2022-12-02
I tagli fatti dal Pd? Per «Repubblica» è riordino sanitario
Mario Monti e Michele Emiliano
Con il nuovo governo, il quotidiano strilla sulla situazione disastrata. Ma ha sempre giustificato il crollo dell’assistenza.Ha tirato per la giacchetta anche il neoministro della Salute, perché confermasse un diritto sancito dalla nostra Costituzione. «L’assistenza va assicurata a tutti, non solo a chi può permettersi di andare nel privato», era ovvio che affermasse Orazio Schillaci. L’operazione anti governo Meloni di Repubblica si allarga sul terreno facile della sanità disastrata, prefigurando il trionfo del privato sul pubblico se non c’è inversione di rotta. Facile, in quanto non richiede grandi investigazioni considerati i problemi che si sono accumulati in un decennio di 37 miliardi di euro di tagli, ma dei quali non si può attribuire la responsabilità a un esecutivo in carica da 5 settimane. Come ha scritto il direttore Belpietro nell’editoriale di ieri, non è credibile accorgersi dell’emergenza sanitaria solo ora, quando il Pd è finito all’opposizione. Suona falso, elencare i disservizi, i vergognosi tempi di attesa nel pubblico e i soldi ingiustamente spesi dai cittadini per visite e cure private, quando alla Salute non c’è più il ministro Roberto Speranza. Non ricordiamo inchieste di Repubblica dall’allarmante titolo «dove andrà a finire la sanità pubblica?», malgrado i dati che a fatica, dallo scorso anno, cominciavano a uscire nell’emergenza Covid, delineando il crollo dei servizi, delle prestazioni, dell’assistenza in ospedali e ambulatori. Ricordiamo, però, che negli anni abbiamo letto articoli acritici sui tagli, operati anche in territori governati dalla sinistra. «Regione Puglia, ecco la nuova mappa della sanità: spariranno nove ospedali. Ma non si perderà un solo posto letto», titolava il 19 febbraio 2016 il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. In articoli successivi, dava conto della tranquillità del presidente Michele Emiliano che sul piano di riordino, contestato da medici e sindacati, rassicurava: «Non mi farò condizionare». I tagli avvennero, rispettando «un percorso nazionale, complesso di adeguamento a degli standard omogenei di assistenza, qualità, sicurezza, efficacia non solo in termini economici finanziari», lo definiva su Repubblica il direttore del dipartimento promozione salute della Regione Puglia, Giovanni Gorgoni. In realtà, «del piano di riordino nulla di quanto previsto è stato realizzato», segnalava lo scorso maggio Giuseppe Lacorte, segretario generale aggiunto della funzione pubblica Cisl Taranto Brindisi. Solo a Brindisi, il «saldo negativo è di 124 posti letto», protestava. Su Repubblica, non sono usciti articoli di condanna per i tagli operati dalla giunta Pd, non accompagnati dalle attivazioni promesse. Un anno prima, il 10 dicembre 2015, lo stesso quotidiano annunciava i tagli dei posti letto nella Regione Emilia Romagna con il rassicurante titolo: «Sanità, riordino ospedaliero». Non c’era allarme, non si prospettavano preoccupanti fughe verso strutture private, solo una tranquilla operazione di riorganizzazione che però prevedeva ben 815 posti in meno negli ospedali pubblici entro il 31 dicembre 2016. Sempre di tagli si parlava anche nel Lazio, il 13 settembre 2013, quando Giuseppe Casolaro, definito dal quotidiano «tra i più attenti osservatori della sanità regionale», dichiarava a Repubblica: «Per il riordino della rete ospedaliera va definito il numero degli altri posti letto da tagliare, provincia per provincia, centro per centro, e i nuovi direttori generali dovranno essere all’altezza del loro compito, lavorando con rigore per il rientro dal deficit ma senza penalizzare la qualità dell’assistenza». Rigore, efficienza. Termini che si preferiva utilizzare per far passare come necessarie, inevitabili delle cancellazioni che stiamo invece scontando su tutto il territorio. Nell’agosto 2001, durante il secondo governo Berlusconi, l’allora neoministro della Salute Girolamo Sirchia annunciava la volontà di ridurre l’inefficienza di interi reparti con dei tagli. «A fronte di un centinaio di ospedali all’altezza, manteniamo una dispersione di piccoli nosocomi inadeguati, qualcosa come novecento luoghi di ricovero “alla buona”», dichiarava alla testata che ha sede a Largo Fochetti. Repubblica non si indignò, per quel proposito di quasi azzeramento delle strutture operanti sul territorio.Due anni fa, ha dato ampio spazio a uno studio dell’Osservatorio conti pubblici italiani diretto da Carlo Cottarelli, in cui si tentava di giustificare i tagli. «La generale necessità di contenere il deficit pubblico cresciuto molto nel 2009-10, indussero i governi a mettere un freno alla spesa anche attraverso piani di rientro finanziari, introduzione dei costi standard, eliminazioni di sprechi in alcune regioni, blocco del turnover», si leggeva su la Repubblica. E sempre in modo acritico, veniva riportata l’analisi secondo cui «alla drastica correzione dei disavanzi non è seguito un peggioramento dei servizi offerti al cittadino; sono stati eliminati molti sprechi specie nelle Regioni meridionali e si è affermato un principio di adeguatezza delle prestazioni». Non è andata esattamente così. Purtroppo è sotto gli occhi di tutti, ma da prima di questo governo.