2025-08-18
I racconti dell'estate: «Un virus dallo spazio»
Uno shuttle, con a bordo un pilota e un misterioso «Colonnello», si sta avvicinando a una stazione spaziale sospesa in orbita terrestre. C’è una missione da compiere: liberare alcuni ostaggi e scongiurare una minaccia al nostro pianeta. Ma se fosse una trappola?Lo shuttle a velocità di fuga, investito dalla luce del sole, sembrava la punta aurea di una freccia scoccata verso le stelle. Ma il suo bersaglio era molto più vicino, sospeso in orbita terrestre, appena al di fuori della ionosfera. Ruotava con l’inesorabile moto perpetuo dei corpi celesti. In quel caso, dovuto a una combinazione di scienza e interessi economici.Nella cabina dello shuttle, il pilota confrontò la stazione spaziale oltre l’oblò con l’immagine ingrandita che ne riceveva sul monitor.Una scansione digitale riproduceva l’allineamento di approccio. Sulle fiancate esterne della fusoliera si accesero getti orientati in direzioni opposte: a sinistra verso l’alto e a destra verso il basso. Lo shuttle cominciò una serie di lente giravolte in senso orario lungo l’asse da poppa a prua. Era la manovra di raccordo con la stazione spaziale. Sui pannelli si scatenò il rapido baluginare delle cifre che indicavano l’accostamento, l’assetto e la velocità angolare.«Ostaggi a zero G e pretese di riscatto dalla Corporazione» considerò il pilota. «L’umanità esporta il peggio nello spazio. Non bastava quello che c’è laggiù.»Più di cinquecento chilometri in basso, s’incuravava la superficie terrestre.«Da qui non si vede lo sfacelo» seguitò il pilota. «Petrolio esaurito, fonti rinnovabili irrisorie, clima insensato, sovrappopolazione, torme di predatori e nazioni in guerra per accaparrarsi l’acqua.»L’altro, accanto in penombra, carezzò l’arma che teneva imbracciata.Il pilota lo interpellò: «Quando è salito a bordo ho afferrato soltanto il suo grado, Colonnello.»«Deve bastare.»«Nella Corporazione non ci sono gradi.»Il Colonnello si sporse in avanti. I riflessi della strumentazione gli disegnarono sul viso spettrali tatuaggi di luce, accentuandone il profilo angoloso e massiccio, dalla pelle bruna e dai tratti levantini: «Sono un contractor. Volontario.»Il pilota esitò dinanzi allo sguardo dell’altro: «Non sarebbe più semplice distruggere l’intera stazione, compresi quelli che hanno preso gli ostaggi e il Virus Irreversibile?Il Colonnello rinserrò l’arma: «A bordo si trova del personale altamente specializzato, non sacrificabile per la Corporazione. Inoltre, sarebbe arduo spiegare il perché di una misura così estrema senza ammettere la verità sul Virus Irreversibile. Ufficialmente, là sopra si producono miracoli della medicina. Non morbi artificiali per lo sterminio su scala biblica.»«Ma se il suo tentativo fallisse, Colonnello?»«Sequenza finale di approccio.» L’annuncio venne da una donna che non esisteva, se non come campionatura vocale dell’Ia.Fuori, la stazione si profilò in tutta la sua ampiezza. Aveva la forma di una titanica ruota. Lo shuttle mirava al perno, adeguandosi alla rotazione con l’ausilio dei getti regolati dal programma di navigazione automatica. Non era più la punta di una freccia, ma uno squalo pigro che si rivoltava sul ventre.Il Colonnello si infilò il casco: «Pronto per l’EVA.» Era la sigla dell’attività extraveicolare. «Prosegua nella traiettoria di approccio e faccia come se non sapesse affatto della mia esistenza.» Pigiò sul tastierino alfanumerico da polso e un attimo dopo era sparito. O meglio, di lui restò un vago contorno semovente.Lo strato esterno della tuta era un’intercapedine in cui venivano immesse nanocompomenti capaci di deflettere la luminosità. Schermavano anche la traccia radar e i segnali organici di chi la indossava. I getti della tuta venivano raffreddati al momento dell’espulsione. La voce del pilota fu rivolta al fantasma prismatico del Colonnello: «Come farà a rilevare i loro segnali? Se si interfaccia con i sistemi della stazione, la individuano.»«Tutti i codici di accesso, compresi quelli per aprire dall’esterno i portelli delle camere di equilibrio, mi arrivano su frequenze protette da un satellite della Corporazione di cui sa soltanto chi è autorizzato.»