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2021-05-05
I partiti premono: «Cartabia venga in Aula»
Marta Cartabia (Ansa)
La politica si sveglia, seppure in ritardo, sulla bufera che ha investito il Csm: ieri i partiti di maggioranza e opposizione hanno chiesto al ministro della Giustizia, Marta Cartabia, di riferire urgentemente in Parlamento sulla vicenda dei verbali con le dichiarazioni dell'avvocato Piero Amara. La Cartabia dunque dovrà uscire dal letargo, probabilmente suo malgrado: ieri mattina, una scarna nota diffusa da «fonti del ministero della Giustizia» aveva fatto sapere che c'era stata una «telefonata ieri sera (l'altro ieri, ndr) tra la ministra della Giustizia e il procuratore generale della Cassazione sulla nuova bufera che ha investito il Csm. Marta Cartabia e Giovanni Salvi», proseguivano le fonti, «hanno fatto il punto della situazione e convenuto che sia la Procura generale a valutare ora iniziative disciplinari, già preannunciate. La ministra della Giustizia Marta Cartabia segue con attenzione gli sviluppi della vicenda». E meno male! Mentre il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che è anche il capo del Csm, continua a non dire mezza parola su questa incredibile vicenda, i partiti politici, come dicevamo, ieri si sono mossi, tutti, chiedendo all'ineffabile Guardasigilli di riferire in Parlamento.
Il primo a intervenire nell'aula della Camera per affrontare la questione è stato il deputato di Azione-+Europa Enrico Costa, che ha detto di ritenere necessario che «si faccia chiarezza» su quanto sta accadendo. A ruota, Pierantonio Zanettin, di Forza Italia, ha chiesto alla Cartabia di riferire sulle «inquietanti vicende che riguardano la magistratura». «Riteniamo sia urgente», ha sottolineato Roberto Turri della Lega, «che il ministro venga in Aula al più presto». Alfredo Bazoli, del Pd, ha parlato di «una vicenda dai contorni oscuri, dal carattere ambiguo, con la tecnica del dossieraggio per gettare fango e discredito. Quindi anche noi», ha aggiunto il deputato dem, «riteniamo sia opportuno un chiarimento e ci associamo alla richiesta che la ministra riferisca in Aula il prima possibile». Identica richiesta da parte di Lucia Annibali di Italia viva e Federico Conte di Leu. Ha chiesto «chiarezza e trasparenza» Eugenio Saitta, del M5s. Dall'opposizione, Galeazzo Bignami, di Fdi, ha sottolineato che «è doveroso che il ministro riferisca in Aula». «Sarà mia premura riferire al presidente Fico», ha detto il vicepresidente Andrea Mandelli, presidente di turno dell'assemblea. Durissimo il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri: «È urgente e prioritaria la commissione d'inchiesta parlamentare sul Csm e sulla magistratura. Troppe toghe oscure oggi minano un'istituzione fondamentale. Servono pulizia e verità. Troppi tacciono. E anche le massime istituzioni devono parlare. Ma Davigo», ha aggiunto Gasparri, «perché non risponde pubblicamente? E perché tanti giornalisti che lo hanno esaltato non lo incalzano? Ha parlato con la presidenza della Repubblica? Con quali istituzioni si è confrontato?».
Da una parte, dunque, il panorama politico, dall'altra il mondo della magistratura che vive in stato di fibrillazione. Inevitabilmente, visto che il Csm e quattro Procure della Repubblica - Milano, Brescia, Perugia e Roma - sono coinvolte nel caso dei verbali in cui Amara parla della presunta loggia segreta. Fino ad oggi l'ex consulente di Eni non ha consegnato agli inquirenti la lista in cui figurerebbero 40 nomi e avrebbe detto che la conserva Giuseppe Calafiore all'estero. Il clima più teso, dicevamo, si respira a Palazzo dei Marescialli, dato che uno dei protagonisti principali di questa storia è Piercamillo Davigo, il quale proprio oggi verrà ascoltato dai pm di Roma. A distanza di poco più di un anno, era l'aprile del 2020 quando l'ex toga di Mani pulite riceveva il materiale dal pm Paolo Storari (che rischia un procedimento per incompatibilità ambientale), ci si interroga su chi al Csm abbia visto le carte provenienti da Milano. Secondo la versione fornita da Davigo, il vicepresidente David Ermini e il procuratore generale della Cassazione erano a conoscenza dei verbali di Amara. Eppure dallo stesso Csm circola la voce che almeno otto consiglieri sapessero, tra questi il laico Fulvio Gigliotti e i togati di Area (corrente progressista) Giuseppe Cascini e Giuseppe Marra di A&i.
