2021-01-24
I vescovi Usa pro vita, in Europa pro islam
Mentre i prelati statunitensi ribadiscono al nuovo presidente i principi che stanno loro più a cuore, al di là dell'Oceano il cardinale Claude Hollerich protesta per la legge danese che impone sermoni in lingua nazionale. Un atto soprattutto anti radicalismo musulmano.Il presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha proclamato Giornata della sacralità della vita umana il 22 gennaio, la stessa data in cui nel 1973 veniva pronunciata negli States la storica sentenza Roe vs. Wade, che spalancava le porte dell'aborto in tutti gli Stati Uniti. Ebbene, ieri l'altro, il «cattolico» Joe Biden aveva una doppia scelta, poteva celebrare la sacralità della vita umana sulla scia del predecessore, oppure ricordare la famosa sentenza abortista: ha scelto la seconda, insieme alla vice Kamala Harris. Eppure durante la sua prima conferenza stampa il portavoce di Biden, Jen Psaki, aveva chiarito, rispondendo a una domanda su come il neo presidente si sarebbe mosso sul tema aborto, che «è un cattolico devoto» e va regolarmente a messa. «Ma non ho niente altro da dire su questo», aveva concluso il portavoce. Infatti, il «devoto» Biden, che va sempre a messa, il 22 gennaio ha rilasciato una dichiarazione che spiega bene quali politiche si intendono mettere in atto sul tema aborto: «L'amministrazione Biden-Harris», si legge nella dichiarazione, «si impegna a codificare la sentenza Roe v. Wade e nominare giudici che rispettano i precedenti fondamentali» rappresentanti appunto da questa sentenza. La motivazione è che il duo Biden-Harris è «profondamente» impegnato «a garantire che tutti abbiano accesso alle cure, inclusa l'assistenza per la salute riproduttiva», fra cui evidentemente rientra anche l'aborto. I vescovi cattolici statunitensi però hanno subito risposto, sulla scia di quanto avevano già fatto nella loro prima dichiarazione che conteneva critiche a Biden proprio «per quanto riguarda l'aborto, la contraccezione, il matrimonio e le teorie di genere». La nota, a firma di Joseph F. Naumann, vescovo di Kansas City e presidente del Comitato per la vita dei vescovi americani, fa cadere gli altarini del «devoto» Biden: innanzitutto si dice che la sentenza Roe vs Wade «nega ai bambini non nati il loro diritto umano e civile più fondamentale, il diritto alla vita, sotto la maschera eufemistica di un servizio sanitario»; quindi l'affondo al cattolico adulto, laddove si afferma che «i funzionari pubblici sono responsabili non solo delle loro convinzioni personali, ma anche degli effetti delle loro azioni pubbliche» (ricordando peraltro al presidente che «dal primo secolo la Chiesa ha affermato il male morale di ogni aborto procurato. Questo insegnamento non è cambiato e rimane immutabile»). La risposta dei vescovi americani è netta, e passa sopra anche a presunte frenate della Santa Sede rispetto a un atteggiamento ritenuto troppo «aggressivo» nei confronti della nuova amministrazione Usa. L'Oceano si allarga sempre di più, e il Vaticano e i vescovi americani sono testimoni di una divisione profonda che abita l'episcopato mondiale su alcuni temi fondamentali dell'impianto antropologico cristiano. La questione della retrocessione dei cosiddetti «principi non negoziabili» (vita, famiglia, libertà educativa) a «principi fra gli altri» è una precisa scelta, che in teoria dovrebbe affossare i vescovi culture warrior dediti alla retorica di questi principi, ma che in realtà affonda anche il paradigma teologico dei mali morali assoluti e l'impianto della dottrina sociale della chiesa. Mentre i vescovi americani tengono il punto sulla caratteristica fondativa e irrinunciabile che alcuni principi hanno sulla dottrina sociale, e vengono attaccati per questo anche dall'interno, ecco che nella vecchia Europa il presidente della Commissione degli episcopati dell'Unione europea (Comece), cardinale Claude Hollerich, si fa paladino della libertà religiosa su un provvedimento che in realtà pare rivolto al contrasto del radicalismo. Si tratta della legge in discussione in Danimarca che imporrebbe alle comunità religiose di tenere le omelie e i sermoni solo in lingua danese o comunque disponibili in traduzione. Il provvedimento nasce chiaramente per evitare che comunità fondamentaliste possano incitare alla violenza senza controllo, ma a protestare sono appunto i cattolici, con una posizione che assume sapore ideologico visto che le comunità cattoliche locali che celebrano la liturgia nella lingua d'origine sono numericamente poca cosa. La difesa a nome della libertà religiosa da parte del cardinale mette così il dito nella piaga sull'approccio della Chiesa al fenomeno immigrazione e dell'immigrazione islamica in particolare. Un'accoglienza che sembra essere diventata un «non negoziabile» pur trattandosi di una materia in cui l'agire laico e prudente della politica può mettere in campo diverse soluzioni. L'approccio inclusivo è diventato un refrain, come anche la difesa dell'ambiente, ambiti senz'altro importanti, ma appunto aperti a soluzioni diverse. La difesa della vita è «non negoziabile», e non solo nell'intima coscienza, perché, dice la dottrina, non può avere soluzioni alternative, a meno che non si voglia cadere nell'assurdo tour de force messo in campo da un amministratore della pagina Facebook del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II sotto a un post, poi ritirato. «Difendere il diritto all'aborto», si leggeva nel commento, «non significa difendere l'aborto». Se questa fosse l'essenza del cattolico «adulto», o del presidente «devoto», il compianto cardinale Giacomo Biffi aveva una definizione simpatica per comprenderla. Si tratta, diceva, di quelli che «smantellano l'ovile per convivere coi lupi».