«Lei? Un contractor?»«Volontario.»«E il Consiglio di Amministrazione si fida?»«Come di chiunque non abbia interessi diretti negli affari correnti.»La deflessione del Colonnello scomparve nella fusoliera. Il pilota guardò il quadrante delle aperture. Per un attimo si oscurò come per mancanza di alimentazione, e quando si attivò dava tutto ermeticamente chiuso.Invece una figura indistinta era uscita dallo shuttle e si protendeva dallo scafo sul fondale stellato. O meglio era il fondale stesso che pareva contorcesi e contrarsi. Sotto, la Terra assisteva in silenzio col viso verdazzurro segnato dalle spirali delle formazioni nuvolose, che parevano rughe eternamente mutevoli.Il pilota aprì il collegamento video dello shuttle con la stazione e sull’apposito monitor spuntò un individuo dalla determinazione aggressiva: «Numero di riconoscimento.»«Volo 465» rispose il pilota. «Sequenza finale d’approccio. Ho specifiche direttive della Corporazione. Evacuare i feriti. »L’individuo determinato ebbe una lieve contrazione delle gote: «Speriamo che le direttive prevedano anche di confermare che la Corporazione accetta di pagare, senza tattiche dilatorie. Altrimenti il Virus Irreversibile cesserà di essere confinato in questa stazione.»Il Colonnello ascoltava dalla tuta. Aderiva al dorso dello shuttle con i tamponi magnetici dei guanti e degli stivali. Guardò i raggi della stazione che calavano in diagonale tra lui e lo spazio come tronchi nodosi di una foresta morta. Il movimento rallentò fino a perdersi del tutto, man mano che la rotazione dello shuttle si adeguò a quella del complesso orbitante. La distanza diminuiva e ad un tratto le forme frattali della stazione furono a portata di mano. Lo shuttle attraversò una zona d’ombra.Adesso!Il Colonnello si staccò dal dorso del velivolo e accese i getti sulle sue spalle. Spiccò un balzo in avanti, e alla tecnologia si aggiunse qualcosa di primordiale, che lui aveva di suo. Approdò sulla superficie della stazione.«Volo 465: attenersi alle procedure standard di attracco» continuò la voce dell’individuo determinato. «Ogni discrepanza sarà considerata azione ostile.»Lo shuttle agganciò i bracci meccanici del bacino portuale. Un terminale pneumatico si accostò al portello di uscita. Il pilota avanzò cauto nel passaggio stagno e fu accolto da un volto senza tracce di comunicativa, dalla canna di un’arma e da una secca intimazione: «Con gli altri».Nel vuoto esterno, il Colonnello compose una sequenza numerica sul tastierino da polso e il casco gli proiettò una mappa della stazione orbitante in realtà virtuale. Con verbalizzazioni sublabiali, l’uomo ottenne gli ingrandimenti dei settori. Fino a quello che cercava.La cambusa.Nel settore cucine della stazione, gli ostaggi erano accoccolati sul pavimento, sotto il tiro di cinque uomini armati. Un sesto entrò con il pilota dello shuttle sotto tiro.La ricostruzione visionata dal Colonnello attribuiva a ciascuno connotati, identità e incarichi. Quello determinato era il capotecnico, il cui nome, Fergus Clark detto Gus, appariva in sovrimpressione seguito dal curriculum. La sua voce, rattenuta malgrado la tensione, scandiva ordini dal timbro impietoso.Il Colonnello iniziò a sfrecciare nel paesaggio della grande ruota, con i getti a piena potenza. Un’ape silenziosa che conosceva la rotta fra travi e improvvisi spuntoni metallici. Il computer della tuta orientava il sistema propulsivo e ne regolava l’intensità per mantenere l’allineamento relativo alla stazione.Finché non gli spararono addosso.«Mirate alle deflessioni» asserì una seconda voce dalla radio.Il Colonello si tuffò al riparo di un raggio della ruota orbitante. Altri proiettili lo inseguirono, sfiorandolo.