2021-03-23
A scuola non ci si infetta, al governo si litiga
Lo studio su 7,3 milioni di studenti: le aule sono sicure, positività tra i ragazzi sotto l'1%. Elena Bonetti: «Si valuti apertura in zone rosse» Lo studio è autorevole, visto che è frutto dell'impegno collettivo di epidemiologi, medici, biologi e statistici, che hanno lavorato sui numeri ufficiali del ministero dell'Istruzione, della Protezione civile e delle Agenzie per la tutela della salute. Ed è (...) imponente, visto che ha coinvolto 7,3 milioni di studenti e 770.000 docenti. Lo studio - imponente e autorevole - certifica che la scuola è «uno dei luoghi più sicuri rispetto alle possibilità di un contagio» da Covid. Eppure fin qui nessuno l'ha considerato, lo studio: non c'è stato uno straccio di politico che l'abbia preso sul serio. Così l'assurda sottovalutazione, oggi, si trasforma in scandalo. Anche perché, mentre Austria, Belgio, Francia, Gran Bretagna e Spagna tengono aperte le loro scuole, dal 15 marzo gli istituti italiani di ogni ordine e grado sono stati nuovamente chiusi per l'emergenza Covid. La notizia sull'esistenza dello studio è uscita ieri sul Corriere della Sera, ma online se ne trovano tracce già dallo scorso dicembre. Tre mesi fa, inascoltata, aveva cercato di farne emergere l'importanza una delle sue coordinatrici: Sara Gandini, docente di epidemiologia alla Statale di Milano e biostatistica dell'Istituto europeo di oncologia. «È un grosso lavoro», racconta la docente in un video che ancora oggi galleggia in Rete, «e abbiamo iniziato a lavorarci da maggio». I dati studiati dall'equipe vanno da settembre a dicembre 2020, e coinvolgono il 97% degli istituti scolastici italiani. «Tutti i numeri dimostrano che la scuola è un luogo sicuro», dice la professoressa Gandini, «perché l'incidenza dei positivi tra i giovani di tutte le Regioni è significativamente inferiore a quella della popolazione generale. In media abbiamo trovato tra di loro un 39% di positivi in meno». Intervistata dal Corriere, ieri l'epidemiologa è tornata a cercare di divulgare i risultati del suo studio, fin qui così assurdamente ignorati: «I numeri dicono che l'impennata dell'epidemia osservata tra ottobre e novembre non può essere imputata all'apertura delle scuole», ha confermato. Il dato statistico sembra inoppugnabile: il tasso di positività dei ragazzi è inferiore all'1%. E lo studio ha dimostrato che anche gli aumenti dell'indice di trasmissione non hanno avuto alcuna relazione con le date di apertura delle scuole. «Anzi», dice la docente, «a volte è vero esattamente l'opposto». A Roma, per esempio, le scuole hanno aperto 10 giorni prima di Napoli, ma la curva dei malati nella Capitale s'è impennata 12 giorni dopo. «I giovani», insiste l'epidemiologa, «contagiano in media il 50% in meno rispetto agli adulti, che sono i veri responsabili della crescita della curva pandemica. E questo si conferma anche con la variante inglese». L'ha appena confermato la rivista Nature, che a fine febbraio ha pubblicato una ricerca condotta da Public health England, agenzia britannica per la sanità, che attribuisce ai giovani sotto i 19 anni un rischio di diventare positivi al Covid dimezzato rispetto agli adulti, anche nel caso della «variante inglese». Il misconosciuto studio italiano va oltre e certifica che i focolai di Covid a scuola sono rarissimi, in media meno del 7%, e che anche la frequenza nella trasmissione tra allievo e docente è statisticamente irrilevante. È quattro volte più facile, invece, che gli insegnanti si contagino tra loro, magari in sala professori, «ma questo è lo stesso rischio che si assume in qualunque altro ufficio». La valutazione finale? «La scuola», dice forte e chiaro la professoressa Gandini, «dovrebbe essere l'ultima a chiudere e la prima a riaprire».In assenza di un'evidenza scientifica dei vantaggi della chiusura delle scuole, lo studio afferma anche che il principio di precauzione dovrebbe semmai indurre tutte le istituzioni a tenere le scuole aperte per contenere i danni, gravi e probabilmente irreversibili, che si stanno creando sulla salute psicofisica dei ragazzi e delle loro famiglie. La pandemia ha fatto aumentare di molto i tentativi di suicidio e gli atti di autolesionismo. All'ospedale Bambin Gesù di Roma, gli otto letti dedicati alla psichiatria, dall'ottobre 2020 sono sempre sati occupati: non era mai accaduto prima.La notizia dello studio, ieri, ha inevitabilmente scatenato alcune reazioni polemiche. Giorgia Meloni, da sempre contraria al blocco delle scuole, si è idealmente schierata al fianco dei genitori, dei ragazzi e degli insegnanti che domenica hanno occupato le piazze di tutta Italia per protestare contro la didattica a distanza: «Chiediamo al governo di recuperare il tempo perso», ha confermato ieri la leader di Fratelli d'Italia, «e di lavorare senza sosta per consentire che la scuola riapra il prima possibile e in sicurezza. È una priorità assoluta». Anche Maurizio Lupi, presidente di Noi con l'Italia, ha chiesto «l'immediata riapertura almeno di asili, elementari e medie». Se lo studio conferma l'inesistenza di un rischio scuola, e se tutti i dati dicono che la curva del contagio sta scendendo, ha domandato Lupi al governo, «che cos'altro aspettiamo? Non facciamo pagare ai più piccoli e più deboli un costo superiore a quello che la pandemia ci ha già inflitto». A entrambi ha indirettamente risposto il ministro delle Pari opportunità, Elena Bonetti: «Mi auguro che questa settimana ci siano Regioni che tornano in zona arancione, ha detto, «e quindi possano riaprire scuole dell'infanzia, nidi, primarie, secondarie di primo grado e al 50% le secondarie di secondo grado. Dopo Pasqua ritengo che anche in zona rossa, con l'aumento delle vaccinazioni, dovremo valutare la possibilità di riaprire almeno la scuola dell'infanzia e primaria». Meglio tardi che mai…