2020-05-09
Governo incapace: «Finiti i soldi»
L'Inps non versa la cassa ordinaria ed è rimasto a secco pure il Fis, che avrebbe dovuto pagare le domande in deroga.Dopo il decreto «Io resto a casa» e il decreto «Cura Italia» eccoci arrivati al decreto «Rilancio». Come nome non è un granché, siamo d'accordo, ma avendo esaurito quelli a disposizione per battezzare le norme da imporre agli italiani, a Giuseppe Conte non è rimasto che un sostantivo terra terra. Del resto, chiamarlo decreto d'aprile, come in principio a Palazzo Chigi s'era pensato, non era possibile. Un po' per l'assonanza con il pesce d'aprile, che lo avrebbe fatto sembrare uno scherzo. E un po' perché ormai siamo a maggio e avrebbe corso il rischio di essere soprannominato «Ritardo», per di più ora che, di rinvio in rinvio del consiglio dei ministri che lo deve approvare, si rischia di arrivare a giugno. Comunque, se scarseggiano i nomi con cui presentare il complesso di provvedimenti che dovrebbero far partire l'Italia dopo l'epidemia di coronavirus, ancor più c'è penuria di soldi. Sì, renziani e grillini si azzuffano ogni giorno, per i migranti e per la prescrizione e la scarcerazione dei boss. Ma le liti sembrano un diversivo per evitare di parlare di cose serie e cioè dei soldi che non ci sono e che probabilmente, nonostante le tante promesse dell'Europa, non ci saranno neppure nelle settimane a venire. Eh già, perché dietro le parole flautate del pifferaio di Volturara Appula, un incantatore di perdenti da cui, confidando nelle sue doti di avvocato, i 5 stelle hanno scelto di farsi rappresentare di fronte agli italiani, non c'è nulla, non un soldo. Altro che i 400 miliardi di pronto intervento garantiti da Giuseppe Conte l'8 aprile nella diretta Facebook: il denaro promesso era un miraggio ed è svanito proprio come le mascherine a 50 centesimi assicurate da Domenico Arcuri in conferenza stampa. Nisba. La liquidità poderosa annunciata dal premier è infatti rimasta nei caveaux delle banche, le quali evidentemente, prima di sganciare, pretendono garanzie adeguate, compresa quella dello scudo penale che protegga gli istituti di credito e i loro vertici dalle conseguenze di fallimenti o riciclaggi vari. In pratica, i banchieri vogliono essere certi che se un'azienda va a gambe all'aria con i soldi dei depositanti poi nessuno, tanto meno un pm, punterà il dito contro di loro per i danni provocati. Però a rimanere a secco non sono solo i rubinetti delle banche, ma pure quelli della Sace, ovvero della società che Conte aveva messo in mezzo per concedere le linee di credito più rilevanti. Sottratta alla sua attività abituale, che consiste nel sostenere le aziende che fanno affari con l'estero, Sace avrebbe dovuto iniettare denaro nelle casse delle imprese costrette dal coronavirus a restare chiuse per due mesi. Peccato che il sostegno pensato dal governo si stia rivelando un appoggio non proprio stabile e soprattutto non certo un bastone in grado di consentire alle attività produttive di procedere più spedite. Il numero delle pratiche «evase» (sì, mentre i boss non evadono ma vengono liberati, i finanziamenti si evadono) pare che si fermi alle decine e al momento non c'è alcuna evidenza che nel futuro prossimo cammineranno più velocemente.Ma non è finita: mentre nella stanza dei bottoni dibattono di migranti e di sanatorie, facendo finta di litigare e minacciando dimissioni che non ci saranno mai perché tutti resteranno ben attaccati alla poltrona, l'Inps ha finito i soldi del Fis, il Fondo di integrazione salariale che doveva servire ad aiutare le aziende in difficoltà che non sono in grado di pagare gli stipendi perché non hanno incassato un euro. Ieri, ha rivelato il giornale online Linkiesta, sul sito dell'ente previdenziale è apparso un messaggio che impedisce di presentare la domanda per avere i soldi. Il motivo? Semplice: i fondi stanziati dal decreto «Cura Italia» per le domande in deroga sono finiti. Si sapeva che i soldi non sarebbero stati sufficienti a coprire il fabbisogno di milioni di lavoratori, ma nessuno a Palazzo Chigi se n'è preoccupato e così decine di migliaia di persone (una cifra che probabilmente indichiamo per difetto) rischiano di rimanere a becco asciutto. Tuttavia non c'è solo il Fis a non pagare. Anche per quanto riguarda la cassa integrazione ordinaria le cose non vanno benissimo: su poco meno di 300.000 richieste, l'Inps a quanto pare ne ha autorizzate all'incirca 50.000, cioè un po' più di un sesto del totale, ignorando le necessità economiche di centinaia di migliaia di famiglie. C'è da stupirsi dunque se la fila degli italiani che si rivolgono al Monte dei pegni, come è successo ieri a Roma, si allunga? No. C'è semmai da stupirsi che, mentre i soldi non ci sono, i finanziamenti a fondo perduto non esistono e il taglio delle tasse sparisce dal dibattito politico, l'unica cosa che si moltiplica siano le righe del decreto «Rilancio». Al momento le bozze del provvedimento constano di 700 pagine. Settecento fogli pieni di niente.
Papa Leone XIV (Getty Images)
Sergio Mattarella con la mamma di Willy Monteiro Duarte (Ansa)
Duilio Poggiolini (Getty Images)
L'amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)