«Qui c’è abbondanza di fonti luminose» incalzò la voce. «Non giovano all’incolumità personale.»A destra. Il Colonnello staccò l’arma dalla presa magnetica sulla tuta e si appigliò saldamente alla parete della stazione.Aprì il fuoco.Sparare in assenza di gravità esponeva a ingannevoli fattori balistici.Una raffica del tutto priva di suono nel vuoto dello spazio, impossibile per qualsiasi silenziatore. Il resto lo fecero i proiettili, per conto proprio, con dispositivi di acquisizione del bersaglio. Aggirarono gli ostacoli che si paravano tra loro e l’obbiettivo. Una forma che fluttuava tra gli spuntoni di quella foresta frattale esplose in mille petali di latta e boccioli purpurei. I resti del cadavere si librarono in prossimità della stazione, avviluppati da uno zodiaco di sangue congelato.Anche il Colonnello sapeva mirare alle deflessioni.Di chi non attivava efficaci contromisure.Altri due accoliti di Gus all’interno della stazione lo aspettavano al varco di una struttura di ponteggio. Stavolta il vantaggio dell’ombra era andato a loro.«Bersaglio riacquisito» esultò una nuova voce nel casco del Colonnello.«Sulla linea del fuoco» precisò il secondo.Avevano già sparato. Il Colonnello fu colpito, in una replica dello scempio da lui stesso provocato poc’anzi.«Riferire sullo stato della sorveglianza esterna» richiese il determinato Gus.«La Corporazione» rispose uno dei due che avevano affrontato il Colonnello. «Qualcuno di loro ha provato a penetrare le difese.»«Un commando» disse l’altro. Toccò una sorta di lampada tascabile sul calcio della sua arma, il cui fascio sottilissimo di luce aveva investito il Colonnello, rivelandolo. «Sensibile al puntatore.»«Ricevuto» accusò Gus, dalla stazione. «È una violazione degli accordi. Ci costringono a rifarci sugli ostaggi. Per primo, il pilota dello shuttle.«Non sono responsabile!» si appellò lui. La Corporazione non mi ha avvertito che trasportavo un clandestino. Sarà uscito per l’EVA durante la fase di…»Fu interrotto da uno sparo. Nella stazione i rumori si udivano.«Che facciamo, Gus?» domandò uno dei due, all’esterno.«Effettuate una verifica di sicurezza.»I complici destinati alla sorveglianza accesero i getti e planarono nervosamente lungo la circonferenza della stazione spaziale. Alle loro spalle, il fondale stellato si deformò attorno a una sagoma invisibile che raggiunse il portello della più vicina camera di equilibrio. «…Perché, capite» recitò intanto Gus agli ostaggi nella cambusa, «il Virus Irreversibile è il Male con la emme maiuscola. E noi abbiamo contribuito a svilupparlo quassù.»«Non lei» ribatté un individuo più anziano degli altri. «Perché si associa al reparto ricerca, quando l’hanno assunta per compiti di manutenzione?»«Non lo provochi, signore» balbettò una delle quattro donne presenti.«Via, dottoressa» disse Gus. «Gli lasci esprimere liberamente la filosofia della Corporazione, basata su una gerarchia che ci riporta agli albori della rivoluzione industriale.»«Il ricatto aveva senso finché reggeva il segreto sulla nostra produzione di Virus Irreversibile» dichiarò quello più anziano. «Con la missione di salvataggio fallita, saranno i vertici stessi a informare i media. Diranno della sua minaccia di sganciarlo nell’atmosfera se la Corporazione non le versava… quanti milioni di dollari ha chiesto? Sono così tanti che me ne sono dimenticato.»«Dovevano fruttare una giusta quota per tutti» si giustificò Gus. «Siamo una squadra numerosa.»«Comunque» riprese l’anziano, «ora il mondo saprà che questa non è una fabbrica orbitante di meraviglie medicinali, ma un laboratorio per sintetizzare il Virus Irreversibile, l’unica soluzione per il contenere la pressione demografica. Soltanto che non l’avremmo usato a caso, come nei vostri intenti. Era in serbo per quei Paesi che hanno sviluppato testate nucleari e armamenti più sofisticati negando cibo e soprattutto acqua alle loro popolazioni. Cibo e acqua che vengono a razziare da noi.«Per noi era lo stesso un abominio» disse Gus. «E quando ai piani bassi del reparto manutenzione abbiamo capito il potenziale apocalittico sviluppato sulla stazione, ci è venuta voglia di chiamarci fuori. Non senza pretendere un’equa buonuscita.»«La Corporazione ha optato diversamente» lo rimbrottò l’anziano. «Chiunque fosse, là fuori, sulla Terra vogliono cancellarvi senza cedere. Rimettendoci anche qualcuno di noi. O tutti. Non s’illuda che l’attacco sia finito. Potrebbero perfino decidere di lanciare contro la stazione una testata nucleare.»