Ieri si è mosso anche il tribunale di Milano: il suo presidente Roberto Bichi ha acquisito dalla Procura di Brescia gli atti del fascicolo archiviato che era stato aperto dopo che i pm milanesi, su decisione del loro capo Francesco Greco, avevano trasmesso ai colleghi passaggi di un verbale di Amara in cui gettava un'ombra sui giudici del processo Eni-Nigeria. Greco dovrà anche presentare due relazioni sulla vicenda Amara: una al procuratore generale della Cassazione Salvi e l'altra a Francesca Nanni, pg della Corte di Appello di Milano. Ma non è finita qui, perché la Procura di Brescia, competente in materia penale sui colleghi meneghini, ha formalmente aperto un fascicolo. Domani la decisione del tribunale del Riesame di Roma sulla restituzione del materiale sequestrato all'ex segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, indagata per calunnia.
Ora i dem «riabilitano» Berlusconi riesumando il processo breve
Mai più indagati per sempre. Basta indagini che non si sa quando iniziano, quando finiscono e, soprattutto, come finiscono. Con l'effetto di trasformare per anni e anni un qualunque cittadino in una specie di imputato fantasma, condannato ancor prima di una sentenza a perdere serenità, affetti, offerte di lavoro, solo e unicamente per l'inerzia del pm di turno. L'occasione di mettere fine a una delle storture più gravi dei processi italiani è nella legge delega per la riforma del rito penale, in discussione alla Camera in commissione Giustizia, dove si sta facendo largo l'idea che se si vuole limitare il fenomeno della prescrizione, si deve intervenire innanzitutto sulle indagini preliminari. Un vecchio cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi e di Forza Italia, che però oggi è stato fatto proprio dal Pd, andando oltre, con una serie di emendamenti, perfino al già puntuale intervento dell'Unione camere penali italiane (Ucpi).
Il provvedimento base è quello varato dal governo Conte bis la scorsa primavera, 18 articoletti preparati dall'allora ministro Alfonso Bonafede, volenterosi, ma scoordinati e poco ambiziosi. Adesso che in Via Arenula c'è Marta Cartabia, i partiti che appoggiano il governo di Mario Draghi hanno capito che in Parlamento la delega può essere migliorata. E in commissione a Montecitorio, ieri, l'avvocato siciliano e deputato del Pd Carmelo Miceli ha presentato una serie di emendamenti assai garantisti, che guardano apertamente anche alle posizioni di Azione, Italia viva, di gran parte di Forza Italia e della Lega. In sostanza, grillini a parte, le proposte di Miceli hanno buona possibilità di successo, se la Camera non farà l'errore di spaccarsi nei soliti due fronti, ovvero «amici dei magistrati» contro «amici degli avvocati».
Le novità mirano a imporre ai pm, dopo 18-24 mesi dall'iscrizione dell'indagato (a seconda della gravità dei reati), di rispondere entro un tempo certo e ragionevolmente breve (tra uno e sei mesi) su come intendano definire il procedimento: richiesta di archiviazione, o richiesta di rinvio a giudizio. E in caso di inerzia, scatta l'obbligo di discovery delle indagini di fronte al Gip. Lo scopo è evitare che si ripetano casi purtroppo comuni, come quelli di indagati per truffa aggravata tra privati che sono rimasti nel limbo per quattro e mezzo. Del resto, le ultime statistiche del ministero della Giustizia (primo semestre 2018) dicono che il 53% delle prescrizioni è dovuto a indagini lumaca.
