2019-01-09
I sindaci ribelli pensano solo agli immigrati
I primi cittadini dissidenti alla De Magistris attaccano il Viminale per tutelare gli extracomunitari. Ma non hanno mai contestato l'incostituzionalità del pareggio di bilancio che penalizza i loro cittadini. Il diritto è dalla parte dei Comuni, ma hanno altre priorità.Come noto, alcuni sindaci hanno annunciato l'intenzione di percorrere l'iter giuridico necessario a sollevare un'eccezione di incostituzionalità rispetto al decreto Sicurezza di Matteo Salvini. L'iniziativa è singolare, quantomeno perché finalizzata alla tutela non di nostri connazionali, ma di soggetti che tali non sono, quali i migranti extracomunitari. Con ciò non si intende tacciare di illegittimità l'idea, ma una piccola considerazione in ordine alle priorità delle misure di salvaguardia costituzionale nel nostro Paese andrebbe pur fatta. La facciamo ancora più semplice, allora: non ci sono forse altre situazioni lesive dei diritti costituzionalmente garantiti, a favore dei nostri concittadini e non solo dei migranti, che meriterebbero un'attenzione prioritaria da parte dei primi cittadini della Repubblica? Eccome se ci sono. Per esempio, tutte le norme introdotte per applicare il feticcio del pareggio di bilancio, sia a livello nazionale che a livello locale, puzzano di incostituzionalità lontano un miglio e meriterebbero di essere in cima all'agenda delle cose da fare dei sindaci italiani. Pochi sanno, o ricordano, che il nostro giudice delle leggi, la Consulta appunto, è già intervenuta con una sentenza di capitale importanza, la numero 275 del 2016. In quella circostanza, la provincia di Pescara aveva trascinato davanti alla Corte la Regione Abruzzo, rea di aver tagliato i fondi destinati a contribuire alle spese per il trasporto dei disabili a scuola. La Regione si era difesa richiamandosi alla legge regionale numero 78 del 1978, modificata in ossequio al patto di stabilità, che prevedeva come i finanziamenti, anche per spese sociali, dovessero avvenire nei limiti della «disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa». Insomma, la primazia, secondo questa logica, spetterebbe al pareggio di bilancio anche se sono in gioco diritti inviolabili come quello, nel caso trattato, dei ragazzi disabili allo studio. Ebbene, la Corte costituzionale ha fatto a brandelli tale interpretazione supina ai dogmi dell'austerity testualmente affermando: «Non si può ipotizzare che la legge di approvazione del bilancio o qualsiasi altra legge incidente sulla stessa costituiscano una zona franca sfuggente a qualsiasi sindacato del giudice di costituzionalità». Ma la pronuncia in questione è stata anche più esplicita: «È la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione». Il che ci porta a una serie di quesiti interessanti. Primo: è tecnicamente sostenibile, sul piano giuridico, che una norma come l'articolo 81 della Costituzione (introdotta dal nostro legislatore in virtù di una ultra zelante applicazione dei principi del trattato sul Fiscal compact entrato in vigore il primo gennaio 2013) sia incostituzionale? Un bel paradosso, vero? Si tratterebbe dell'incostituzionalità di una norma «costituzionale». Eppure, la risposta può essere affermativa, sia alla luce di quanto sancito dalla sentenza di cui sopra, sia in forza di quanto asserito da un'altra pronuncia della Corte, la numero 1.146 del 1988, laddove si legge che vi sono principi che «pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale appartengono all'essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana». Tali principi, «se sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale», danno luogo non già a una «revisione», ma addirittura a un «mutamento» costituzionale. In quanto tale - aggiungiamo noi - inammissibile giacchè eversivo. Secondo quesito: il trattato sul Fiscal compact del 2012, i correlati pacchetti di regolamenti e direttive denominati six pack e two pack e l'art. 81 della Costituzione (con il quale l'Italia costituzionalizzò il folle principio del pareggio di bilancio) possono considerarsi allora «eversivi» dell'ordine (costituzionale) costituito? La risposta, anche in questo caso, è pacificamente affermativa. Essi, infatti, impediscono a qualsiasi governo del Paese, di qualunque colore, di alimentare attraverso il deficit quella spesa pubblica sociale che rappresenta non solo l'essenza del welfare state, ma il cuore pulsante dei principi fondamentali (articoli 1-12) e dei diritti inviolabili (articoli 13-54) consacrati nella nostra Carta.Terzo, e ultimo, quesito: perché i sindaci italiani e gli altri amministratori di centrosinistra o di Forza Italia non hanno mai aperto il fronte giuridico di una battaglia costituzionale su questi temi? La risposta è agli atti del Parlamento. Il trattato sul Fiscal compact venne approvato con il voto pressochè unanime dei deputati e senatori del Pd e del Pdl (Lega Nord contraria, 5 stelle non ancora rappresentati in Parlamento). Morale della favola: i sindaci riottosi farebbero meglio a concentrarsi sull'illegittimità costituzionale delle norme che impediscono loro di curare gli interessi del popolo italiano, prima di preoccuparsi della presunta illegittimità costituzionale delle norme che, quegli interessi, tutelano.www.francescocarraro.com
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)