«Una tempra sacrificale, la sua» approvò Gus, senza abbassare l’arma. «Gus, lui ha ragione» disse uno degli altri cinque con le armi.Gus tornò alla sua determinazione: «Non sei un profano. Conosci gli effetti. Un’esplosione a ridosso dell’atmosfera provocherebbe il NEMP, l’impulso elettromagnetico nucleare. Oscuramento delle comunicazioni, azzeramento delle banche dati. Il castigo biblico di un mondo votato alla propria dannazione. Le testate sono pur sempre in mano al Governo, che non esaudirebbe la richiesta della Corporazione.»«Qualsiasi cosa è meglio di una pandemia da Virus Irreversibile» lo corresse imperterrito l’anziano del Consiglio di Amministrazione. «Lo faranno. Arriveranno all’opzione nucleare.»Gus lo ignorò: «Quando ci mettono quei due a rientrare?»In quell’istante sul petto gli si aprì una voragine gorgogliante di sangue. E così a ciascuno degli altri complici. Anche da morti, tuttavia, le dita gli si contrassero sui grilletti, e risposero inutilmente al fuoco contro un avversario che li aveva già annientati. Gli ostaggi urlarono, rifugiandosi dietro ogni possibile riparo. L’unico a restare imperturbato al centro dell’ambiente fu quello del Consiglio di Amministrazione, con l’uniforme azzurrina maculata del sangue di Gus.Il fragore fu presto riassorbito dal silenzio, perché non c’erano echi tra le pareti della stazione.Qualcuno puntò un dito tremante nel vano della porta.«L’aria… si muove qualcosa…»«Decompressione!»«Fermi!» li inchiodò l’uomo del Consiglio di Amministrazione.Il movimento era quello di immagini su uno specchio deforme. Le nanocomponenti si ritrassero dall’intercapedine della tuta, e riapparve il Colonnello.Il rappresentante del Consiglio di Amministrazione non aveva perso la compostezza: «La davano per morto».«Hanno colpito un mio ologramma programmato per simulare morte e decompressione.»La donna di prima si lasciò sfuggire dei singhiozzi.«Atterson, del Consiglio di Amministrazione» L’anziano, non porse la mano. «Non ha fatto prigionieri, signor?…»«Colonnello» si presentò lui, senza abbassare l’arma. «E i prigionieri siete sempre voi.»Scostò il cadavere di Gus, che nella ridotta gravità della stazione parve ancora più inerte.«Nella Corporazione non esistono…» cominciò Atterson.«…gradi. Ma io vengo dall’esercito di una di quelle nazioni contro le quali contavate di impiegare il Virus Irreversibile.» Lo sguardo gli cadde sui resti del pilota. Si passò una mano sul viso. «Questo non è il risultato momentaneo di un’esposizione al sole, ma il colore naturale della pelle che si sviluppa a certe latitudini. Sono davvero un colonnello. La produzione di Virus Irreversibile su questa stazione era nota da tempo al nostro spionaggio. Prima ancora d’infiltrarmi nei servizi di sicurezza della Corporazione. Avevo il compito di studiare un progetto di fattibilità per qualcosa del genere» accennò alla scena e lanciò un’occhiata a quelli che aveva ucciso. «Ma loro sono stati più svelti. All’ufficio personale della Corporazione si fanno un dovere di assumere individui determinati. E io lo sono, più di tutti loro e di voialtri che avete lavorato al virus. Gus e i suoi ci hanno risparmiato un piano molto più articolato per arrivare qui. Mi è bastato offrirmi come contractor volontario per questo salvataggio. Ora le trattative non sono più con la Corporazione, ma con il Governo. Il vostro. Per conto del mio, naturalmente. La stazione passa sotto il nostro controllo. Preferiamo tenerci noi il Virus Irreversibile. Ottimo deterrente nel caso non esaudirete alcune piccole richieste.»«In quali ambiti?»«Biotecnologie. Dopotutto, il Virus Irreversibile ha i suoi contraltari, nel mondo sviluppato. Oltre al segreto dell’ecatombe, possedete le conoscenze che occorrono per fertilizzare il deserto, attuare il pieno riciclo degli scarichi fognari.»