2018-05-12
Che spettacolo i Vip di sinistra che piangono sull’intesa
gialloverde
Allearsi con Salvini? Quello della ruspa? Quello del giubbotto di Casa Pound? Quello che vuol cacciare i clandestini? Quello che vuol chiudere i campi rom? La filosofa Roberta De Monticelli deve essere andata a un passo dal mancamento: «Salvini è un ideologo dagli istinti tribali», ha sentenziato inorridita, rischiando di perdere i sensi per la rabbia. Si era appena accorta, infatti, che l'«ideologo dagli istinti tribali», adesso sta per andare al governo con i 5 stelle. Proprio quei 5 stelle in cui lei, fino a qualche giorno fa, riponeva tanta fiducia. Come reagire? «Non vi stimo più», ha dichiarato offesa su Facebook. Anzi, ha scoperto che non li stimava nemmeno prima. Era un'«ipotesi di stima», ecco. E in ogni caso «pur sempre perplessa». Li stimava ma a sua insaputa. E l'attore Ivano Marescotti? Non si dà pace. Da settimane proclama il suo voto a favore dei 5 stelle, «vera anima della sinistra». Ha spiegato in ogni modo e in ogni luogo che votava Luigi Di Maio da comunista, per far rinascere la lotta di classe, e quello che ti fa? Si mette a trattare con quel «fascistello del ventunesimo secolo»? Roba da matti. Per fortuna Marescotti, che è tipo geniale, ha trovato la soluzione: «Ritiro il mio voto», ha annunciato. Ma certo, come no? È noto che il voto si ritira, un po' come i risparmi alle poste. E già ce lo vediamo il buon Marescotti con lo scolapasta in testa e il certificato elettorale in mano davanti agli uffici del Comune: «Voglio ritirare il mio voto, ridatemelo indietro o vi denuncio per appropriazione indebita». Signori, che spettacolo. Se c'è una cosa che merita davvero i pop corn, con buona pace di Renzi, è lo show delle vedovelle della sinistra a 5 stelle: speravano di trovare nei grillini l'anima della nuova sinistra, invece ci hanno trovato Salvini. Proprio non riescono a capacitarsi del fatto che Di Maio anziché mettersi a cantare Bandiera rossa inneggiando la rivoluzione cubana, si metta a discutere di governo con i leghisti. Alcuni reagiscono in modo scomposto, al limite delle minacce: «Ne usciranno con le ossa rotte», «Infami», «Non mi avranno più». Pietosamente il consigliere 5 stelle di Torino, Marco Chessa, annuncia di aver avviato i «gruppi di sostegno per i pentastellati di sinistra». Un po' come quelli per alcolisti anonimi. Più caustica Ellekappa su Repubblica: «Chissà come si sentono quelli così tanto di sinistra che hanno votato per i 5 stelle», dice il protagonista della sua vignetta. E l'altro risponde: «Come se gli fosse passata sopra una ruspa». Ecco, la ruspa di Salvini. Il leader della Lega infierisce: si fa fotografare di nuovo accanto a una di quelle macchine schiacciatutto e per le vedovelle grillo-chic è un altro colpo al cuore. Ma come? Non dovevamo rifare il Pci? Di Maio non era un bolscevico vestito da prima comunione? E la piattaforma Rousseau non è la riedizione della Terza Internazionale? I meet up non erano soltanto dei girotondi 2.0? E allora perché anziché con Nanni Moretti e Pancho Pardi si finisce per ballare con la ruspa di Salvini? Dov'è l'errore? Tomaso Montanari, uno che di quel mondo è stato anche portavoce, arriva a rivoluzionare le leggi dei colori: «Verde più giallo fa nero», sentenzia inorridito. Di rosso, nemmeno l'ombra. E questo fa perdere l'aplomb anche a Paolo Flores d'Arcais, per il quale l'intesa 5 stelle-Lega è «abominevole». Come l'uomo delle nevi.Ma sì, siamo di fronte allo Yeti della politica, l'abominevole mostro gialloverde. E le personcine della sinistra elegante, che non si sono ancora riprese dopo aver perso le elezioni a Capalbio, non riescono a farsene una ragione. «Salvini rappresenta il lepenismo», insiste ancora Flores D'Arcais. E poi accusa: il leader leghista «tratta a nome di Berlusconi»… Ecco l'altra infamia dei 5 stelle: non solo, anziché riesumare Fausto Bertinotti e Nichi Vendola, fanno un governo con Salvini, ma lo fanno pure dopo che quest'ultimo ha avuto il via libera a trattare da Arcore. Scatta l'«allerta Caimano», è tutto un inseguirsi di «ombre del Cavaliere», «possibili ricatti», «prove del nove da dare» e «rospi da ingoiare». Al Fatto quotidiano organizzano una pagina per raccogliere pareri sull'intesa e sono tutti fortemente contrari: Luisella Costamagna parla di «un'alba grigia», Aldo Giannuli di «scelta dissennata», Domenico De Masi di evento «disastroso». Il sociologo, intervistato da Repubblica, si spinge anche oltre: «È un giorno funebre», piagnucola con cipiglio da obitorio. E poi paventa il rischio del «governo più a destra della nostra storia, più del governo Tambroni». Con una differenza: del governo Tambroni, De Masi non fu l'ideologo. Di questo un po' sì. E allora pensate che roba scoprirsi il temuto fascismo dentro di sé. Una mattina mi sono svegliato e ho trovato l'invasor. O bella ciao. Solo che, stavolta, l'invasore è l'alleato di governo. Il compagno dei compagni. Ora dunque, per la nuova resistenza della sinistra chic, si pone un problema mai visto prima: si possono ritirare i voti (come vuole fare Marescotti), si possono ritirare le idee, si possono anche ritirare gli attestati di stima declassandoli a «ipotesi», ma resta il fatto che Di Maio, come diceva Eugenio Scalfari, doveva incarnare la rinascita della sinistra, la risposta proletaria al renzismo, avanti populismo alla riscossa, bandiera rossa la trionferà. Ci avevano creduto tanto. Ci avevano investito tanto. Perfino con trasporto. E adesso lui che fa? Va con i «fascistelli»? Si fa sedurre dagli «istinti tribali»? Povere vedovelle: se nasce il governo, muore una speranza. La via grillina al comunismo è definitivamente interrotta. Pensavano fosse amore, e invece era soltanto una ruspa.