2020-01-24
I pm di Ancona indagano su 4 giunte rosse
Luca Ceriscioli, governatore Regione Marche (Ansa)
La Procura contesta il peculato ai governatori marchigiani succedutisi dal 2002 a oggi e ad alcuni assessori tuttora in carica. Sotto la lente, 20 anni di mala gestione dell'aeroporto di Falconara, privatizzato a luglio in extremis, poco prima del fallimento.Un ventennio di governo del centrosinistra sotto inchiesta. Il caso quasi senza precedenti per il numero e la qualità degli indagati scoppia ad Ancona e sembra una beffa, visto che da anni - dopo il terremoto del 2016 con la ricostruzione ancora ferma e le macerie per strada - i radioascoltatori sentono ripetere dalla voce di Giancarlo Giannini: «Marche bellezza infinita». Forse, di certo irraggiungibile, visto che l'aeroporto di Ancona è stato un pozzo senza fondo che ha inghiottito fiumi di denaro pubblico, con il risultato di stare perennemente in pre fallimento, di essere privatizzato per il rotto della cuffia e avere oggi al massimo sei voli. Dal Raffaello Sanzio, così si chiama lo scalo assediato dalle erbacce, con un parcheggio fatiscente che ha tariffe da capogiro, zero servizi ed è in infinita attesa di rilancio, però è decollata un'inchiesta con 77 indagati.Il gip di Ancona ha concesso al pm, Paolo Gubinelli, che indaga da otto mesi, altri sei mesi per approfondire i rapporti tra Aerdorica, la società di gestione dello scalo, e la Regione. Questa ordinanza del gip ha fatto emergere l'inchiesta in tutta la sua devastante portata, visto che nessuno degli indagati si è mai azzardato a farne parola. Capire perché non è difficile. Rischia di crollare tutto il sistema di potere che il Pd e il centrosinistra hanno costruito. Sotto inchiesta sono quattro giunte regionali con l'accusa di peculato. Sono quelle che si sono succedute dal 2002 in avanti: la prima guidata da Vito d'Ambrosio, poi le due di Gian Mario Spacca e infine la giunta attuale (quasi a fine mandato, nelle Marche si vota in primavera) di Luca Ceriscioli. I tre governatori sono tutti indagati. Con loro, una quarantina tra ex e attuali assessori, poi tecnici, ingegneri, imprenditori, compreso Massimo Bianconi, l'amministratore delegato del crack di Banca Marche, già sotto processo per il default dell'istituto di credito. Come detto, per tutti l'accusa è di peculato, con varie gradazioni: dal concorso all'aggravato. Al centro, 20 anni di gestione dello scalo anconetano sul quale il Consiglio regionale delle Marche aveva appena terminato una sua inchiesta, pretesa dai partiti di minoranza e mal digerita da Pd. Nelle conclusioni dell'inchiesta politica che, c'è da credere, saranno confortate da quella giudiziaria, si legge: «Emerge un quadro di obbiettiva incapacità gestionale aggravata da una sostanziale assenza di controllo da parte dell'azionista di maggioranza (la Regione, ndr) che almeno dal 2008 al 2015 si è limitata a meri esborsi di denari pubblici». Il capogruppo della Lega Nord in Regione, Sandro Zaffiri, spara a palle incatenate contro l'attuale giunta presieduta da Luca Ceriscioli, inquisito insieme a tutti i suoi assessori, sostenendo che «in dieci anni hanno versato ad Aerdorica almeno 100 milioni». In realtà il buco sarebbe più grande e ci sono già stati dei processi che hanno accertato come l'aeroporto sia stato gestito malissimo, come vi siano state decine e decine di assunzioni clientelari. È già stato condannato in via definitiva per peculato Marco Morriale, ex direttore generale dello scalo, e anche il suo successore Giovanni Belluzzi è sotto inchiesta, con il faro degli inquirenti perennemente accesso sulla gestione dell'aeroporto, per una serie sconcertante di ipotesi di reato: dall'evasione fiscale, alla corruzione, fino appunto al peculato. Il risultato di anni e anni di mala gestione è che attualmente le Marche hanno il più scarso servizio aereo d'Italia, a fronte di una montagna di soldi che i cittadini hanno pagato sotto forma di tasse per mantenere aperto questo scalo agonizzante, dove di fatto vola solo Ryanair. L'attuale presidente della Regione, Luca Ceriscioli, commentando l'inchiesta che lo vede coinvolto, ha affermato: «Se guardiamo la cosa da un'altra prospettiva si potrebbe dire che i magistrati riconoscono a me e alla mia giunta di aver fatto qualcosa di straordinario: aver salvato l'aeroporto rispettando tutti i criteri necessari e mettendo così fine a un periodo molto lungo e complesso». L'ottimismo del governatore è fondato su un solo dato: la privatizzazione dello scalo perfezionata nel luglio scorso. Un successo? Bisogna leggere le cifre. In Aerdorica è entrato un socio, Nijord Partners, che detiene ora il 91,5% del capitale (il resto è rimasto alla Regione), ma dopo un aumento di capitale nel quale la Regione ha messo 25 milioni di euro. Il nuovo socio, che intanto ha licenziato una trentina di persone, si è impegnato a investire altri 15 milioni per il rilancio dello scalo. Quel giorno Ceriscioli parlò di un risultato storico, ma per adesso a fronte dei soldi versati dalla Regione il rilancio è ancora tutto da venire. Perciò Zaffiri della Lega dice: «Era ora che la magistratura indagasse su questo malaffare» e il commissario regionale di Forza Italia, Francesco Battistoni, aggiunge: «Al di là dell'inchiesta, ciò di cui il Pd e Ceriscioli devono rendere conto è di avere isolato questa Regione contribuendo al suo impoverimento». Ma il giudizio più pesante viene dai 5 stelle, che hanno escluso, al termine di una lotta interna durissima, di correre con il Pd alle prossime regionali. L'onorevole Patrizia Terzoni commenta: «L'aeroporto è la pagina più nera di tutta la politica delle Marche, una vicenda scandalosa e per sanarla serve una fortissima discontinuità con il passato». Per Luca Ceriscioli, rilanciato nelle sue ambizioni proprio dal no dei grilini all'alleanza con il Pd, la rotta verso le elezioni regionali s'annuncia costellata di turbolenze.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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