2019-04-19
Ma perché bisogna dare soldi pubblici alla radio dei Radicali?
Contro il taglio dei contributi all'emittente di Lista Pannella si mobilitano giornalisti e intellettuali. Il servizio però non è mai stato aperto alla concorrenza. E i lavori delle Camere sono già seguiti da Rai Parlamento. L'appello per salvare Radio radicale è diventato, nelle ultime settimane, una specie di professione di fede che chiunque tenga a conservare la propria aura di autorevolezza mediatica, giornalistica o accademica, è tenuto a compiere solennemente, coram populo. La tragica e prematura scomparsa di Massimo Bordin, protagonista della storica rassegna stampa mattutina e di gustosi siparietti con Marco Pannella, ha aggiunto ulteriore vigore emotivo all'Sos per l'emittente radiofonica. Gli argomenti sono arcinoti: Radio radicale svolge un servizio di pubblico interesse, dà spazio a qualunque compagine politica, trasmette in diretta qualsiasi convegno, convegnino e convegnucolo in ogni angolo d'Italia. Evangelicamente, ovunque ci siano due o tre riuniti, Radio radicale è in mezzo a loro. In buona sostanza, non c'è studioso, cultore di qualche materia, oratore e cronista, la cui voce non sia finita almeno una volta sulle frequenze del «santo padre» Pannella. All'esibizione di coscienza civile, ovviamente, si somma un po' di snobismo radical chic: siccome la battaglia è stata ingaggiata da quell'incompetente ignorante populista e grillino di Vito Crimi, è un esercizio di responsabilità democratica opporsi alla «bavbavie», all'«ovvove», alla «volgavità» del troglodita a 5 stelle, che minaccia la libertà d'espressione (ad averla avuta in difesa della libertà d'espressione dei «medievali» di Verona, questa levata di scudi!). Su Radio radicale, comunque, due paroline davvero in libertà sarebbe proprio il caso di dirle.Per carità, che l'emettente da decenni offra un servizio encomiabile d'informazione politica, non lo si può negare. E poi, chi potrebbe restare indifferente se anche uno solo dei professionisti che vi operano finisse in mezzo a una strada? Al contempo, è veramente curioso che la radio voluta da un partito che tifa per il libero mercato, la globalizzazione e la concorrenza, dipenda integralmente dall'erogazione dei contributi pubblici. E che contributi! A parte quelli concessi a tutte le radio private che svolgono attività d'interesse generale (e che di qui al 2022 saranno azzerati, come prevede la legge di bilancio 2019), Radio radicale gode dei fondi (10 milioni di euro, dimezzati dal governo gialloblù) erogati in virtù di una convenzione con il Mise. È proprio questo accordo ad aver suscitato le ire del «nuovo barbaro» Crimi. La convenzione, infatti, fu stipulata la prima volta nel 1994, in seguito a una gara pubblica cui, però, si presentò soltanto Radio radicale. Tutte le successive promesse di aprire alla concorrenza il servizio e, quindi, la distribuzione del finanziamento, sono rimaste lettera morta. E alla fine, di proroga in proroga, Radio radicale è diventata una monopolista sovvenzionata dallo Stato. Ora, secondo Emma Bonino, l'emittente «ogni anno, ogni volta, ha chiesto che si istituisse una gara per valutare tutti gli elementi del servizio e aprirlo anche ad altri contendenti». Benissimo: visto che questa è anche la volontà di Radio radicale, che si spalanchino finalmente le porte al libero mercato. Magari, a differenza del 1994, verrà fuori che qualche altro editore è capace di erogare lo stesso servizio a un prezzo più contenuto. Può darsi che, rispetto a 25 anni fa, il panorama là fuori sia leggermente cambiato.Peraltro, non è neppure vero che il governo voglia far chiudere la radio: in discussione, appunto, c'è una convenzione con il Mise. Radio radicale beccava 10 milioni di euro. La metà di quella cifra, sempre pagata dai contribuenti, non le basta. Al contempo, lo Stato e quindi i suddetti cittadini che pagano le tasse, sovvenzionano Rai Parlamento, che già garantisce la copertura dei lavori delle due Camere. È davvero necessario foraggiare pure il costoso doppione? Non per buttarla in caciara, ma se proprio c'è questo disperato bisogno di soldi, la Bonino, che è tanto brava a suscitare la generosità di George Soros, se li faccia dare da lui. Il miliardario ungherese ha elargito 200.000 euro a + Europa. Nel 2016, aveva devoluto 25 milioni di dollari per la campagna elettorale di Hillary Clinton. L'anno successivo ha rimpinguato le casse della sua Open society con 18 miliardi di dollari. Non gli mancano certo 10 e neppure 20 milioni per dotare Radio radicale di microfoni e cuffie in oro zecchino.È vero che persino Matteo Salvini ha preso le distanze dalla dichiarazione di guerra dei pentastellati: «Preferirei che chi di dovere tagliasse gli stipendi milionari in Rai», ha commentato il leader del Carroccio. Il punto, tuttavia, lo inquadra alla perfezione un'antica formula latina: iuxta propria principia. Ecco: in virtù dei suoi stessi principi, la radio dei globalisti pro mercato e pro concorrenza non può vivacchiare solamente perché paga Pantalone. Se regime di sovvenzioni pubbliche deve essere, ci si metta d'accordo con la Rai e si eviti una moltiplicazione degli esborsi. Se invece il mondo deve reggersi su un'affannosa rincorsa del capitale privato, allora la dura disciplina del mercato, come l'avrebbe chiamata l'economista Friedrich von Hayek, la si deve propinare a tutti quanti. Industriali, commercianti, editori di giornali, di televisioni e di radio. Altrimenti, sono buoni tutti a fare i liberisti con gli altri e gli statalisti con sé stessi. Non le pare, senatrice Bonino?
Jose Mourinho (Getty Images)