Di fatto, l'istanza immaginata dagli emendamenti (rivolta al procuratore capo) mette in mora il pm pigro o confusionario. Nel caso non ci siano persone offese del reato, l'indagato chiede semplicemente la definizione della sua posizione. Nel caso vi sia una persona offesa, l'istanza viene notificata anche a essa, in modo che possa naturalmente «controllare» di fronte a un giudice che cosa intende fare davvero la Procura.
«Con il Recovery abbiamo un'occasione unica, snellire la giustizia, non solo civile, ma anche penale», spiega Miceli alla Verità. Perché gli stranieri non verranno mai in Italia a investire sulle grandi opere infrastrutturali se poi basta una sequestro preventivo per un presunto reato ambientale (deciso magari da un pm di una piccola Procura a caccia di notorietà), per bloccare un cantiere per anni e anni. La proposta di tempi certi, aggiunge il deputato dem, «consente allo stesso pm, che magari non aveva tempo di scrivere e motivare la richiesta di proscioglimento, di rispondere in tempi rapidi all'istanza dell'indagato».
Non che la delega del governo non si fosse posta il problema, ma la soluzione adottata era stata bocciata anche dai penalisti. In particolare, in un documento dei primi di aprile, l'Ucpi lamentava «l'assenza di qualsiasi sanzione» concreta per i pm dormiglioni. E il fatto che anche «la discovery resta fine a se stessa, non essendo finalizzata ad un contraddittorio dinanzi a un giudice terzo». Peraltro, osserva ancora l'Ucpi, «la negligenza rilevante ai fini disciplinari è solo quella inescusabile». Che da noi è una mosca bianca.
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Le forze politiche si svegliano e chiedono al Guardasigilli, pronta a scaricare il dossier alla Procura generale della Cassazione, di riferire in Parlamento sullo scandalo Csm. Forza Italia alza il tiro: «Troppe toghe oscure, serve una commissione d'inchiesta».Carmelo Miceli vuole imporre ai pm un limite di 18-24 mesi per decidere sugli indagati.La politica si sveglia, seppure in ritardo, sulla bufera che ha investito il Csm: ieri i partiti di maggioranza e opposizione hanno chiesto al ministro della Giustizia, Marta Cartabia, di riferire urgentemente in Parlamento sulla vicenda dei verbali con le dichiarazioni dell'avvocato Piero Amara. La Cartabia dunque dovrà uscire dal letargo, probabilmente suo malgrado: ieri mattina, una scarna nota diffusa da «fonti del ministero della Giustizia» aveva fatto sapere che c'era stata una «telefonata ieri sera (l'altro ieri, ndr) tra la ministra della Giustizia e il procuratore generale della Cassazione sulla nuova bufera che ha investito il Csm. Marta Cartabia e Giovanni Salvi», proseguivano le fonti, «hanno fatto il punto della situazione e convenuto che sia la Procura generale a valutare ora iniziative disciplinari, già preannunciate. La ministra della Giustizia Marta Cartabia segue con attenzione gli sviluppi della vicenda». E meno male! Mentre il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che è anche il capo del Csm, continua a non dire mezza parola su questa incredibile vicenda, i partiti politici, come dicevamo, ieri si sono mossi, tutti, chiedendo all'ineffabile Guardasigilli di riferire in Parlamento. Il primo a intervenire nell'aula della Camera per affrontare la questione è stato il deputato di Azione-+Europa Enrico Costa, che ha detto di ritenere necessario che «si faccia chiarezza» su quanto sta accadendo. A ruota, Pierantonio Zanettin, di Forza Italia, ha chiesto alla Cartabia di riferire sulle «inquietanti vicende che riguardano la magistratura». «Riteniamo sia urgente», ha sottolineato Roberto Turri della Lega, «che il ministro venga in Aula al più presto». Alfredo Bazoli, del Pd, ha parlato di «una vicenda dai contorni oscuri, dal carattere ambiguo, con la tecnica del dossieraggio per gettare fango e discredito. Quindi