
I primi a utilizzare l'espressione, nel 1982, furono proprio i gay, che oggi però negano di essere un gruppo di pressione. Lo sono: parlano a nome di migliaia di persone che non li hanno eletti e intascano fondi statali.I gay mettono la cravatta è il titolo dell'articolo di Edoardo Ballone pubblicato su La Stampa del 22 gennaio 1982, numero 18 pagina 6, articolo in cui racconta il congresso nazionale del Fuori, dal titolo appunto I gay mettono la cravatta. Nel gennaio del 1982, a Vico Equense in provincia di Napoli, si è tenuto l'ultimo congresso del Fuori (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano), il movimento fondato nel 1971 da Mario Mieli e Angelo Pezzana. Questo congresso ha sancito lo scioglimento del Fuori, una fine voluta dallo stesso Pezzana, che in un'intervista per il quotidiano La Stampa del 1982 ha motivato la propria decisione affermando senza mezzi termini di voler trasformare la sua organizzazione in una vera e propria lobby.«Dopo dieci anni di lotte intense costellate di ingiurie, pugni nello stomaco e arresti nei nostri confronti, il Fuori ha deciso di non essere più un movimento e di trasformarsi in una lobby, cioè in un gruppo di pressione di tipo inglese. È decisamente una nostra crescita. Guai sopravvivere a sé stessi, si rischierebbe di scomparire [...]. Non più di 100 persone che dovranno svolgere pressioni capillari negli ambienti industriali, politici, amministrativi e religiosi». I movimenti Lgbt quindi sarebbero una lobby, poche centinaia di persone non elette da nessuno, che si arrogano il diritto di parlare a nome di decine di migliaia di persone che non li hanno eletti, che hanno fondi statali, che incidono enormemente. Questa vicenda sembra anticipare di qualche anno il libro After the ball. How America will conquer its fear & hatred of Gays in the 90's, (Dopo il ballo. Come l'America sconfiggerà la sua paura e il suo odio verso i gay negli anni Novanta). È stato pubblicato nel 1989 da Marshall Kirk, ricercatore in neuropsichiatria, logico-matematico e poeta, e da Hunter Madsen, esperto di tattiche di persuasione pubblica e social marketing. Il «ballo» a cui gli autori fanno riferimento è il baccanale provocatorio e oppositivo innescato dalla Rivoluzione gay degli anni Settanta e Ottanta, lo stile volutamente «folle», alla Mario Mieli per intenderci, con continui riferimenti al marxismo più spinto. Questa strategia ha fallito e si passa a una strategia di gente normale con la cravatta, sfruttando l'Aids. «Per quanto cinico possa sembrare, l'Aids ci dà una possibilità, benché piccola, di affermarci come una minoranza vittimizzata che merita legittimamente l'attenzione e la protezione dell'America». «Stiamo parlando di propaganda». A pagina 360 c'è un Codice di autocontrollo sociale che comprende «regole» per le relazioni con gli eterosessuali, con altri gay e con sé stessi. «Se sono un pedofilo o un masochista lo terrò nascosto e starò lontano dalle parate del gay pride»: «If I am a Pederast or a Sadomasochist I'll keep it under wraps and out of gay pride marches».Nel libro, si parla serenamente di Gay right national lobby: che il movimento sia una lobby è detto e ripetuto più volte nel libro. I primi a parlare di lobby gay, in Italia ma anche all'estero, quindi, sono stati attivisti gay, eppure molti parlano di complottismo quando si cita la lobby gay. Non c'è niente di male a essere una lobby, la politica funziona così. Chiunque voglia ottenere qualcosa deve diventare un movimento di pressione, in inglese lobby. Qualcosa di sbagliato c'è a negarlo, forse per non perdere l'aurea di vittima indifesa, forse per negare le pressioni che stanno modificando ambienti industriali, politici, amministrativi e religiosi, ma soprattutto per negare il diritto ai propri avversari di battersi. È un diritto creare una lobby, un diritto appartenerle, un diritto altrettanto sacro avversarla. I movimenti Lgbt sono costituiti da poche centinaia di persone non elette da nessuno: non rappresentano le persone a comportamento omosessuale che non hanno eletto queste persone e che, in maggioranza, non si riconoscono nelle loro istanze. Sono una lobby, per loro stessa ammissione. Contrastarle non vuol dire minimamente detestare le persone a comportamento omoerotico, che, ripeto, non sono rappresentate da questi circoli. Angelo Pezzana ha avuto e ha molto coraggio nel battersi contro le persecuzioni terribili e mortali nei Paesi islamici, è un uomo molto onesto. Prediamo atto della sua affermazione. I movimenti Lgbt sono lobby. Non si hanno prove dell'esistenza di queste organizzazioni, scrive Wikipedia. Non è vero, ci sono. Ringrazio anche per questo Pezzana, uomo onesto, avversario corretto.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






