
Il presidente dell'Ordine di Roma, Antonio Magi: «Prima della pronuncia della Corte vengono il giuramento di Ippocrate e codice penale. Per chi svolge la nostra professione, uccidere è impensabile: in molti rifiuterebbero di farlo». Antonio Magi è il presidente dell'Ordine dei medici di Roma e provincia, che con i suoi 45.000 iscritti è il più numeroso d'Europa. Con lui La Verità ha parlato della pronuncia della Consulta che ha ritenuto non punibile, in circoscritti e gravi casi, chi agevola il suicidio di un paziente. A distanza di un anno dalla richiesta alla politica di un intervento legislativo sul tema dell'eutanasia, la Corte costituzionale è tornata a esprimersi sul delicato e tanto dibattuto tema del «fine vita» per chi è affetto da patologie irreversibili. Cosa cambierà da ora in avanti?«Nulla, in quanto si tratta di una semplice pronuncia che vale però come critica alla politica, che in un anno non è stata in grado di portare una legge in Parlamento». Quindi se oggi un paziente andasse in ospedale chiedendo di morire, non verrebbe accontentato?«Certo che no. Noi medici rispondiamo prima di tutto al nostro codice deontologico e poi all'articolo 580 del codice penale, che punisce con la reclusione fino a 10 anni chiunque istighi al suicidio o rafforzi l'altrui proposito di suicidio, o ne agevoli in qualsiasi modo l'esecuzione». Cosa dice esattamente la deontologia del medico? «Che il medico è sempre per la vita e non la toglie mai e per nessun motivo». Però secondo la Consulta non è proprio così…«Come ho detto, si attende un intervento del legislatore e tra l'altro la Corte ha subordinato la non punibilità al rispetto di limiti molto stringenti, delimitando i casi e imponendo di rispettare la normativa sul consenso informato del paziente». Quindi è possibile che presto il suicidio assistito diventi legale in Italia?«Ma non sarà il medico a operarlo, casomai un pubblico ufficiale, una figura del tutto diversa». E se la non punibilità invece riguardasse proprio i medici?«In ogni caso farebbe fede il codice deontologico, che attraverso gli articoli 1, 3, 4, 16 e 17 non permette in alcun modo di uccidere, di togliere la vita». Lei su questo sembra perentorio.«Il medico ha il dovere di tutelare vita, la salute psico-fisica del paziente, deve dare sollievo nella sofferenza nel rispetto della dignità della persona. Il suo compito non è uccidere». Se dovesse esserci una legge come auspica la Consulta, un medico però, legalmente, potrebbe praticare l'eutanasia. «Ma gli verrebbe comminata una sanzione disciplinare, con il rischio di essere persino radiato. Il medico ispira la propria attività professionale ai princìpi e alle regole della deontologia professionale, senza sottostare ad altri interessi, imposizioni o condizionamenti esterni. Oltre a ciò, si astiene da trattamenti non proporzionati e non pone in essere in nessun caso un comportamento finalizzato a provocare la morte di una persona». A parte la deontologia e il giuramento di Ippocrate, lei come reputa la scelta della Corte? «Noi non valutiamo se la decisione sia giusta o sbagliata, se vada bene o meno. Noi facciamo i medici e, anche in caso di richiesta del paziente, non dobbiamo e non possiamo effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte».Il caso di dj Fabo e di chi lo ha aiutato a morire ha sensibilizzato l'opinione pubblica sul tema delle sofferenze di chi ha malattie incurabili e arriva a ridursi in stato vegetativo, spesso dovendo sostenere un dolore fisico e psicologico insopportabile. Non crede che sia giusto in questi casi mettere fine a una vita reputata dalla persona stessa non degna di essere vissuta?«Guardi, io le posso dire qual è il ruolo del medico, che deve stare vicino al paziente che soffre con profonda empatia e capire, sia dal punto di vista umano che tecnico e della medicina, come alleviare il dolore della persona e come accompagnarla verso la fine. Ognuno di noi, ogni medico, non dimentica i pazienti che ha visto morire, il loro viso, le loro parole, e non è immaginabile, è contro la nostra etica, che sia proprio lui a compiere un atto come quello di mettere fine a un'esistenza». Quindi saranno tanti i suoi colleghi che, nel caso si facesse una legge, farebbero obiezione di coscienza?«Certo, è ovvio, anche perché, come ho già detto, rischierebbero di essere radiati dall'albo dei medici. Basta il solo giuramento di Ippocrate per togliere ogni dubbio sul ruolo del medico nella questione di cui parliamo. Noi non possiamo compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona e di certo nessuno può imporcelo, né la Consulta né il Parlamento».
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