2024-11-16
I paesotti «tranquilli e patriarcali» decantati nei reportage di Simenon
Lo scrittore belga fu un giramondo: la caccia ai collaborazionisti nella Francia del dopoguerra lo portò a rifugiarsi in Canada e Usa. Qui rimase colpito dalle case di campagna, tanto semplici quanto comode.Qualche mese fa abbiamo indugiato su Lettera a mia madre (1974) di Georges Simenon, epistola in forma di libro composta dallo scrittore belga a seguito della morte della madre, Henrietta Maria Brüll. In quel caso la natura indagata non era il paesaggio o l’ambiente, nelle sue molteplici validità, bensì la più semplice e immediata natura umana, in quel caso la natura probabilmente più cara che nutriamo ed esercitiamo, quella dei rapporti spesso complessi, dannatamente dolorosi, altalenanti, coi genitori che ci siamo trovati in dono dalla biologia o dal destino, a seconda dei punti di vista.Ora invece sbirceremo la vastità della produzione letteraria e giornalistica simenoniana adottando un altro criterio: il luogo. Nel 1945, Georges Simenon decide di portare la sua famiglia in Nord America, la guerra è appena terminata e l’aver in qualche misura collaborato con gli occupanti in terra di Francia diventa causa di minacce e di articoli di denuncia sui giornali; oltremodo il fratello, Christian, era stato militante di destra e aveva partecipato a spedizioni punitive che avevano causato diversi morti. Tutto questo lo consigliano di partire prima che la situazione possa farsi tragica e così il 5 ottobre, lo scrittore, sua moglie Tigy e il figlio Marc atterrano a New York. In attesa di trasferirsi in Canada, restano per alcuni giorni nella metropoli, giusto il tempo per assumere una nuova segretaria, Denyse Ouimet, che diventerà la sua nuova amante e in seguito la seconda moglie. Ma a parte le dinamiche amorose, come sappiamo labirintiche nella vita di Simenon, quel che impatta nella sua pronta immaginazione sono gli edifici, il trambusto della gente per strada, nelle piazze, nei parchi e nei musei, quel brulichio di individualità che entra e che esce, che procede. Tutto questo viversi entrerà immediatamente nella scrittura e infatti lo si evidenzia nelle pagine di uno dei più romantici tra i suoi romanzi, Tre camere a Manhattan, storia più o meno travestita del suo innamoramento con Denyse animata in tre diverse stanze della città-mondo: i protagonisti, Kai e François, si ameranno in una camera d’albergo, quindi nella camera disadorna dell’appartamento di lui, un emigrato francese, un tempo famoso attore caduto in disgrazia, e nell’appartamento di lei, che convive con un’altra donna. Intorno a loro l’ambiente di New York con tutti gli occhi che spiano, le voci che mormorano.A novembre i Simenon allargati si trasferiscono in Quebec, in una località che ha un nome che è già avventura: Sainte Marguerite-du-Lac-Masson. Qui, nel mese di dicembre, lo scrittore che non conosce pausa termina Tre camere, mentre nei primi mesi del 1946 fa in tempo a comporre quattro romanzi, due Maigret e due altri, poi si trasferisce negli Stati Uniti, dapprima in Florida, quindi in Arizona, dove resteranno fino all’ottobre del 1949, a Carmel in California, per un anno, dunque a Lakeville, nel Connecticut, dove invece risiederanno stabilmente a Shadow Rock Farm fino alle prime settimane del 1955, allorquando saluteranno il Nord America per fare ritorno in Europa. In questo lasso di tempo, Simenon scriverà 24 storie di Maigret (ops) e alcuni dei suoi più bei romanzi non polizieschi, tra i quali L’Orologiaio di Everton, La neve era sporca, Luci nella notte, La morte di Belle, Delitto impunito, La mano, Il fondo della bottiglia e, addirittura, un western alla Sergio Leone, Il ranch della Giumenta Perduta, con tanto di pistolero solitario a cavallo.Il paesaggio trionfa nelle pagine dei suoi romanzi americani, ma ancor più nel reportage che va a comporre facendo un viaggio in Chevrolet, allorché i Simenon partono dal Maine e arrivano a Sarasota e Anna Maria Island, sul Golfo del Messico, 5.000 chilometri dopo. Questi appunti presi sono ora pubblicati in L’America in automobile (Piccola Billioteca Adelphi, traduzione di Federica Di Lella e Maria Laura Vanorio, con una nota dell’immancabile Ena Marchi, attualmente una delle più attenti lettrici dell’opera simenoniana nel nostro Paese); il volume abbraccia il reportage e due brevi testi scritti nel 1952 e nel 1958. Oltre che romanziere e novellista, Simenon è stato un prolifico autore di reportage, ne scrisse più di 30 per varie testate giornalistiche, girando il mondo, tra il 1931 e appunto gli anni americani, attraversando la Francia, le isole dell’America centrale, le Galapagos, Tahiti, il Bosforo e diversi Paesi. Simenon visita gli ampi spazi statunitensi con la curiosità del turista che vuole aprire quelle piccole chiesette di legno isolate nel paesaggio, simbolo di una dimensione agreste e quieta della vita, ed entrare in quelle case grandi che si incontrano lontano dagli agglomerati urbani torreggianti, sedere magari sulle sedie a dondolo scricchiolanti nei portici, sorseggiare una birra o un whisky al farsi del tramonto, e parlottare cullati da una luce in una cucina dal grande tavolo, coi tostapane lucidi, le pentole appese ai muri, i telefoni neri col ricevitore da film. Simenon ama tutto questo aspetto «tranquillo e quasi patriarcale», paesotti stretti intorno a poche vie e un mucchio di negozi. Ecco cosa scrive ad esempio delle case: «Case di legno, naturalmente. Ma sarebbe sbagliato credere che assomiglino a quegli chalet smontabili che da noi vengono costruiti in serie per le periferie. Sono vere e proprie case. Ce ne sono di immense, di un lusso stupefacente. Alcune potrebbero rivaleggiare con un castello. E sono incredibilmente confortevoli. L’inverno scorso vivevo in una così in Canada: con 30 gradi sotto zero, non abbiamo mai avuto freddo. In un’altra, grande e luminosa, ho abitato quest’estate, sulla costa atlantica, e non abbiamo sofferto né per il caldo né per il vento. Ora sto in un’altra di queste case qui al Sud. Alcune risalgono a più di un secolo fa. Una delle più antiche case degli Stati Uniti, a Provincetown, costruita nel 1625, è di legno».Simenon ama di queste case nelle campagne le poche cose, le grandi poltrone e i divani immensamente comodi dei living room, orgoglio di qualsiasi padrona di casa. Le pareti sono tinteggiate da colori tenui, i copriletti fatti in casa. Nella sua fame di dettagli, il belga ci regala anche i prezzi di una spesa: mezzo chilo di manzo 60 franchi, mezzo litro di latte 24 franchi, una pagnotta 32 franchi, un pacchetto di sigarette 312 franchi, una pipa da 500 a 2000 franchi. E una macchina da scrivere? Annota «difficile da trovare»: 18.000 franchi. Curioso che ragionasse ancora in franchi e non già in dollari.