2021-07-22
Il green pass farà danni se non si usa buon senso
La proposta di Confindustria di introdurre il foglio verde anche per andare in ufficio e in fabbrica ha suscitato lo sdegno di sinistra e sindacati. Gli stessi favorevoli a vietare eventi, locali, viaggi e mezzi pubblici a chi non è vaccinato e a licenziare docenti e sanitari Per evitare che qualche intelligentone mi annoveri fra coloro che credono che insieme al vaccino venga inoculato un microchip che ci trasformerà tutti in sudditi delle Big Pharma, chiarisco subito che non sono contro la campagna di immunizzazione. Per quanto mi riguarda, mi sono prenotato un secondo dopo che era stato annunciato il mio turno e dunque ho ricevuto la prima e anche la seconda dose e oggi sono in possesso del famoso green pass. Se mi permetto di fare qualche riflessione sull'argomento e di manifestare qualche perplessità sul decreto che renderebbe obbligatorio il lasciapassare, non è dunque per fatto personale, ma semmai perché cerco di fare uso di quel po' di buonsenso che dovrebbe guidare ogni amministratore. Chi sostiene a spada tratta i vaccini dice che si devono penalizzare gli scettici che non si decidono a farsi inoculare, impedendo loro di salire sui mezzi pubblici e magari anche di andare al bar e al ristorante. Tralascio, perché ne ho già scritto, le conseguenze pratiche di un simile provvedimento, che scaricherebbe sui conducenti di autobus, su baristi e ristoratori l'obbligo dei controlli. Immagino a Milano le file alle fermate del tram e quelle agli ingressi delle metropolitane. Ma in fondo, il caos che si genererebbe è niente, perché prima di tutto viene la salute, come non si stanca di dire chi sostiene il vaccino senza se e senza ma. Eppure, se si ritiene giusto obbligare le persone a vaccinarsi per poter salire su un autobus, non si capisce perché lo stesso non debba avvenire per chi va a scuola o si reca in un posto di lavoro. Che differenza fa? Anzi: che senso ha richiedere il green pass sul treno e non al supermercato oppure in ufficio? E tuttavia, mentre si applaude all'iniziativa del lasciapassare per chi viaggia, l'idea di un lasciapassare sui luoghi di lavoro ha suscitato una levata di scudi. Alla proposta di Confindustria di imporre il green pass anche in azienda, pena la sospensione dalle mansioni e dallo stipendio, la Cgil e i compagni sono subito insorti, rivendicando i diritti delle classi lavoratrici. Ma operai e impiegati sono tali solo quando incassano la busta paga o lo sono anche prima e subito dopo? E allora che senso ha chiedere il certificato quando si va al lavoro e non quando si è al lavoro? Uno studente deve avere il lasciapassare se sale sull'autobus, ma non quando entra in classe? Al ristorante si è obbligati a esibirlo, ma se c'è da sgobbare no? Insomma, l'autorizzazione è ritenuta indispensabile a ore e condizioni alterne? Anche un bambino capisce che il provvedimento o è necessario per assicurare la salute di tutti (e dunque si è costretti a derogare a un po' di diritti), o non lo è. Ma nel momento in cui si apre la porta a una misura che lede la libertà di qualcuno, per esempio di viaggiare e di prendere i mezzi pubblici o di sedersi al tavolo di un ristorante, poi la lesione può estendersi ad altri diritti, ovvero quello di lavorare. Non so se ci avete mai pensato, ma la sospensione di medici e infermieri che non risultano ancora vaccinati, con relativa sospensione dallo stipendio, si può estendere ad altre categorie di lavoratori. Per esempio alle commesse, oppure ai bidelli o anche solo agli impiegati di qualsiasi azienda o di qualsiasi esercizio che preveda un contatto con altri. Perché infatti ai sanitari deve essere applicato un regime di particolare rigore e ad altri no? Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e hanno gli stessi diritti. Dunque, cari compagni che oggi reagite con sdegno alla proposta di Confindustria, che facciamo? Adeguiamo l'obbligo del green pass a tutti o lo estendiamo solo a chi non ci piace? La verità è che quando si vieta o si rende obbligatorio qualche cosa si sa dove si inizia, ma non si sa dove si finisce. E su questo dovrebbe riflettere la nota giureconsulta Ilaria Capua, che dall'alto delle sue competenze scientifiche e dalla sua casa in Florida ieri ha lanciato la proposta di far pagare ai no vax i danni collaterali del loro comportamento, ovvero di introdurre un ticket per chi non si sia immunizzato per scelta, dando per scontato che se si contagia è colpa sua. Ma questo concetto ne introduce subito un altro: siccome chi fuma si espone al rischio di ammalarsi di cancro, perché non scaricare su di lui i costi di un possibile ricovero in ospedale? E già che ci siamo, visto che il diabete è spesso conseguenza di cattive abitudini alimentari, perché non presentare il conto a chi non si mette a dieta? Le persone sono sovrappeso perché mangiano male e non possono permettersi menù equilibrati o palestre, cioè perché appartengono ai ceti popolari? Ma in nome della salute, se si introduce il ticket per i No vax si può arrivare anche alla franchigia per i No diet. E poi, ce la vogliamo dire un'altra cosa? Ma se un ragazzino di 14 anni non è immunizzato e i genitori sì, sul treno delle vacanze potranno salire solo papà e mamma o il minorenne, pur a rischio Covid, sarà esentato dal green pass? Sono tutte domande a cui gli intelligentoni favorevoli a confinare in casa chiunque non sia vaccinato non sanno o non vogliono rispondere.
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