«Insomma, volete strapparci le nostre polizze sulla sopravvivenza.» «Condividere, è il verbo. E se salta questa stazione, succederà anche a una città del vostro Grande Paese, là sotto. Dove dei nostri emissari hanno depositato un innesco nucleare. Alle mie spalle c’è un’autorità governativa, non l’improvvisazione di Gus e compagni. In più, ho il quadro completo delle trappole della Corporazione. Contro di me non la spunterà nessuno.»Atterson annuì più volte, assorbendo tutto ciò che aveva udito. Poi gli affiorò sulle labbra un sorriso distorto e disse: «Peccato, Colonnello».«Per la Corporazione? Sì, peccato.»«No. Per lei. O meglio per milioni di suoi compatrioti.»Il Colonnello accentuò gli angoli del viso con una rinserrata dei denti.Atterson annuì più lentamente. E il suo sorriso acquistò la serafica freddezza del potere: «Il suo Paese era una spina nel fianco per noi, ma ci mancava un casus belli. Ora lo abbiamo.«Questo lo credo.» La voce del Colonnello aveva perduto ogni armonica di trionfo.«Allora creda anche al resto.»Il Colonnello attese in silenzio.Atterson, da buon consigliere di amministrazione, non amava i tempi morti, e riprese immediatamente: «Quella del Virus Irreversibile era un’esca troppo succosa per sprecarla con gli esaltati della guerra batteriologica. Perciò abbiamo preferito giocarcela con le menti eccelse della Sicurezza Nazionale. Loro non hanno avuto difficoltà a diffondere indiscrezioni più contagiose del virus stesso. Tanto da far cadere i capi del suo Paese in preda a un attacco di presunzione acuta.Il Colonnello abbassò l’arma.«La presunzione di poterla infiltrare, Colonnello» proseguì Atterson. «Gus e gli altri hanno agito per induzione ipnotica. Conoscevamo le intenzioni del suo Paese e abbiamo fornito l’opportunità della sua entrata in campo, Colonnello. Posso recitarle il suo curriculum. L’abbiamo seguito passo per passo, fino alla sua encomiabile prestazione di poco fa. La sua presenza ostile è un atto di guerra, che costringe la Corporazione a chiedere la tutela del nostro governo. Il tutto trasmesso in diretta televisiva sull’intero pianeta.A zero G, insieme con il peso si annullava il tempo. Dopo attimi d’infinito, il Colonnello chiese: «Che significa?»«Che lei ha vinto la sua battaglia qui, ma il suo Paese sta già perdendo contro l’attacco di ritorsione sferrato dal nostro governo subito dopo la rivelazione della sua vera identità. Tutti i siti di lancio della sua gloriosa patria vengono neutralizzati dai nostri armamenti satellitari.»«Questo vi costa una città.»«L’innesco nucleare piazzato dagli emissari del suo Paese? Abbiamo monitorato dall’inizio quel maldestro tentativo. Le unità specializzate sono state pronte a vanificare ogni rischio di deflagrazione. Davanti a una simile capacità di autodifesa, da parte nostra, gli altri Paesi con le stesse intenzioni del suo, abbasseranno le pretese.»Il Colonnello annuì, senza guardare le armi comparse fra le mani di quelli che fino a qualche minuto prima erano stati ostaggi ed ora lo tenevano sotto mira.«Che gliene pare, Colonnello?» domandò Atterson.«È tutto come il virus. Irreversibile.»Il Colonnello portò una mano alla cintura di servizio della sua tuta, in cerca di un pulsante.«Irreversibile» ripeté.E la stazione, esplodendo, divenne più simile a una stella di quanto non lo fosse stata fino a pochi istanti prima, quando l’unica luce che emetteva era quella riflessa del sole.Sulla Terra, le moltitudini che infestavano l’emisfero al di sopra del quale transitava la stazione levarono occhi verso il cielo e il sorgere del nuovo astro. Lo fecero in miliardi. Interrompendo battaglie, crimini, barbarie e altre atrocità. Accadde lo stesso per le vittime. Guardarono il prodigio luminoso che si accendeva in alto, con la speranza di un sollievo supremo, di un affrancamento definitivo dall’orrore di soffrire per la crudeltà ormai diffusa come un’epidemia, di più: entrata di forza nel codice genetico di una specie colpevole della sua stessa esistenza.Ma da quello splendore non proveniva la redenzione. Né la promessa di un dopo.Anche per l’umanità era tutto irreversibile.
Luca Zaia intervistato ieri dal direttore della Verità e di Panorama Maurizio Belpietro (Cristian Castelnuovo)
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