2018-07-13
I ministri non coltivino le serpi nello staff
Troppi capi di gabinetto confermati dal governo gialloblù sono persone scelte dall'esecutivo uscente e di provata fede «rossa». Guai a ripetere il grande errore di Berlusconi: si lasciò circondare dai collaboratori degli avversari sconfitti e fallì la rivoluzione.Scrivo da anni, in particolare al formarsi di un nuovo governo, che gli uffici di «diretta collaborazione» dei ministri, cioè gli staff operativi, quelli che si interfacciano con le strutture dell'amministrazione per tradurre in atti normativi e amministrativi le scelte politiche, debbono essere costituiti da persone di elevata professionalità, che siano anche in sintonia con l'indirizzo politico della maggioranza e dello specifico partito del ministro.Al vertice di questi uffici c'è un capo di gabinetto con funzionari, consulenti e consiglieri, generalmente «giuridici», nel senso che hanno una spiccata preparazione nei vari rami del diritto. I capi di gabinetto «virtuosi» mettono accanto al ministro, a seconda delle esigenze, anche esperti con competenza economico finanziaria, statistica, sociologica, medica, ingegneristica. Il più delle volte senza retribuzione. Al più un rimborso delle spese di missione. In ipotesi astratta. Infatti lavoravano tutti a Roma, impegnati prevalentemente in gruppi di lavoro. Si tenga conto che il ministro è un politico a tutto tondo, ha esigenza di seguire anche i provvedimenti dei colleghi titolari di altri dicasteri. È ovvio, dunque, che voglia conoscere a fondo tutte le proposte destinate al Consiglio dei ministri.L'esperienza ci dice che il capo di gabinetto è generalmente un magistrato amministrativo, consigliere di Stato o della Corte dei conti o un avvocato dello Stato. Ugualmente il capo dell'ufficio legislativo e i consiglieri giuridici. Raramente sono funzionari parlamentari. In particolare questo accade quando il ministro o la forza politica alla quale appartiene non hanno dimestichezza con l'ambiente dei grand commis de l'État, quelli che operano in posizione elevata nei dicasteri. Invece conoscono bene i loro collaboratori parlamentari. Ce n'è di bravissimi. È stata la scelta, a suo tempo, di Matteo Renzi. Troppo indipendenti i magistrati amministrativi e contabili, ma per questo autorevoli agli occhi dei funzionari della struttura amministrativa, ai quali trasmettono le direttive politiche del ministro che, in sinergia con la dirigenza ministeriale, diventano leggi, regolamenti e atti amministrativi. La cui validità giuridica è condizione della loro efficacia anche politica. Per l'ovvia considerazione che una legge scritta male non sarà in tutto o in parte applicabile e che ugualmente un provvedimento amministrativo di dubbia legittimità può essere bloccato nella fase del controllo contabile della ragioneria o della Corte dei conti o essere impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, dove può sostare a lungo.È accaduto spesso nei governi di Renzi e Paolo Gentiloni che hanno avuto più di un problema con vari giudici e con la Corte costituzionale.Buon giurista, con esperienza dell'amministrazione, il capo di gabinetto deve avere altre doti, prima di tutto quella di saper dialogare con la struttura, con garbo, con rispetto della professionalità di dirigenti e funzionari, senza prevaricare, senza quella supponenza che tante volte ha riversato sui ministri il discredito che collaboratori arroganti si erano conquistato.Sembra facile ma non è sempre così. Come in ogni rapporto umano conta la preparazione ma anche la buona educazione. Sentendosi scelti dall'autorità politica, molti sono stati indotti a usare toni altezzosi. Assolutamente da evitare. Altrimenti il funzionario fa muro e non collabora.Non basta. Buon giurista e garbato quanto basta, il capo di gabinetto e lo staff devono essere in sintonia politica con il ministro. E la struttura amministrativa deve sentire l'esistenza di questo rapporto di fiducia. I capi di gabinetto non devono essere politici, per non perdere l'immagine di indipendenza che caratterizza naturalmente i magistrati amministrativi e contabili, ma devono percepire e condividere l'importanza dell'indirizzo politico del quale il ministro è portatore. Ciò che contribuisce a garantire un impegno massimo nell'attività amministrativa. Sono stato consigliere giuridico, vice e capo di gabinetto di ministri democristiani (Lucio Abis, Luigi Granelli, Gianuario Carta, Costante Degan, Giovanni Prandini, Giancarlo Tesini) di un tecnico, sia pure di area (Elio Guzzanti), di un liberale (Raffaele Costa), di un socialdemocratico (Dante Schietroma) e del presidente di Alleanza nazionale, Gianfranco Fini, del quale sono stato capo di gabinetto nel ruolo di vicepresidente del Consiglio. Non avrei mai collaborato con un esponente della sinistra. E d'altra parte nessuno me lo ha mai chiesto. Sanno come la penso sui diritti e sulle istituzioni (ho scritto e lavorato per il «no» al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016).La sinistra, a differenza del centrodestra, non apre le porte a chi non sia di provata fede. Per cui oggi, dopo che sotto la guida sapiente di Maria Elena Boschi, nell'imminenza dell'insediamento del governo Conte, sono stati occupati tutti i posti possibili nell'ambito della presidenza del Consiglio, per gli altri, capi di gabinetto, di uffici legislativi e direttori di uffici, sono venuti «consigli», alcuni dei quali «autorevoli». Insomma offerte che non potevano essere rifiutate. Un «trappolone», come qualcuno ha scritto, sicché oggi accanto ad alcuni ministri siedono persone, certo preparate, ma con lunga consuetudine di collaborazione con la sinistra. Avremo occasione di tornare sul tema in corso d'opera.È accaduto in passato, ed è stata la fragilità dei governi guidati da Silvio Berlusconi, in particolare di quello del 2001-2006. A maggio di quell'anno il centrodestra perse le elezioni per circa 25 mila voti «quando potevano essere vinte per due milioni», fu il commento di Francesco Storace alla lettura del mio libro Un'occasione mancata. È manifesta tutta l'amarezza di chi riteneva che, con una maggioranza senza precedenti, sarebbe stato possibile rinnovare profondamente la politica e l'economia. Invece, ho ricevuto fin dai primi giorni del giugno 2001 segnali di sconcerto dei funzionari che vedevano nei posti di responsabilità le stesse persone che avevano trasmesso le direttive di Romano Prodi, Giuliano Amato e Massimo D'Alema. Oggi gli uffici di Palazzo Chigi e dintorni sono affollati dai collaboratori dei ministri uscenti, molti di notoria militanza, al punto da aver organizzato in passato assemblee che si concludevano inevitabilmente con il pugno chiuso. Riusciranno a servire lo Stato con l'entusiasmo che si attendono i ministri del Movimento 5 stelle o della Lega? La sentenza non è ardua e neppure riservata i posteri. Si vedrà presto nella concreta realizzazione del programma di governo.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)