2020-07-02
I cassintegrati aspettano ancora. Agli immigrati arrivano 170 milioni
Nei giorni scorsi il Viminale ha prorogato fino alla fine dell'anno i progetti di accoglienza del Siproimi e ha provveduto a elargire ai Comuni i fondi relativi ai primi sei mesi del 2020: in tutto sono 340 milioni.L'Inps non mantiene le promesse. In 17.000 senza soldi da marzo. A fine mese possibile l'offensiva dei renziani in Parlamento.Lo speciale contiene due articoli.Mentre 17.000 lavoratori non hanno ancora visto un euro della cassa integrazione di marzo (dati Inps), i soldi per gli immigrati ci sono. Il Viminale conferma i progetti dei Comuni: in tutto 340 milioni.Quando fa comodo, sembra di capire, i soldi si trovano eccome. Magari mancano per concedere un sostegno ai liberi professionisti. Oppure svaniscono se c'è da pagare la cassa integrazione. Però, quasi miracolosamente, ricompaiono quando ci sono di mezzo i migranti. Il fatto è che il governo ha appena messo a disposizione la bellezza di 170 milioni di euro allo scopo di «garantire la prosecuzione dei progetti di accoglienza fino al 31 dicembre 2020». In virtù dell'emergenza Covid, infatti, i vari progetti di accoglienza che risultavano in scadenza al 30 giugno sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2020, e i milioni di cui sopra sono la cifra necessaria a foraggiare il sistema fino alla fine dell'anno. A rendere effettivi i finanziamenti ci ha pensato un decreto firmato dal ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, il 18 di giugno. La responsabile del Viminale, in realtà, ha semplicemente accolto le indicazioni contenute nel decreto Cura Italia, il quale prevedeva appunto un rifinanziamento dei cosiddetti «progetti Siproimi». Stiamo parlando del «Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati». Sostanzialmente, il Siproimi è il sistema che, fino al 2018, si chiamava Sprar, e di cui tanto spesso si è discusso sui giornali e in Parlamento. L'accesso a questo sistema, si legge sul sito ufficiale, «è riservato ai titolari di protezione internazionale e a tutti i minori stranieri non accompagnati. Inoltre, la nuova disposizione normativa prevede che possano accedere ai servizi di accoglienza integrata del Siproimi anche i titolari di permesso di soggiorno per: vittime di violenza o tratta, vittime di violenza domestica, motivi di salute, vittime di sfruttamento lavorativo, calamità, atti di particolare valore civile». Insomma, i soldi stanziati dal Viminale dovrebbero servire a garantire «l'integrazione» dei migranti. I 170 milioni appena stanziati saranno spartiti fra 501 progetti diversi attivi su tutto il territorio nazionale. Al Comune di Agrigento, ad esempio, arriveranno 991.713,51 euro, a quello di Pistoia 512.764 e via di questo passo. Tali denari saranno erogati in due tranche: la prima dovrebbe essere pagata a settembre, la seconda alla fine dell'anno, sempre a partire dalle rendicontazioni fornite dagli enti locali che gestiscono l'accoglienza. Stando ai dati forniti dal Viminale martedì, allo stato attuale il Siproimi accoglie 22.299 persone tra rifugiati e minori non accompagnati. Facendo un calcolo spannometrico, dunque, potremmo dedurre che ciascun migrante nei prossimi sei mesi ci costerà circa 7.623 euro. Cifre del genere, anche se non mostruose, in questo momento diventano comunque rilevanti. E infatti stanno già spuntando le prime polemiche. Un piccolo esempio. Al Comune di Porto Sant'Elpido (vicino a Fermo) sono stati assegnati 277.000 euro. Il consigliere di Fratelli d'Italia, Andrea Putzu, ha calcolato che questa cifra corrisponde a circa 1.250 euro al mese per ogni straniero in accoglienza. Solo che, dice il consigliere di Fdi, a Porto Sant'Elpido «sono state rigettate quasi 400 richieste di buoni spesa perché mancavano i fondi e ci sono centinaia di lavoratori che ancora attendono la Cig». Il ragionamento è chiaro, e pure condivisibile: niente buoni spesa, niente cassa integrazione, però i soldi per il Siproimi arrivano. C'è un altro particolare interessante. Non solo sono stati disposti dal Viminale i finanziamenti (170 milioni) per i prossimi sei mesi. Ma, stando a quanto dichiarato dall'Anci (l'associazione dei Comuni), il governo ha provveduto a liquidare - «nei tempi previsti» - i soldi dovuti agli enti locali per foraggiare i progetti di accoglienza messi in campo nei primi sei mesi del 2020. E sono altri 170 milioni. Ciò significa che, per l'intero 2020, i fondi destinati al Siproimi dovrebbero aggirarsi intorno ai 340 milioni di euro. Il pagamento dei primi 170 milioni è stato effettuato (o comunque dovrebbe essere completato in questi giorni), e intanto è stata approntata una cifra analoga per il periodo da qui alla fine dell'anno. Vedremo se i governanti saranno altrettanto lesti nell'erogare i fondi destinati agli italiani.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-soldi-per-gli-immigrati-si-trovano-pagati-170-milioni-altri-170-in-arrivo-2646311262.