anche noi», ha aggiunto il deputato dem, «riteniamo sia opportuno un chiarimento e ci associamo alla richiesta che la ministra riferisca in Aula il prima possibile». Identica richiesta da parte di Lucia Annibali di Italia viva e Federico Conte di Leu. Ha chiesto «chiarezza e trasparenza» Eugenio Saitta, del M5s. Dall'opposizione, Galeazzo Bignami, di Fdi, ha sottolineato che «è doveroso che il ministro riferisca in Aula». «Sarà mia premura riferire al presidente Fico», ha detto il vicepresidente Andrea Mandelli, presidente di turno dell'assemblea. Durissimo il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri: «È urgente e prioritaria la commissione d'inchiesta parlamentare sul Csm e sulla magistratura. Troppe toghe oscure oggi minano un'istituzione fondamentale. Servono pulizia e verità. Troppi tacciono. E anche le massime istituzioni devono parlare. Ma Davigo», ha aggiunto Gasparri, «perché non risponde pubblicamente? E perché tanti giornalisti che lo hanno esaltato non lo incalzano? Ha parlato con la presidenza della Repubblica? Con quali istituzioni si è confrontato?».Da una parte, dunque, il panorama politico, dall'altra il mondo della magistratura che vive in stato di fibrillazione. Inevitabilmente, visto che il Csm e quattro Procure della Repubblica - Milano, Brescia, Perugia e Roma - sono coinvolte nel caso dei verbali in cui Amara parla della presunta loggia segreta. Fino ad oggi l'ex consulente di Eni non ha consegnato agli inquirenti la lista in cui figurerebbero 40 nomi e avrebbe detto che la conserva Giuseppe Calafiore all'estero. Il clima più teso, dicevamo, si respira a Palazzo dei Marescialli, dato che uno dei protagonisti principali di questa storia è Piercamillo Davigo, il quale proprio oggi verrà ascoltato dai pm di Roma. A distanza di poco più di un anno, era l'aprile del 2020 quando l'ex toga di Mani pulite riceveva il materiale dal pm Paolo Storari (che rischia un procedimento per incompatibilità ambientale), ci si interroga su chi al Csm abbia visto le carte provenienti da Milano. Secondo la versione fornita da Davigo, il vicepresidente David Ermini e il procuratore generale della Cassazione erano a conoscenza dei verbali di Amara. Eppure dallo stesso Csm circola la voce che almeno otto consiglieri sapessero, tra questi il laico Fulvio Gigliotti e i togati di Area (corrente progressista) Giuseppe Cascini e Giuseppe Marra di A&i. Ieri si è mosso anche il tribunale di Milano: il suo presidente Roberto Bichi ha acquisito dalla Procura di Brescia gli atti del fascicolo archiviato che era stato aperto dopo che i pm milanesi, su decisione del loro capo Francesco Greco, avevano trasmesso ai colleghi passaggi di un verbale di Amara in cui gettava un'ombra sui giudici del processo Eni-Nigeria. Greco dovrà anche presentare due relazioni sulla vicenda Amara: una al procuratore generale della Cassazione Salvi e l'altra a Francesca Nanni, pg della Corte di Appello di Milano. Ma non è finita qui, perché la Procura di Brescia, competente in materia penale sui colleghi meneghini, ha formalmente aperto un fascicolo. Domani la decisione del tribunale del Riesame di Roma sulla restituzione del materiale sequestrato all'ex segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, indagata per calunnia.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-partiti-premono-cartabia-venga-in-aula-2652875465.