2019-12-15
I pm non sono in malafede, ma solo in ritardo
L'ex segretario del Partito democratico è infastidito e attacca la magistratura per le indagini sulla fondazione che lo sosteneva In realtà, se c'è qualcosa di strano nella faccenda, sono i tempi: perché quando il Bullo era al potere nessuno si è mai mosso?Mi è capitato sottomano un vecchio articolo della Stampa. A un giornalista del quotidiano di Torino, Jacopo Iacoboni, nel 2014 era venuta la curiosità di capire che cosa fosse la fondazione Open di Matteo Renzi e come operasse. Dunque si mise a caccia, per scoprire sede, dirigenti e soprattutto attività dell'ente. La ricerca partì da Pistoia, via Cavour 37, indirizzo pubblicato sul sito di Open. Una volta bussato alla porta dell'ufficio indicato, il cronista però scoprì che lì non c'era nessuna fondazione, perché, come rispose una gentile segretaria, quello era lo studio professionale del dottor Angiolo Bianchi, un signore molto anziano che però in sede non si recava più, preferendo rimanere a casa. Ma perché la fondazione Open riportava sul suo sito quell'indirizzo? «Forse le conviene parlare con il dottor Alberto Bianchi», spiegò con estrema gentilezza e un po' di ingenuità la segretaria.Insomma, l'ente che contribuì alla scalata di Renzi ai vertici del Pd e poi del Paese, dichiarava di stare in una casa dove in realtà non aveva casa. Tuttavia, già in quegli anni aveva raccolto 1 milione e 905.000 euro da una serie di finanziatori. A che cosa servivano tutti quei soldi? A finanziare iniziative culturali e dibattiti tipo Leopolda? Iacoboni, da bravo segugio, fece un po' di conti, calcolando che la kermesse toscana patrocinata dal presidente del Consiglio costava al massimo 200.000 euro. Dunque, sommando i tre incontri già svolti, in tutto la fondazione aveva speso 600.000 euro. E il resto, cioè 1 milione e 300.000 euro, a che cosa era servito? La risposta ufficiale arrivò dopo un po': «Va sottolineato che questi 2 milioni sono serviti per cofinanziare due Leopolde del 2012 e del 2013, due primarie, il sito della Fondazione e tantissimi eventi e incontri socioculturali in tutta Italia». Iacoboni, che non conosco ma che dev'essere un cronista coi fiocchi, non si arrese di fronte alla risposta formale, ma continuò a scavare, scoprendo che il sito della fondazione era praticamente un guscio vuoto, che oltre allo statuto e al consiglio di amministrazione (composto dallo stesso Bianchi eppoi da Marco Carrai, Luca Lotti e Maria Elena Boschi) non diceva altro. Non solo: una fonte di primo piano gli riferì che non esistevano incontri culturali fatti da Open, mentre la fondazione poteva «essere intervenuta varie volte per affittare sale per eventi politici, rimborsare viaggi, insomma per finanziare le attività di una campagna politica. O eventualmente ripianare debiti di passate campagne elettorali renziani».L'articolo della Stampa segnalava inoltre la differenza rilevabile tra l'attività di altre fondazioni riconducibili a leader politici, tipo quella di Massimo D'Alema o Enrico Letta, cioè Italiani-Europei o Vedrò. «La Open non ha praticamente uffici, non stampa una rivista, non ha un comitato scientifico, né offre contributi culturali. Come contatti il sito offre un'elusiva (sì, c'è scritto proprio così: elusiva, ndr) possibilità di scrivere una email, con form ricompilata dalla quale non si vede neanche l'indirizzo mail».Insomma, a leggere l'articolo del quotidiano sabaudo, si capisce che la fondazione Open non era una fondazione, ma semplicemente una cassaforte. Lì affluivano i finanziamenti alla corrente del Rottamatore, di un promettente politico che intendeva dare la scalata al potere. I soldi arrivavano per sostenere le sue attività politiche e per liquidare, come confessò una fonte a Iacoboni, i debiti delle pregresse campagne elettorali. Open non era un ente senza scopo di lucro che promuove la cultura e l'approfondimento, come vuole la legge. Era il braccio finanziario di Renzi. Lì chi credeva nel progetto dava il suo contributo e in cambio, come spiegano gli atti della magistratura, otteneva di poter interloquire con il futuro presidente del Consiglio. Open era l'anello di congiunzione tra imprese in cerca di interventi della politica e la politica stessa. Anzi, il futuro premier. Open era il bancomat a cui si attingeva. Renzi doveva volare a San Francisco con un aereo di lusso per mantenere le sue relazioni? Ai biglietti e al soggiorno suo e dei suoi accompagnatori provvedeva la fondazione.L'ex presidente del Consiglio e ora fondatore di Italia Viva dice che la magistratura vuole decidere che cosa è un partito e cosa è una fondazione. No. La Procura vuole solo accertare se con lo schermo di Open si è violata la legge sul finanziamento pubblico ai partiti e se le norme ottenute da gruppi che gestiscono le autostrade e altre attività imprenditoriali siano state varate dal governo non nell'interesse degli italiani, ma dopo che alla fondazione erano pervenuti ingenti finanziamenti.Il problema non è dunque l'apertura di un'inchiesta, con perquisizioni alle sei del mattino, come ha detto Renzi al Senato l'altro giorno. Il problema è semmai perché, dopo aver letto l'articolo di Iacoboni, sulle strane attività di Open, la magistratura sia arrivata così tardi. L'attuale senatore di Scandicci all'epoca era molto potente, anzi, pareva il padrone d'Italia, pronto a cambiare perfino la Costituzione. Ma i fatti erano lì da vedere. Sotto gli occhi di tutti. Anche dei pm.