero in stato di pericolo volontariamente», e che «venne creata artificiosamente una situazione di necessità (la partenza su un barcone di legno) atta a stimolare un soccorso che conducesse all'approdo in suolo italiano dei clandestini e al perseguimento del fine dell'organizzazione». In sostanza, questa sentenza smonta tutte le teorie immigrazioniste sui «naufraghi» bisognosi. Il risultato è che i due stranieri sono stati ora condannati a 3 anni e 6 mesi. Se fosse sempre applicato questo metro di giudizio, forse l'Italia avrebbe meno guai con l'accoglienza.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