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ora-i-dem-riabilitano-berlusconi-riesumando-il-processo-breve" data-post-id="2652875465" data-published-at="1620153472" data-use-pagination="False"> Ora i dem «riabilitano» Berlusconi riesumando il processo breve Mai più indagati per sempre. Basta indagini che non si sa quando iniziano, quando finiscono e, soprattutto, come finiscono. Con l'effetto di trasformare per anni e anni un qualunque cittadino in una specie di imputato fantasma, condannato ancor prima di una sentenza a perdere serenità, affetti, offerte di lavoro, solo e unicamente per l'inerzia del pm di turno. L'occasione di mettere fine a una delle storture più gravi dei processi italiani è nella legge delega per la riforma del rito penale, in discussione alla Camera in commissione Giustizia, dove si sta facendo largo l'idea che se si vuole limitare il fenomeno della prescrizione, si deve intervenire innanzitutto sulle indagini preliminari. Un vecchio cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi e di Forza Italia, che però oggi è stato fatto proprio dal Pd, andando oltre, con una serie di emendamenti, perfino al già puntuale intervento dell'Unione camere penali italiane (Ucpi). Il provvedimento base è quello varato dal governo Conte bis la scorsa primavera, 18 articoletti preparati dall'allora ministro Alfonso Bonafede, volenterosi, ma scoordinati e poco ambiziosi. Adesso che in Via Arenula c'è Marta Cartabia, i partiti che appoggiano il governo di Mario Draghi hanno capito che in Parlamento la delega può essere migliorata. E in commissione a Montecitorio, ieri, l'avvocato siciliano e deputato del Pd Carmelo Miceli ha presentato una serie di emendamenti assai garantisti, che guardano apertamente anche alle posizioni di Azione, Italia viva, di gran parte di Forza Italia e della Lega. In sostanza, grillini a parte, le proposte di Miceli hanno buona possibilità di successo, se la Camera non farà l'errore di spaccarsi nei soliti due fronti, ovvero «amici dei magistrati» contro «amici degli avvocati». Le novità mirano a imporre ai pm, dopo 18-24 mesi dall'iscrizione dell'indagato (a seconda della gravità dei reati), di rispondere entro un tempo certo e ragionevolmente breve (tra uno e sei mesi) su come intendano definire il procedimento: richiesta di archiviazione, o richiesta di rinvio a giudizio. E in caso di inerzia, scatta l'obbligo di discovery delle indagini di fronte al Gip. Lo scopo è evitare che si ripetano casi purtroppo comuni, come quelli di indagati per truffa aggravata tra privati che sono rimasti nel limbo per quattro e mezzo. Del resto, le ultime statistiche del ministero della Giustizia (primo semestre 2018) dicono che il 53% delle prescrizioni è dovuto a indagini lumaca. Di fatto, l'istanza immaginata dagli emendamenti (rivolta al procuratore capo) mette in mora il pm pigro o confusionario. Nel caso non ci siano persone offese del reato, l'indagato chiede semplicemente la definizione della sua posizione. Nel caso vi sia una persona offesa, l'istanza viene notificata anche a essa, in modo che possa naturalmente «controllare» di fronte a un giudice che cosa intende fare davvero la Procura. «Con il Recovery abbiamo un'occasione unica, snellire la giustizia, non solo civile, ma anche penale», spiega Miceli alla Verità. Perché gli stranieri non verranno mai in Italia a investire sulle grandi opere infrastrutturali se poi basta una sequestro preventivo per un presunto reato ambientale (deciso magari da un pm di una piccola Procura a caccia di notorietà), per bloccare un cantiere per anni e anni. La proposta di tempi certi, aggiunge il deputato dem, «consente allo stesso pm, che magari non aveva tempo di scrivere e motivare la richiesta di proscioglimento, di rispondere in tempi rapidi all'istanza dell'indagato». Non che la delega del governo non si fosse posta il problema, ma la soluzione adottata era stata bocciata anche dai penalisti. In particolare, in un documento dei primi di aprile, l'Ucpi lamentava «l'assenza di qualsiasi sanzione» concreta per i pm dormiglioni. E il fatto che anche «la discovery resta fine a se stessa, non essendo finalizzata ad un contraddittorio dinanzi a un giudice terzo». Peraltro, osserva ancora l'Ucpi, «la negligenza rilevante ai fini disciplinari è solo quella inescusabile». Che da noi è una mosca bianca.
