2020-01-22
I potenti del mondo accolgono Greta che fa lo spot ai loro affari «green»
L'attivista è intervenuta in Svizzera per invocare di «zero emissioni». Ma la riconversione che chiede metterà in difficoltà interi settori dell'economia, ci renderà più dipendenti. E non risolverà i problemi dell'ambiente.A un certo punto, Greta Thunberg lo ha ammesso: «Non posso certo lamentarmi di non essere ascoltata, vengo ascoltata in continuazione». L'ormai diciassettenne di Stoccolma ha ormai perso definitivamente le guance tondeggianti dell'infanzia. Ha il collo più sottile, la mascella più decisa è in linea con la durezza delle sue parole, i solchi sotto gli occhi testimoniano la sua stanchezza. Ieri è tornata a Davos, in Svizzera, per parlare ai ricchi e potenti del mondo. «Cerchiamo di essere chiari. Non abbiamo bisogno di “ridurre le emissioni"», ha detto. «Le nostre emissioni devono fermarsi se vogliamo rimanere al di sotto dell'obiettivo di 1,5 gradi. E, fino a quando non avremo le tecnologie che su vasta scala possano farlo, dobbiamo dimenticare lo zero netto. Abbiamo bisogno di uno zero reale». La nostra casa è ancora in fiamme, ripete Greta da dietro lo stress e la pressione. E poiché ci crede così tanto, fa bene a ripeterlo. Non è soddisfatta dei risultati ottenuti finora, eppure l'intero Occidente si sta muovendo nella direzione da lei indicata. Ed è proprio questo a far sorgere qualche preoccupazione. Quando un rivoluzionario viene invitato a sedersi al tavolo dei potenti del mondo c'è qualcosa sotto: o i potenti sono impazziti, oppure non si tratta davvero di un rivoluzionario. Il fatto è che Greta, fino ad oggi, non ha indicato un cambio di rotta, bensì la strada che il neoliberismo intende percorrere nei prossimi anni. Ad applaudire la Thunberg non sono soltanto i politici e i grandi capi di Davos, ma soprattutto i vertici delle multinazionali e gli esponenti della finanza internazionale. Giusto la scorsa settimana il numero uno del fondo di investimento Blackrock (un colosso che gestisce circa 7.000 miliardi di dollari), Larry Fink, ha comunicato al mondo di avere una coscienza verde e di essere sensibile al tema del cambiamento climato. Sulla stessa linea si sono mossi altri grandi fondi di investimento. L'Unione Europea ha lanciato un «Green deal» da 1.000 miliardi di euro. Significa che verso il «verde» l'Impero dirige il suo corso. Dietro le belle parole e i toni accorati di Greta si celano interessi miliardari. La giovane paladina spiega che dobbiamo eliminare le emissioni. E infatti il sistema l'ha subito eletta portavoce della transizione energetica. Solo che tale transizione comporta una serie di conseguenze. Come ha spiegato il giornalista francese Guillaume Pitron (autore di La guerra dei metalli rari, Luiss), «questa transizione metterà in difficoltà interi settori delle nostre economie, quelli più strategici». La transizione all'auto elettrica per cui le grandi compagnie sembrano già pronte, ad esempio, comporterà una notevole perdita di posti di lavoro. E non è affatto detto che auto di questo tipo siano effettivamente sostenibili: probabilmente, alla lunga inquineranno di più delle attuali. Nessuno si pone questi problemi, anzi in alcune città italiane già si fa la guerra al diesel. Per far funzionare le tecnologie verdi con bassa emissione di carbonio, poi, sono indispensabili i cosiddetti «metalli rari», di cui la Cina detiene sostanzialmente il monopolio, motivo per cui rischiamo di avviarci verso un futuro di dipendenza totale dal Dragone. Non solo. Come scrive Guillaume Pitron, «la nostra ricerca di un modello di crescita più verde ha portato a uno sfruttamento più intensivo della crosta terrestre per estrarne il principio attivo, ovvero i metalli rari, con un impatto ambientale ancora più forte di quello causato dall'estrazione del petrolio». Il business green è un affare per molti. Per gli attivisti che si fanno notare e pubblicano libri (compresa Federica Gasbarro, classe 1995, la «Greta italiana). Per i governi che possono imporre nuove tasse con la scusa dell'ambiente. Per i partiti in crisi d'idee (vedi il Pd) che si attaccano all'ecologismo. Per le grandi multinazionali, che potranno venderci (o noleggiarci) nuove auto e nuovi supporti digitali. Come ha scritto l'Economist, pure le case andranno cambiate: via quelle vecchie e inquinanti, largo a quelle nuove a emissioni ridotte, magari in affitto. Il capitalismo è verde, ed è verde pure il nuovo colonialismo: dall'America Latina all'Africa l'industria mineraria continua a sfruttare le popolazioni locali, e continua a essere la seconda più inquinante al mondo, anche se estrae materie prime fondamentali per le tecnologie «ecologiche». Greta fa bene a insistere, di sicuro lei ci crede davvero. Ma noi dobbiamo sapere che non sta indicando un nuovo modello di sviluppo. Sta solo rivestendo di miele una riconversione che farà felice qualche potente, e colpirà i poveri del pianeta e le classi medie. La nostra casa è in fiamme, anche se non emette Co2.