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="in-migliaia-aspettano-la-cassa-integrazione-alle-spalle-di-tridico-spunta-il-fuoco-amico" data-post-id="2646311262" data-published-at="1593652954" data-use-pagination="False"> In migliaia aspettano la cassa integrazione. Alle spalle di Tridico spunta il fuoco amico Il sito dell'Inps ospita il nuovo aggiornamento della contabilità della sofferenza: i dati sulla cassa integrazione. E purtroppo nemmeno stavolta il presidente Pasquale Tridico porta a termine le sue promesse. Per far arrivare i soldi degli assegni a tutti coloro rimasti senza stipendio non è servito nemmeno l'ammonimento di Giuseppe Conte. Il premier, rubando un po' i modi e pure la scena a Turkmembashi, il padre di tutti i turkmeni, la scorsa settimana ha infatti convocato Tridico e - narrano le cronache - guardandolo negli occhi gli ha chiesto di fare il possibile e l'impossibile per non affamare i poveri lavoratori. Alla data del 29 giugno mancavano all'appello ancora 322.000 persone, che però a detta dell'istituto hanno già incassato l'assegno relativo a marzo. A queste, sempre secondo il sito, se ne aggiungono altre 132.000 che non hanno incassato nemmeno un euro. Di questi poco meno di 115.000 hanno fatto richiesta a giugno e i rimanenti 17.000 aspettano di essere pagati da marzo. Sono quattro mesi di esasperante attesa, prolungata dalle continue dichiarazioni di Tridico che - è bene ricordarlo - fissò la data di evasione delle pratiche al 15 aprile. Non avrebbe dovuto farlo. Da quella promessa è derivato tutto il pasticcio e il conseguente dramma per le aziende e per i loro dipendenti. A dire il vero, il presidente dell'Inps avrebbe dovuto fin da subito rendersi indipendente dalla politica e dichiarare che le scelte del governo (far transitare tale mole di pratiche di Cig dall'Inps) erano sbagliate. Invece, dopo aver nell'immediatezza denuncia uno scomposto rischio di esaurire tutti i fondi, si è allineato a Conte e ai 5 stelle. I quali continuano a ripetere il motto: non lasceremo indietro mai nessuno. Il problema è che se sembrano tante 17.000 persone, la realtà rischia di essere decisamente peggiore rispetto al quadro dipinto dal sito dell'Inps. «Al 29 giugno per la cassa integrazione in deroga sono pervenute 662.072 domande, ciascuna delle quali riguarda più soggetti. Ne sono state definite (che non vuol dire nemmeno tutte pagate), 618.443. «Ne mancano quindi 44.000», commenta il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri. «Che equivalgono a diverse centinaia di migliaia di lavoratori. Ogni pratica infatti riguarda più dipendenti». Male anche il Fis, fondo d'integrazione salariale, dove a conguaglio mancano ancora da esaminare 12.000 pratiche, mentre per il Fis diretto ne mancano 20.000. A ciò vanno aggiunti i dati della cassa integrazione ordinaria. «Parliamo sulla base di documenti ufficiali non smentibili», continua Gasparri. «Pertanto posso dire che al 29 giugno ci sono più di 800.000 lavoratori che non hanno preso un euro. Tridico ha mentito. Sta ancora al suo posto. Va cacciato». E nella speranza di raggiungere tale obiettivo indice una manifestazione di piazza per sabato. Non servirà a molto, visto che il numero uno dell'Inps ha resistito a diversi attacchi e pure alle costanti smentite che riceve dalla realtà. Alza il tiro il leghista Claudio Durigon, già vice ministro del Lavoro: «È già stato in Aula a portare dati non certo trasparenti. Lo chiameremo di nuovo nelle prossime settimane perché renda conto al Parlamento di quanto avviene all'Inps indipendentemente dalla triste vicenda del dichiarato attacco hacker Nel frattempo vorremmo che anche la titolare del dicastero del Lavoro, Nunzia Catalfo, rispondesse alla nostra interrogazione». Il leghista ha depositato richiesta scritta per capire perché il vice presidente dell'istituto non abbia mai partecipato ai tavoli assieme a Tridico e nonostante questo abbia incassato il compenso. Sulla questione monetaria, si è mossa la Corte dei conti, sulla questione politica invece è tutto ancora da chiarire. Dal 14 marzo 2019 al 25 marzo 2020, il presidente non ha mai avuto una controparte nemmeno in sede di cda. In pratica il Conte uno di cui la Lega era azionista ha nominato Tridico e riportato lo schema del consiglio di amministrazione proprio per evitare i problemi dell'uomo solo al comando come ai tempi di Tito Boeri. La situazione è evidentemente scappata di mano. Eppure adesso, molto più che in passato, l'Inps dovrebbe fornire la tracciabilità di tutte le decisioni. I prelievi dell'istituto a partire dal Cura Italia e, poi, dal dl Rilancio sono schizzati. Lo testimoniano i dati forniti ieri dal Mef che vedono nel complesso il saldo del fabbisogno pubblico peggiorare di ben 62 miliardi rispetto ai primi sei mesi del 2019. Le sfide del post Covid sono tante, come tanti sono i soldi in ballo. I contribuenti ripagheranno tutto. Il deficit diventa sempre debito e i dirigenti dello Stato dovrebbero saperlo meglio di tutti. Se Tridico capiterà a rendere conto delle proprie attività a fine mese, potrebbe pure trovarsi vittima del fuoco amico della maggioranza. In quei giorni ci sarà bagarre per votare lo scostamento di bilancio e pure a Italia viva converrà gettare benzina sul fuoco. Il numero uno dell'Inps potrebbe essere la diavolina per dare il via alla fiamma.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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