Elon Musk (Ansa)
La controffensiva del magnate galvanizza X. Viktor Orbán scrive che «l’attacco della Commissione dice tutto. Quando i padroni di Bruxelles non riescono a spuntarla nel dibattito, arrivano alle multe. L’Europa ha bisogno della libertà d’espressione, non di burocrati non eletti che decidono cosa possiamo leggere o dire. Giù il cappello per Elon Mask perché ha tenuto il punto». Geert Wilders, leader sovranista olandese, se la prende con l’esecutivo di Ursula von der Leyen: «Nessuno vi ha eletto», twitta. «Non rappresentate nessuno. Siete un’istituzione totalitaria e non riuscite nemmeno a dividere in sillabe le parole “libertà d’espressione”. Non dovremmo accettare la multa a X, semmai abolire la Commissione Ue». Musk applaude: «Assolutamente! La Commissione Ue venera il dio della burocrazia, che soffoca il popolo d’Europa».
Oltreoceano, intanto, parte la rappresaglia. Reuters riferisce che il Dipartimento di Stato studia una stretta sui visti per chi si è reso «responsabile o complice della censura o del tentativo di censura di espressioni protette negli Stati Uniti». A cominciare dai fact checker dei social. Il vice di Marco Rubio, Christopher Landau, reduce dalle accuse di filocastrismo a Federica Mogherini, lancia poi una sorta di ultimatum: «O le grandi nazioni d’Europa sono nostri partner nella protezione della civiltà occidentale che abbiamo ereditato da loro, oppure non lo sono. Ma non possiamo fingere di essere partner mentre quelle nazioni permettono alla burocrazia non eletta, antidemocratica e non rappresentativa dell’Ue a Bruxelles di perseguire politiche di suicidio di civiltà». Il diplomatico lamenta: i medesimi Paesi, «quando indossano il cappello della Nato, insistono sulla cooperazione transatlantica come elemento centrale della sicurezza. Ma quando hanno il cappello dell’Ue portano avanti ogni sorta di agenda che spesso è totalmente contraria agli interessi e alla sicurezza degli Stati Uniti».
La lite scoppia, appunto, a 24 ore dalla pubblicazione del testo con cui la Casa Bianca ha ridefinito le proprie priorità. I media italiani lo hanno recepito con sgomento. Il Corriere, ieri, parlava di «attacco choc all’Europa». Secondo Repubblica, «Trump scarica l’Europa». La Stampa era listata a lutto: «Addio Europa, strappo americano». «Con la National security strategy di Trump l’America è ufficialmente un avversario», recitava l’editoriale di Giuliano Ferrara sul Foglio.
La Commissione Ue ha rivendicato la sua autonomia: decidiamo noi per noi, anche su libertà d’espressione e «ordine internazionale fondato sulle regole». Nel documento di Washington, ha ammesso Kaja Kallas, «ci sono molte critiche, ma credo che alcune siano anche vere. Se si guarda all’Europa, si nota che ha sottovalutato il proprio potere nei confronti della Russia. Dovremmo avere più fiducia in noi stessi. Gli Stati Uniti sono ancora il nostro più grande alleato». Piccato il premier polacco, Donald Tusk: l’Europa, ha spiegato agli «amici americani», è « il vostro più stretto alleato». E «abbiamo nemici comuni. A meno che non sia cambiato qualcosa». Lucida l’analisi di Guido Crosetto. Il ministro della Difesa ha sottolineato che lo spostamento del fulcro degli interessi strategici Usa, dal Vecchio continente all’Indo-Pacifico, era una «traiettoria evidente già prima dell’avvento di Trump, che ha soltanto accelerato un percorso irreversibile». Quando il processo è cominciato, non tutti erano attenti: nel 2000, George W. Bush fece rientrare diverse unità di stanza in Germania; Barack Obama richiamò un paio di brigate, per un totale di 8.000 soldati. E fu lui a stabilire che il futuro «perno» (pivot) della politica statunitense sarebbe stato l’Asia. The Donald, peraltro, ci ha tenuto a precisare che «l’Europa rimane strategicamente e culturalmente vitale per gli Stati Uniti». Crosetto ha insistito sulla necessità di mobilitare, insieme al resto dell’Unione, gli «investimenti pubblici e privati» necessari a «recuperare il tempo perso su tecnologie fondamentali» per diventare militarmente autosufficienti.
