I municipi di sinistra boicottano la Ztl. Gualtieri costretto alla retromarcia

È stato il fuoco amico a far (temporaneamente) desistere il sindaco di Roma Roberto Gualtieri dal progetto di blindare la capitale, e i suoi cittadini, in un’enorme zona green, estesa fino all’anello ferroviario e fortemente limitata ai veicoli, divisa in zone comunicanti soltanto a pagamento. E così, a differenza di quanto avvenuto a Milano dove la «Zona B» è ormai attiva (e aggirata da almeno 200.000 persone al giorno, ammette il Comune), il primo cittadino ha annunciato che sarà istituito un tavolo tecnico «per valutare possibili rimodulazioni delle misure, perseguendo il miglior equilibrio possibile tra le obbligatorie esigenze di tutela dell’ambiente e della salute delle persone e l’impatto economico delle nuove disposizioni sulle fasce più deboli».
Una mezza vittoria per i 60.000 romani che - capitanati dalla Lega - hanno firmato la petizione contro il piano comunale che vuole imporre lo stop ai veicoli diesel Euro 4 da novembre 2023 (e, dal 2024, ai diesel Euro 5 e alle macchine Euro 3 a benzina). Non sono state le loro proteste a smuovere Gualtieri, bensì le obiezioni sollevate in seno alla stessa maggioranza, in diversi municipi a guida Pd: l’XI (Portuense), il V (Centocelle, Prenestino e Tuscolano) e il II municipio (Parioli, Flaminio, Salario, Trieste, Nomentano, Tiburtino, Pinciano), dove son stati i consiglieri di Azione a muoversi per chiedere la sospensione del provvedimento.
Il piano di Gualtieri, che prende a esempio quello milanese, non è altro che la rivisitazione in salsa romana di quell’ideologico modello urbanistico chiamato «città dei 15 minuti», feticcio delle élite liberal celebrato, appunto, sul sito del Comune di Roma. È un progetto descrivibile radunando nella stessa frase tutte le parole che piacciono alla segretaria del Pd, Elly Schlein: «Una smart city, o città a misura d’uomo, basata sul piacere di trovare nella propria comunità complici modelli di condivisione e collaborazione efficacemente coadiuvati dalla tecnologia, la prossimità e il rispetto dell’ambiente perché capaci di generare una reale sostenibilità, dato che, a piedi o in bicicletta, sono raggiungibili tutti i servizi di base».
Lo avrebbe teorizzato, si legge sul sito capitolino, tal Carlos Moreno, urbanista dell’Università Sorbona di Parigi, dove il sindaco Anne Hidalgo cerca di implementarlo a dispetto delle proteste contro la «ville du quart d’heure».
Il problema è che tra la teorizzazione della Città Ideale a misura di elettore dem e la sua realizzazione c’è di mezzo la burocrazia capitolina, che è riuscita a partorire una spiegazione contorta anche per i più esperti assemblatori di mobili Ikea: sei pagine in cui il cittadino romano deve districarsi tra diverse variabili come la zona in cui risiede, quella in cui lavora, i cavalli fiscali della sua auto, il tipo di motore (diesel, benzina o metano), il tipo di permesso (transito o anche sosta), il numero di permessi posseduti e via dicendo.
Si è parlato molto di «città dei 15 minuti» nei mesi scorsi. Open, il giornale online di Enrico Mentana, ha giurato che «No! L’iniziativa “città a 15 minuti” non serve a confinare le persone e non è un lockdown climatico». Eppure, proprio Carlos Moreno prende spunto dalle «norme anticontagio» per far capire che «lo slancio verso la digitalizzazione - trainato dallo smart working - fa sì che si riducano gli spostamenti e che si rivolga la propria, ridotta gamma di necessità materiali e relazionali alle immediate vicinanze. Un ritorno alla vita di quartiere».
Checché ne dicano i «mentanini», la descrizione della nuova Fascia verde del Comune di Roma ricalca esattamente questa filosofia perché, come scritto nero su bianco, «consentirà di accedere, circolare e sostare gratuitamente nella sola Ztl di residenza». Proprio come a Oxford, dove il City council ha approvato, già l’anno scorso, nuove policies per multare di 70 sterline chi passa per i varchi più di tot volte a settimana.
I legislatori sostengono di farlo «per la salute pubblica»: il riferimento peloso non è mancato neanche nell’annuncio di Gualtieri. In realtà, come ha osservato il professor Alberto Giubilini, esperto di etica presso la facoltà di filosofia dell’Università di Oxford, «c’è un problema etico-politico e di democrazia». Con queste misure, la libertà individuale dei cittadini viene sottomessa alla salute collettiva. «La salute», spiega Giubilini, «serve nella misura in cui consente alle persone di godere dei diritti e delle libertà. Ma se noi, pensando alla salute, togliamo questi diritti e queste libertà, non ha più alcun senso».