Ma se qualcuno ha invocato la collaborazione tra Stati membri per mettere in pratica un caposaldo del piano Trump (l’Europa deve imparare a «reggersi in piedi da sola», recita il manifesto), qualcun altro ha approfittato dello «choc» di cui sul Corsera per rilanciare il vecchio pallino: l’alleanza con Pechino. Da più Europa a più Cina è un attimo.
Ne ha discusso sul quotidiano di Torino, col pretesto di contestare il protezionismo del golden power, l’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Dimenticando che la penetrazione dei capitali del Dragone equivale a un commissariamento dei nostri asset.
L’intervento di Romano Prodi sul Messaggero, invece, più che malevolo è apparso surreale. In sintesi: siccome quel puzzone del tycoon si mette d’accordo con le autocrazie, noi dobbiamo... metterci d’accordo con un’autocrazia. «Finora», ha notato l’ex premier, «soltanto la Cina sta preparando una strategia alternativa, non solo usando le terre rare come arma di guerra ma, soprattutto, sostituendo il mercato americano con un’accresciuta presenza in tutto il resto del mondo». È in questo spazio che, a suo avviso, dovrebbero incunearsi gli europei. Per evitare «il collasso finale di quello che resta della globalizzazione», sostiene Prodi. In funzione di utili idioti, temiamo noi. Peccato che, ha sospirato il fondatore dell’Ulivo, né l’Ue né i dirigenti di Pechino sembrino «in grado di preparare la strada per arrivare al necessario compromesso». Alla faccia degli infausti vaticini di Trump: se è così, possiamo ancora salvarci.
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E’ una ricetta omnibus che nelle giornate di freddo predispone a piatto conviviale e succulento. Certo il primato spetta ai milanesi che servono l’ossobuco con il loro magnificente risotto giallo ma di fatto, essendo questo un taglio di carne, a torto definito povero, è una preparazione che si trova in tutte le zone urbane d’Italia. Condizione necessaria era che ci fosse un macello ed è errata convinzione che in campagna si mangiasse tanta carne; ci pensate al contadino che si ciba del suo “trattore”?
Dunque potremmo dire che questa è una ricetta piccolo-borghese, ma enorme nel sapore. Noi ve la proponiamo alla toscana, ancorché semplificata. Invece dei pelati ci siamo limitati al concentrato di pomodoro, ma il risultato è ottimo!
Ingredienti – 4 ossibuchi di generose dimensioni, tre cipolle, tre coste di sedano, tre carote, una patata, un paio di pomodorini, 6 cucchiai di farina 0, 60 gr di burro e 80 gr di olio extravergine di oliva, 3 cucchiai di concentrato di pomodoro, 3 foglie di alloro e 3 di salvia, un mazzetto di prezzemolo, un bicchiere di vino bianco secco, sale e pepe qb.
Procedimento – Con una carota, una cipolla, una costa di sedano, la patata e i pomodorini preparate un brodo vegetale mettendo le verdure a bollire in almeno un paio litri di acqua. In un tegame capiente fate fondere il burro nell’olio extravergine di oliva e sistemateci le foglie di salvia e alloro. Infarinate gli ossibuchi e passateli in tegame a fiamma vivace in modo che si sigillino. Nel frattempo con le altre verdure fate un battuto grossolano. Sfumate gli ossibuchi col vino bianco e quando la parte alcolica è evaporata toglieteli dal tegame e teneteli da parte. Fate stufare il battuto nel tegame e appena le cipolle diventano trasparenti rimettete in cottura gli ossibuchi. Coprite con il brodo vegetale, aggiungete il concentrato di pomodoro, fate sciogliere e lasciate andare per almeno un ora e mezza. Aggiustate di sale e di pepe, aggiungete il prezzemolo tritato e servite.
Come fa divertire i bambini – Fate infarinare a loro gli ossibuchi vedrete che ne saranno entusiasti
Abbinamento – Abbiamo scelto un Chianti Classico Gran selezione, va benissimo un Nobile di Montepulciano; in alternativa il rosso dei milanesi il San Colombano o una Barbera monferrina, astigiana o dell’Oltrepò
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